Le api mi affascinano da sempre. Innanzitutto per la loro organizzazione sociale, che si può ben sintetizzare con il concetto di superorganismo. Mi incuriosiscono altrettanto i paradossi che si creano nel tentativo di definire ruoli e comportamenti dell’alveare, adottando classificazioni di stampo antropologico. Per esempio, parliamo di regine, di operaie, di guardiane e di esploratrici, oltre che di amanti utilizzati con il semplice scopo di giacere con una nobile, per vedere la propria esistenza terminare un istante dopo.

Nella complessità dei loro comportamenti sociali, però, le api non assomigliano quasi in nulla agli esseri umani. Proprio perché la finalità collettiva prevarica completamente le necessità degli individui; tuttavia, nello specifico dei vari ruoli, sembra di ritrovare parti di personaggi della più grande narrativa di sempre.

Regine che uccidono altre regine nella culla, per dominare incontrastate. Operaie che eleggono regine per poi avvelenarle, quando il compito di queste ultime sarà terminato. Regnanti che non riescono più a esercitare la propria autorità – per mancanza dell’efficacia dei propri feromoni – e vengono destituite, ovviamente sempre con l’omicidio. Maschi ai quali viene impedito l’atto d’amore, se non riconosciuti sufficientemente idonei o a causa di una loro incompatibile provenienza.

Nulla di questi comportamenti è indotto da qualcosa che possa vagamente avere a che fare con l’avidità, con la gelosia, con la sete di potere o con altre umane debolezze. Tutto ricorda le più memorabili commedie sui grandi intrighi di corte.

Orchestra barocca

Per questo ho pensato, forzando un po’ la mano sul piano musicale, di trasformare i suoni e i rumori dell’arnia in una specie di orchestra barocca. Non è forse barocca la musica della monarchia? Ma siccome ho scoperto che le api utilizzano spesso la danza come strumento di comunicazione, ho immaginato una sorta di “danza di corte”, dalla cadenza un po’ medievale, ambientata nell’intima oscurità dell’alveare, in onore della regina.

Anche se, dopo avere ascoltato la descrizione del destino di un’ape regina, ho pensato subito al film Marie Antoinette di Sofia Coppola, in cui la protagonista è malinconicamente intrappolata nel suo ruolo di regnante. Le api mi affascinano nonostante, fin da bambino, abbia avuto una paura folle di essere punto dagli insetti che ronzano. Non mi è mai successo, ma non mi hanno certo rilassato le storie sui rischi dei relativi shock anafilattici.

Tuttavia, non era pensabile realizzare un brano con suoni e rumori delle arnie senza prendere in considerazione l’ipotesi di entrare in contatto con migliaia di pungiglioni ronzanti. Per questo motivo ho procurato per me e Ted, l’assistente microfonista, un bel paio di tute protettive.

Mi torna in mente una mia lontana gaffe scolastica risalente alla seconda elementare. La maestra sta descrivendo in classe come l’apicoltore si avvicini alle arnie per raccoglierne il miele, protetto da un costume. E il me di sette anni, che fatica a comprendere il senso della descrizione, domanda: «Scusi, ma le api non si accorgono che l’apicoltore, nonostante sia travestito col costume, è troppo grosso per sembrare una di loro?».

Fatto sta che sceglierò il mio “costume” giallo. Perché non si sa mai. E acquisterò una confezione di cortisone. Perché non si sa mai.

Una sensazione rilassante

L’appuntamento è sulla collina torinese con Mauro Pizzato, collaboratore di Slow Food per il progetto dei Presìdi, in particolare per la filiera del miele. Mauro ha una grande passione per le api e produce miele.

È, soprattutto, un grandissimo esperto in materia. E la materia è incredibilmente ricca di particolari stupefacenti. Ci raccomanda di non indossare niente di scuro o di nero, colore che le api leggerebbero come minaccioso. Io e Ted Martin Consoli, il fonico afroamericano, ci guardiamo scoppiando a ridere. L’altra raccomandazione è evitare movimenti bruschi. Le api oggi sono tranquille, sarebbero più agitate, per esempio, in prossimità di un temporale, ma se volessero pungere troverebbero il modo di infilarsi ovunque, anche sotto le protezioni.

Ci avviciniamo alle arnie con aste e microfoni. Sembriamo gli addetti di una centrale nucleare. Incominciamo a registrare. A un certo punto le guardiane si mettono in volo e iniziano a ronzare intorno alla mia testa. È una sensazione curiosa, mi fermo e chiudo gli occhi coperto dal cappuccio del “costume” e dalla sua retina protettiva.

Resto in ascolto e mi ritrovo immerso in una sensazione sorprendentemente rilassante. Mi lascio cullare da quel suono ipnotico e assaporo un momento di perfetto equilibrio tra il timore di essere punto e la certezza di essere protetto.

Registriamo prima a distanza, poi vicino, poi vicinissimo. Al momento di scoperchiare le arnie per inserire i microfoni al loro interno, l’apicoltore mette mano all’affumicatore solitamente usato per sedare gli insetti. Registriamo tutto, anche il rumore degli sportelli e della “pompetta”. Li userò per strutturare la ritmica un po’ marziale del brano, trasformandoli in elementi quasi bandistici. Il suono dell’arnia amplificato in cuffia è parecchio suggestivo. Prendiamo tutti i ronzii possibili, generati da decine di migliaia di api in contemporanea.

Il verso della regina

Troverò altrove la registrazione del verso di una regina, poterlo captare in diretta sarebbe stato chiedere troppo alla fortuna. E proprio con il verso della regina, che ricorda uno strumento ad ancia, costruirò una melodia simile a quella di un oboe.

Col volo radente delle api che sfiorano i microfoni, stimolando un “effetto prossimità” in grado di esaltare le basse frequenze, cercherò di estrarre il basso. Con altri vari ronzii creerò ghironde e clavicembali.

Se in tutti gli altri brani ho assecondato il processo creativo, cercando di non governarlo, ma inseguendo stimoli provenienti dai vari ambienti sonori, qui provo ad agire in modo differente. L’aspetto “narrativo” di The queen prevarrà sulle suggestioni dell’ambiente.

Naturalmente pensare di trasformare un insieme di ronzii – per quanto ricchi di musicalità propria – in un ensemble orchestrale è efficace e suggestivo da raccontare, ma provare a concretizzare il tutto è decisamente un’altra faccenda. È stato un lavoro maniacale, soprattutto per quanto riguarda la resa sonora. Esprimere un intreccio dallo stile barocco vuole anche dire dotarlo di una certa gradevolezza, ma non eccessiva, poiché la natura grezza della fonte deve poter essere sempre ben leggibile.

Una cadenza regale

Ho fatto un uso smodato di auto-tune (l’effetto in voga nella musica trap, per intenderci) per rendere più stabili le linee melodiche. Mi sono ritrovato a fare e disfare pazientemente, fino a raggiungere il giusto equilibrio tra la forma originaria dei suoni e la loro manipolazione. L’idea di un’orchestra, che all’inizio del brano sembra prepari l’accordatura, nel pezzo si articola in una serie di incastri su cadenza regale: tutto ciò mi sembra rappresenti bene il mondo delle api nel modo in cui Mauro me lo ha descritto.   

Max Casacci e Mario Tozzi sono gli autori del libro Earthphonia – Le voci della Terra, edito da Slow Food Editore

  

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