L’accadimento ci spoglia di previsioni e obiettivi.

Di solito ha il sapore dell’imprevisto, spesso dell’imboscata vera e propria.

Come in una caccia al tesoro, diamo qualche indizio rispetto all’Accadimento che è alla radice di questo libro. Ha riguardato tutti, e checché se ne dica, ci riguarda ancora…

Caterina Soffici non avrebbe scelto la montagna, ma l’azzurro scintillante del Mediterraneo, immaginava per sé e la sua famiglia la spoglia semplicità di alcune residenze estive che tanto sanno di scrittori e letteratura, con stupendi pergolati affacciati sull’immensità azzurra del mare.

Invece, per colpa, o gran fortuna, di un accadimento è ad altro azzurro che viene chiamata a vivere per un periodo della sua vita.

L’azzurro del cielo montano, alto e inarrivabile.

Si ritrova a vivere in una baita, rascard per la precisione, accanto a un borgo a 1700 metri sulle Alpi, sotto il ghiacciaio del Monte Rosa. Assieme a marito e figli.

Non parliamo di una scelta radicale, non dovete immaginarvi uno stile di vita degno di un montanaro di qualche secolo fa. L’autrice ha quella serie di piccoli agi che oramai fanno la nostra vita dal didentro, come l’acqua calda, il gas per cucinare, e così via.

Non deve, dunque, dare inizio a una rieducazione radicale rispetto al suo stile di vita,

quello che l’aspetta, proprio perché all’apparenza più semplice, sarà in realtà una rivoluzione vera e propria.

Se è in dubbio la nostra sopravvivenza siamo chiamati a una battaglia che non prevede altre questioni. La nostra concentrazione sarà tutta dedicata a sopravvivere, appunto.

Altra cosa quando ci ritroviamo, contro la nostra volontà, a vivere in un luogo che è divenuto, non scordiamoci l’accadimento imprevisto, la tana entro cui rifugiarsi in attesa che il tempo diventi più propizio.

Vivere dove non vorremmo.

In luoghi di bellezza straordinaria, sia chiaro, dove passare bellissime vacanze di una, due settimane. Ma cosa succede quando quei luoghi diventano per un tempo più lungo i nostri luoghi? La nostra casa?

Quello che succede fa paura.

E non perché si parli di montagna, dunque di vette e precipizi.

Quello che atterrisce è riscoprire l’esatta misura del tempo, l’esatta misura dei riti della natura, riscoprirsi dentro un mondo che vive, lavora e ama, a una velocità diversa dalla nostra. Non più lenta, semmai più distesa, accorta, sentita.

Vivere il corso delle stagioni.

Scoprire a quale statura immensa corrisponda un inverno in montagna. A quanta fatica chiami l’amata neve, solo per fare l’esempio più ricorrente. L’autrice, esattamente come noi, così cittadina, amante dei fiocchi come di un evento esotico da guardare dalla finestra, senza sapere quanti obblighi richieda in quota. Spalarla via la notte, temerla quando si ammassa in modo pericoloso.

Ma soprattutto avere il coraggio di guardare il suo bianco solo bianco quando copre tutto il visibile a perdita d’occhio, sino a diventare, la neve, oscura, capace di allontanarci anche dalla nostra voce.

Alla riscoperta, anzi, scoperta della grandezza della natura, faranno da contrappunto incontri che diventeranno amicizie, fonti d’affetto dato in semplicità.

Incontri con figure fuori dal tempo, persone che vivono dentro un’esistenza che amano, senza il bisogno di dirselo, raccontarselo ripetutamente.

Come la Regina delle caprette, con il suo esercito di capre da governare.

O la donna dei fiori.

E poi gli animali, da quelli addomesticati ai selvatici, bellissimi e remoti.

Da inverno a primavera.

Scoprire con quanta energia la vita nuova spacchi la coltre del gelo, e godersi tutto da una pietra piatta, scaldata dal sole, che diventa luogo d’elezione per la pratica dello yoga. E per tornare all’arte più bella e antica di tutte. L’arte dello sguardo. L’arte del guardare.

In Lontano dalla vetta di Caterina Soffici, Ponte alle Grazie, non ci sono sfide lanciate a vette da raggiungere in un modo o nell’altro, a rischio della nostra vita. Non c’è l’arrampicata come guanto lanciato alla montagna, per fargli vedere che possiamo arrivare dove lei vive, taciturna.

Quello che c’è, in questo libro, è la rivelazione che esiste una vita oltre quella che giudichiamo l’unica a nostra disposizione. Fuori dalla frenesia cittadina. Senza, per questo, convertirsi ai riti del montanaro professionista, o presunto tale, che arriva in certi luoghi con il passo del conquistatore.

Ma il dono più bello che ci fa la Soffici è un altro.

È il tempo.

Fonte di tutte le nostre tribolazioni, se vissuto con il delirio contemporaneo della competizione con esso.

Oppure nostro silenzioso e fedele alleato.

Se lasciato libero di dirci con il suo alfabeto, senza fretta.

© Riproduzione riservata