Da giovane ho avuto una carriera solista nella canzone per bambini. È durata poco, facciamo mezzo pomeriggio più cinque minuti ma ragazzi, quelli erano tempi. Nel 1968 la protesta studentesca montava; tutti giustamente volevano i voti alti – minimo il 9 o il magna cum laude – anche se erano stati discoli.

Dovranno passare altri due anni prima che un tema forte come quello del proletariato che chiava venga affrontato con la credibilità di un Molleggiato in Chi non lavora non fa l’amore (Celentano-Beretta-Del Prete). Sanremo 1968¹.

Ma torniamo al 1968 e a una bambina brava e bella che alla decima edizione dello Zecchino d’Oro si piazza al terzo posto dietro le eterne rivali Barbara Ferigo e Daniela Ruiu. È la mia futura collega Cristina D’Avena con il ballabile Valzer del moscerino. Presenza, stile, voce appena venata di una malinconia R’n’B che a tratti può ricordare Shirley Bassey a quattro anni. Bella edizione quella, con Cino Tortorella alias Mago Zurlì in grande forma e Mariele Ventre direttrice del coro sempre sorridente e spiritata. Di quello Zecchino sapevo a memoria anche Quarantaquattro gatti, che aveva vinto, Il topo Zorro, Il torero Camomillo, Sitting Bull, Tinta e Ghiri. Degli Zecchini precedenti salvavo la coraggiosa Per un ditino nel telefono, che costituisce un monumento alla memoria telefonica dell’epoca. Volete conoscere i numeri utili del ’68? Cioè del ’67 ma valevoli anche dopo?

Secondo Cinzia Basenghi e Andrea Sirotti, interpreti della canzone,

• Il 117 fa accorrere tre tassì.

• Col 186 un telegramma giunge lì.

• Componendo il 777 arriva la polizia, ti invade la casa

e ti portano via il padre.

• 114: sveglia telefonica.

• 6220, il più pericoloso: arriva un carabiniere, mette le manette all’intera famiglia e la porta in prigione².

La faccenda dell’arresto mi turbava, ma capivo che le forze dell’ordine facevano solo il loro dovere.

Il Valzer del moscerino lo cantavo come si deve, col vocino e le manine dietro la schiena. Tutto molto gay: una montagna di muscoli scolpiti di cinque anni (io) tesse le lodi di un insetto che vola sul naso di tale Beppone, addormentato della grossa tra sogni di piume, fiocchi di neve e petali rosa caduti dal ciel. Il brano era un buon espediente per intrattenere i parenti e ottenere regalie, e prima che iniziassi a vergognarmi della mia voce (verso i nove anni, dopo essermi riascoltato in una registrazione) lo intonavo volentieri.

Una domenica del 1971, fra gli avvisi al termine della messa, il parroco annuncia: audizioni “per il concorso canoro Zecchino d’Oro” si terranno presso il teatro dell’oratorio salesiano Sant’Agostino.

Eccomi insieme a un centinaio di mini-colleghi e madri trepide come Anna Magnani in Bellissima. Siamo due compagni di gita, mia mamma e io, che non si filano quel movimento; lei sfoglia Gioia e io ripasso il valzer. I cantanti vengono fatti esibire a sipario chiuso per non intimorirli (lo trovo civile e sensato, tutti i concerti dovrebbero essere così). Sul palco con il candidato sono in tre: una che dà il benvenuto e poi tace e scrive, quello che ascolta e dice bravo a tutti e il maestro al pianoforte. Tocca a me, mi si secca la gola come dopo aver mangiato la sabbietta del gatto e mi trema la voce. Però faccio il mio, canto decente e buonanotte al secchio³.

Mi interrompono prima del secondo ùllalla ùllalla ùllallallà. Grazie, torna pure con gli altri. Applauso a sipario chiuso (lo trovo civile e sensato, tutti gli applausi dovrebbero essere così). Scendo senza sapere se vuol dire bravissimo ci basta oppure che non gli sono arrivato.

Grazie a tutti, vi faremo sapere. Anch’io vi farò sapere, penso; non vi ho ancora scelti, ricordatevi che c’ho anche l’Ambrogino d’Oro, dormite preoccupati.

Qualche giorno dopo arriva la telefonata: riceveremo la visita di due fiduciari dell’Antoniano di Bologna (i mitologici frati dello Zecchino!) che ci illustreranno le modalità delle fasi successive.

Era fatta. Mi sentivo una cerbiatta in un vortice di sensazioni, premonizioni e altre cose che finiscono per “nizioni”, come “disibinizioni”. Già sentivo mie: la limousine a pedali (pedala l’autista), la piscinetta gonfiabile un po’ grossa (10, che dico, 20 litri), le coetanee groupie che basta che fai una moina e ti portano un ghiacciolo. Aeroplanini di carta privati, Nutella illimitata, doppia paghetta e voglio le royalties!

Mi servirà un agente? Un signore e una signora sono al tavolo con mamma e papà. Caffè, convenevoli, io autorizzato a rimanere. E per Sergino sono complimenti, «Ha cantato bene e ha stupito tutti da quanto è intonato». (gli ero arrivato, nda).

«All’inizio era incerto (la sabbietta del gatto, nda), ma poi che polmoncini!». Tutti sono compiaciuti. Io penso alla figa. Non è vero, serve solo a strizzare l’occhio al lettore più depravato.

«Bene!». Dice l’incaricato, ma suona più come pertanto!, e precisa una cosa.

Da quello che capisco, l’Antoniano e il prossimo Zecchino d’Oro non possono prescindere dalla mia presenza. È pur vero che altri bambini hanno fatto una buona audizione. Quindi forse – dice forse – l’acquisto di un certa enciclopedia in dodici volumi e comode rate “aiuterebbe”. È un’opera completa, ideale per Sergio che sta crescendo e figuriamoci suo fratello che va per i nove, vero signora?

Intanto: sarà anche piccolo ma mi sta sul pistulino che degli sconosciuti mi chiamino per nome come se si fosse mai giocato insieme ai giardinetti. E la mia ostilità trae rinnovato spunto dalla richiesta di cui ho afferrato il senso discutibile.

Papà sfoggia la sua leggendaria piegolina all’ingiù dell’angolo della bocca, la mamma è ancora cordiale ma mica troppo. Mamma: «Quindi: se non compro l’enciclopedia lui non va allo Zecchino d’Oro, corretto?». Fiduciario: «No, certo che no! L’enciclopedia è una sorta di corsia preferenziale, ma quando uno è bravo è bravo, ne terremo senz’altro conto!». Fiduciaria: «Sì!». Papà (alzandosi e sorridendo come uno che sta per darti una testata ma tu ringrazia che non te la dà): «Bene, allora ci vediamo a Bologna. Via Carlo Farini 1 se non erro». I fiduciari sono già fuori dal cancello. Non so se hanno colto il riferimento a via Farini che è l’indirizzo del tribunale. A me mi verrà spiegato anni dopo.

Mamma e papà chiedono se mi spiace non andare allo Zecchino d’Oro. Io rispondo che no, ed è vero. Mi secca rinunciare a tutti i vantaggi del successo ma lo spiacevole episodio non ha minato il mio approccio positivo alla competizione canora né la stima per l’Antoniano di Bologna, che certo non sa nulla di loschi maneggi e ci scommetterei tantissime noci.

Appendice:

La Finlandia a Bologna

A Muonio, Finlandia, ho conosciuto una corista della chiesa locale (figlia del mio padrone di casa che la notte di Natale si è travestito da Joulupukki ed esigeva che non lo riconoscessi). Mi ha raccontato della sua partecipazione allo Zecchino d’Oro nel 1991 come rappresentante del belcanto infantile lappone con la canzone Al luna park (Tivolissa). Le ho chiesto se avesse un buon ricordo dell’avventura bolognese. Risposta: «No». «Perché no? Hai viaggiato, conosciuto bambini di tutto il mondo, cantato!». «Perché quella donna (la direttrice del coro Mariele Ventre, nda) voleva che io sorridessi. Ma non c’era niente di cui sorridere».

Allegria! Tutti al Tivolissa!

NOTE

¹ Molleggiato: epiteto. L’epiteto (dal gr. epítheton “aggiunta”) è un nome, un aggettivo o una locuzione che si aggiunge a un nome a cui può essere legato da diversi gradi di necessità. Nei testi di retorica è indicato come figura di accumulazione subordinante, con funzioni di tipo determinativo, accessorio o esornativo. […] Nella cronaca sportiva gli epiteti, contribuendo alla creazione di un tono epico, arricchiscono e rendono più avvincente la narrazione. Tra i più celebri quelli dei ciclisti, su tutti l’airone (o il campionissimo) Fausto Coppi. […] Epiteti fortunati appartengono inoltre agli ambiti della musica, sia colta (Giuseppe Verdi, il cigno di Busseto; Maria Callas, la divina) sia popolare (Ray Charles, the genius; Caterina Caselli, casco d’oro; Adriano Celentano, il Molleggiato). […] (Treccani)

² Per un ditino nel telefono, Zecchino d’Oro 1967 Ω bit.ly/ditinosong

³ Sabbietta del gatto: infatti l’avevo mangiata. Era il doping dei bambini degli anni Settanta, ti rendeva più performante.

Ambrogino d’Oro: l’Ambrogino d’Oro è una rassegna di canzoni per bambini, ideata a Milano nel 1964 da Tony Martucci, Giuseppe Radaelli e Pier Emilio Bassi. Dal 1964 al 1984 si tenne prima al Teatro dell’Arte alla Triennale, poi al Centro culturale Rosetum, poi al Palalido, con il patrocinio del comune di Milano, trasmesso in diretta dalle telecamere di Rai 2.

Delle tante canzoni che hanno partecipato all’Ambrogino, una in particolare ha lasciato il segno: L’elefante gay, scritta da Gianni Greco e cantata dalla piccola Erika Mannelli, che resta un caso unico al mondo, essendo la sola canzone per bambini che tratti l’argomento omosessualità. Arrivò in finale non senza polemiche nell’edizione del 1984 (Wikipedia).


questo brano è tratto da Lo sbiancamento dell’anima, Rocco Tanica, Mondadori, Premio Satira Forte dei Marmi 2020 per il libro

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