Mal di Libia edito meritoriamente da Bompiani è un libro necessario.

Nancy Porsia è un’amica cara, scrittrice e giornalista di rara sensibilità di cui stimo il lavoro e la sensibilità morale verso la contemporaneità e la sua complessità.

Mal di Libia è un viaggio nel Mediterraneo, non solo in Libia, è un racconto delle persone, delle speranze, della morte e della violenza che investe il mare nostrum. È un testo per chi vuole guardare oltre i propri confini, per comprendere la complessità, oltre le opinioni e i titoli.

C'è tanto giornalismo che sa raccontare, non è vero il contrario. C'è poco spazio per narrare il reale necessario, questo sì che è vero. Ci sono giornalisti che raccontano quello che la narrativa generale vuole come mondi lontani, mentre predichiamo di mondo connesso e tutto di prossimità. Si vuole la dimenticanza delle nostre azioni, come paese, delle nostre responsabilità, di intrecci che portano al bivio eterno di decidere da che parte stare: da quella che cambia il mondo per davvero o da quello che dietro l’accettazione della realtà agisce cinicamente e il più delle volte comporta morte e disperazione.

Stress che uccide

Nancy ci trascina in un viaggio che disvela le fatiche di chi ci racconta la guerra, di chi deve raccogliere particolari, dettagli, essere sempre assolutamente preciso, mentre infuria la guerra, e quando le armi tacciono, infuria lo stress che quasi ti uccide perché il pericolo può essere dietro l’angolo in ogni istante e finisci in ospedale di notte. Il giorno dopo si diventa un articolo letto distrattamente, purtroppo. Questo lungo racconto restituisce il lato umano, di impegno non solo del giornalismo ma di chi pratica la vita con empatia, che sta dalla parte di chi soffre, lotta e spera in un domani migliore.

L’obiettività giornalistica è una frase senza senso: la precisione è fondamentale e lo schierarsi con l’umanità. Le pagine sono un viaggio non solo in Libia, ma anche e soprattutto nella nostra Italia, nel suo mondo del lavoro, delle sue percezioni, mentre ci confrontiamo con mondi e lingue sconosciute ai più. Il mondo di Nancy, ritratto sapientemente da Ilaria Iovine e Roberto Mariotti nel film documentario Telling My Son’s Land, altro esempio di non seguire le mode ma il racconto necessario, è un mondo che raccoglie tutto il Mediterraneo, il suo fascino e i suoi interrogativi. E spicca il principale, perché il paradiso della Terra si è trasformato nel cimitero delle idee, della convivenza, nel cimitero di mare più grande al mondo. Che cosa ha trasformato la bellezza, in polvere amara?

I libri rimangono documenti fondamentali per comprenderci e comprendere il mondo. Meritoriamente tutto il lavoro di Nancy è ora stato bloccato nero su bianco, così non si potrà dire che non si sapeva, che non sapevamo. Storie di uomini, donne, di normalità nell'assurdo dispiegarsi della follia del potere e delle sue complicità. Pagina dopo pagina è come correre nel deserto, nei venti del mare, nelle difficoltà di un vivere quotidiano che guarda l’Europa e attende risposte.

Un libro che gronda umanità, sensibilità. Pagina dopo pagina si attraversano cancelli di case vere, di sogni e speranze, di vicoli e strade assolate, di spiagge cariche di corpi di migranti morti, di affari e interessi, di minacce e di solitudine. Pochi libri hanno un sentire così accorato, perché la Libia, il Mediterraneo sono stati casa reale per Nancy. Questa la sorpresa delle autorità quando l'interrogavano: io ci vivo da anni a Tripoli. Non un giornalismo di transito, ma residente, legato alle relazioni costruite nel tempo.

Vittime

Tanti, troppi i passaggi che rimangono impressi nella lettura delle pagine. Tra questi ho scelto quanto segue:

«La parola “mafia” continua a girarmi nella testa mentre scrivo dei Koshlaf, di Bija, della prigione Al Nasr e degli europei. Forse qui si tratta solo di corruzione. Ma, a prescindere dal nome, alla fine le vittime di questo sistema restano vittime, torturate, comprate, vendute, stuprate, uccise. Forse questa è la mafia nel suo stato embrionale. Forse questi sono i prodromi della democrazia, o quella che noi definiamo democrazia. La democrazia ha bisogno di un padrone per essere imposta. Forse il mondo occidentale è alla ricerca del padrone che porti in Libia la democrazia. Non la democrazia del governo del popolo, ma quella della stabilità, degli affari, degli interessi. Una democrazia che chiuda quel corridoio di clandestini in cui si è trasformata la Libia».

La disattenzione permea i nostri giorni, e si salda all’evitare con attenzione l’approfondire, leggendo e studiando. Ricorsi da un tempo mai sufficiente se non a scorrere video brevi su schermi mobili.

Questo è un viaggio complesso, affascinante e denso. È un viaggio per chi desidera conoscere, per davvero il racconto di chi è stato sul campo e non inteso solo come fronte di guerra ma della vita.

Interroga il senso della democrazia, della libertà, dell’attraversare. Interroga il lettore perché la brevità della vita è comporre affetti e proteggerli. Eppure i video brevi su schermi mobili sono affollati di morti, esseri umani che non avranno più la possibilità di costruire affetti e futuro. E questo, solo questo, ci dovrebbe far sobbalzare, indurci a porci domande. È vero nessuno può aiutare tutti ma tutti possono aiutare qualcuno, ed anche questo è vero.

Il libro di Porsia è affollato di vita, di generosità, di slanci di coraggio e di umanità. Di persone di fedi e lingue diverse che rappresentano la maggioranza, che accolgono lo straniero, l’italiana di Tripoli e le danno ospitalità e condividono le loro storie.

Tutti affacciati sulle sponde del Mediterraneo. Perché questo è anche e soprattutto un libro di speranza.


Mal di Libia di Nancy Porsia (Bompiani), 2023, 288 pp., euro 17.10 

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