Milano per nascere, il mondo per morire. Parafrasando una celebre frase di padre Antonio Viera, che fino all’altro ieri ho erroneamente attribuito a Pessoa, senza controllare. Si riferiva ad un paese e ad un popolo ben più celebre di quello meneghino. Per quel che riguarda il viaggio, racconto del mio tour in Europa.

Sono nato a Milano 35 anni fa. Non appena ho potuto, me ne sono andato. Un desiderio strano per chi nasce nel capoluogo lombardo, che fa del muoversi verso il centro l’obiettivo principale della sua esistenza. Almeno secondo tradizione.

Londra 24/10/22

Un deodorante, due rasoi verdi e blu, una confezione di cotton fioc e del dentifricio – ma senza spazzolino – sono disposti ordinatamente sopra ad una mensola pericolante che incornicia lo specchio lercio del bagno del camerino. Sono nel retro del Comedy Store, Leicester Square, Londra, uno dei locali più leggendari della comicità in Europa.

Mancano meno di otto minuti all’inizio del mio spettacolo, ho le cuffie nelle orecchie e come sempre prima di ogni serata, sto ascoltando High By the Beach di Lana Del Rey e non riesco a smettere di pensare che qualcuno viva in quel camerino e usi quotidianamente quel bagno.

Nell’50 per cento delle mie mattinate cerco di fare qualche flessione (0 per cento), faccio plank (100 per cento) riprendendo la sequenza da un post che ho visto su Instagram, ma riducendo durata e rotazione degli esercizi.

Lo faccio per non diventare il sacco di birra e proteine che un tour del genere (Lisbona-Barcellona-Parigi-Amsterdam-Lugano-Londra-Milano-Berlino in 30 giorni) ti porta ad essere.

In albergo a Londra ho avuto la sciagurata idea di farlo sulla moquette e quando mi sono alzato avevo la faccia rossa come se mi fossi lavato con la saponetta di un orinatoio di un pub.

È molto frequente che, prima di salire sul palco, per scaricare la tensione, si permetta alla mente di vagare per i fatti suoi. Nell’99 per cento dei casi si pensa a qualcosa che fa saltare la concentrazione: odio per i comici che vanno troppo bene, leggero fastidio allo stomaco, desiderio di fumare, quando ormai è troppo tardi e stereotipi a manetta, anche perché sono l’alfabeto della comicità.

Il cibo

Ho mangiato di tutto in questo mese, facendo continuamente paragoni con quel che si mangia da noi. Dal granchio dell’Atlantico a Cascais, ai gipfel ripieni di tacchino a Lugano, dal fish&chips a Londra, alle terrine di fois gras a Parigi, sono stato in una trattoria vegetariana a Barcellona (per come noi intendiamo le trattorie in Italia: non robe fashion tutte vegan, proprio un’osteria con le nonne che cucinano vegetariano). Ho bevuto birra ovunque sia stato.

Tapas carissime ad Amsterdam dove ho scoperto il burro al miso e l’eleganza di un cespuglio di iceberg servito senza condimenti, da mangiare così, in purezza, per 4,50 euro. Colazioni iperproteiche ovunque. Verdura e frutta vissute come acqua fresca nel deserto. Pere e mele in Inghilterra che non hanno mai visto il sole nella loro orribile vita, che fanno il verso a tutto il marketing fintissimo sui prodotti “organic, bio, plant based, ecc”. Tutto finto, tutto fake.  

In generale mi è sembrato che il mazzo che si deve fare un ristoratore in Italia per rispettare le regole vigenti in materia di igiene sia di ben altra fatica, rispetto al resto d’Europa. In Portogallo la griglia è posizionata vicino ai tavoli, che sia carne o pesce, nessun problema, la cappa che aspira il fumo, sei tu. In Francia non esiste il concetto di distanza fra i tavoli, anzi è graditissima la vicinanza estrema, a Londra il cibo non conta, nonostante sia chiaramente uno dei pochi business della felicità: l’offerta media è ridicola, ma tutti cercano cibo da mangiare camminando, come suggeriscono il dietologo e la mamma. In Olanda si fa finta che sia importante, ma è una scusa nell’attesa di fare altro.

Essendo italiano prima che milanese, mi sono reso conto velocemente che, almeno all’inizio, quando si va all’estero, la giornata viene completamente impostata sui pasti. Dove mangio, dove mangerò, cosa mangerò, ma soprattutto, più di tutto: di cosa mi lamenterò. Fa ridere, ma lo facciamo tutti.  Dopo cinque giorni inizia a diventare secondario, forse.

Nostalgia di Milano: 30 per cento (?) non saprei proprio dirlo.

La moda

Con portoghesi e spagnoli ci assomigliamo sotto tanti punti di vista, (statistiche quasi identiche quando si tratta di acconciature maschili e vestiario femminile), la globalizzazione ha appiattito molte differenze anche e soprattutto per quel che riguarda la moda. Londra rimane sempre la città più cool, Parigi la più affascinante, Lisbona la più facile da girare, però tutto si assomiglia. I negozi in vetrina mostrano gli stessi prodotti, commessi e commesse sono snob nello stessa maniera a Milano come a Londra, a Parigi come a Barcellona. Sembra che tutto sia uguale, ma c’è un dettaglio che parla più di mille altri, basta avere la pazienza di osservarlo per inorgoglirsi in giro per il vecchio continente: le scarpe.

Nessuno ci sta dietro quando si tratta di scegliere le scarpe. Non sto dicendo che gli italiani vestano scarpe più belle o alla moda, semplicemente si vede che c’è un pensiero dietro alla selezione, che non è completamente squilibrato il rapporto fra scarpe e resto del guardaroba. Si capisce che un italiano un giorno è uscito di casa e ha pensato di farlo, non per necessità, non solo perché gli servivano, ma proprio perché ha deciso di comprarle, ha selezionato, provato, sbagliato a mettere un paio di scarpe. Gli altri se lo fanno e quando lo fanno, non gli riesce in modo così naturale. Si nota. Solo con gli inglesi potrebbe esserci una reale sfida. Parlo dell’uomo della strada, non parlo del top.

Nostalgia di Milano: 5 per cento anche perché sembra sempre di stare in giro per Milano quando si è fuori.

L’accoglienza

Lisbona è una città molto facile da girare, le persone sono disponibili, il turismo, in ogni sua forma è la vera industria del Portogallo e di Lisbona in particolare. Barcellona, in quel suo strano mix fra Napoli e il settentrione leghista italiano, è una città incredibilmente internazionale e provinciale allo stesso tempo. Nel 100 per cento dei miei viaggi a Barcellona ho avuto questa impressione. Lugano, bella, ma non ci vivrei, non è un caso che le due canzoni italiane più famose con Lugano nel titolo siano: Addio Lugano bella – canto popolare – e Lugano addio di Ivan Graziani, che cita la prima.

Parigi è accogliente come una folata di vento gelido quando si esce in strada la mattina per andare al lavoro. Città sempre affascinante, lo sappiamo tutti, però parlandone con amici che vivono lì, città ostica, carissima, scomoda. Ma Parigi è sempre Parigi. Londra è il centro d’Europa. Per un bisogno superiore, che poi è un bene superiore, si sacrifica tutto, a partire dalla socialità. Per fortuna che quando si tratta di spettacolo, di show, di eventi, di alcol, sono i migliori d’Europa.

Berlino, di giorno sembra Bollate. Di sera è Berlino, stupenda.

Nostalgia di Milano: 20 per cento.

I club e i teatri

La cultura dei club all’estero è molto differente. A Londra e ad Amsterdam sono salito sul palco di due club incredibili. È stato come correre a Monza o a Spa per un pilota. In Italia abbiamo i bar, i club, i teatri piccoli, medi e grandi. Ho avuto la fortuna di salire sul palco in qualsiasi situazione e mi piacciono tutte, ma il livello dei club che ho trovato fuori è troppo diverso per non farci caso. A Parigi ho perso la voce a fine serata, ad Amsterdam ho sperimentato il vero ascolto del pubblico: il silenzio prima di una risata, prima di una battuta, è spesso molto più importante della risata stessa. A Lisbona mi sono commosso a fine serata, a Barcellona mi sono divertito da matti. Londra è stata la miglior serata che abbia mai fatto. Il merito è sicuramente del pubblico, ma anche della gestione dei locali: tavolini, sedute, bar, disposizione delle casse, delle luci, altezza soffitti, camerini, era tutto perfetto. C’è molto da fare da noi, per arrivare a quel livello. Per molto intendo: aprire due posti così almeno a Roma e Milano. Tutto qui.

Il mio lavoro

©lapresse archivio storico spettacolo musica Monaco di Baviera 17-10-1983 Toto Cutugno nella foto: il cantante Toto Cutugno sul palco durante un concerto BUSTA 5716

Mi sono sentito come si doveva sentire Toto Cotugno quando andava in tour all’estero. Con questa battuta ho aperto a Lisbona e a Barcellona. Non ha fatto ridere in entrambi i casi. Ho smesso di dirla. Io sono abbastanza cosciente di quel che faccio. Vivo della passione di una nicchia di spettatori e fan della cosiddetta stand up. Una nicchia in espansione, questo è certo. Ma ancora abbiamo a che fare con una dimensione indie, che spero potrà sfociare nel mainstream, prendendo in prestito queste espressioni dal mondo della musica. Quindi so che le persone che vengono a vedere me, come i miei colleghi, lo fanno perché sono appassionati. All’estero ho sentito forte l’affetto del pubblico, un pubblico misto, che viene da ogni parte d’Italia, caloroso, contento di trovarsi di fronte una persona che si è fatto la menata di andare a trovarli e che per 80\90 minuti cerca di riportarli nel loro, nel nostro paese, scherzandoci sopra e facendogli credere che sia stato faticoso fare questo tour, quando invece lo ricorderò come uno dei mesi più belli della mia vita.

Finale

Nostalgia di Milano, dell’Italia: ma sì certo, sempre, ci si pensa sempre, ma appunto: Milano per nascere, il mondo per viaggiare, per morire, vedremo.

© Riproduzione riservata