Alla ricerca di un nuovo ordine mondiale

L’internazionalismo liberale è morto. E anch’io non mi sento molto bene

  • Se gli Stati Uniti avessero limitato i loro obiettivi in Afghanistan a contrastare la minaccia terrorista e si fossero ritirati una volta contenuta la minaccia, le operazioni militari avrebbero servito gli interessi americani vitali e conservato un sostegno interno sufficiente. Invece gli Stati Uniti e i loro alleati si sono lasciati trascinare dietro a un obiettivo, quello di un Afghanistan stabile e democratico, che non è mai stato realizzabile.

  • Nella desolante chiarezza del senno di poi, il nation building in Afghanistan è stato peggio di un errore. È stato un evento secondario. La principale sfida strategica era la Cina. Invece di sviluppare una strategia a lungo termine per affrontare il primo serio avversario dalla fine della Guerra Fredda, l’America ha perso tempo, soldi e vite umane in un’impresa periferica che poteva solo concludersi con un fallimento.

  • Poiché le cose sono andate così, per un internazionalista liberale come me è una tentazione mollare, gettare la spugna e unirsi ai realisti: quelli che credono che il conflitto e la lotta di potere debbano definire le relazioni internazionali. Il fascino di questa realpolitik per i liberali disillusi è la sua promessa di mettere da parte quegli impulsi morali che così spesso distraggono le democrazie dal perseguire con determinazione l’interesse nazionale. Ma, a ben vedere, anche questa non può essere la soluzione.

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