Quando Mao ha deciso che si mangiava in collettivo

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è cucina abitabile. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Era il 1940, e il Giappone aveva già invaso ed occupato una parte considerevole della Cina. Malgrado la firma di un patto d’alleanza contro l’invasore, il Partito Comunista, guidato da Mao Zedong, e il Partito Nazionalista, guidato da Chiang Kai-shek, continuavano a combattersi l’un l’altro. Chiang era a capo della nazione, e aveva spostato la capitale a Chongqing. Il Partito Comunista invece era vicino a Yan’an, capitale rivoluzionaria della «regione di frontiera del Shaanxi-Ningxia-Gansu». Fra un addestramento militare e l’altro, fra una riunione di Partito e l’altra, e la messa a punto di strategie per conquistare il paese intero, Mao scriveva, concedeva interviste ad alcuni giornalisti ben selezionati (come l’americano Edgar Snow, che rimase folgorato e non mise in discussione niente) e stendeva le basi della sua filosofia politica. Urgeva, a suo giudizio, rinnovare ogni cosa: «Tutti i nostri sforzi sono tesi a costruire una nuova società e una nuova nazione per il popolo cinese», scrisse, decidendo che l’interezza della cultura cinese andava rivista, non solo la cultura imperiale o il confucianesimo, ma tutto. La Rivoluzione Culturale era ancora lontana (sarebbe iniziata solo nel 1966) ma l’enorme e catastrofico movimento che la precedette, il Grande Salto in Avanti, era invece già nei pensieri di Mao, che lo avviò nel 1958. Dal fuoco al Bimby: così gli elettrodomestici hanno rivoluzionato la nostra cucina L’Uomo Nuovo senza wok Il Grande Timoniere aveva deciso che l’economia cinese andava ribaltata per essere resa dinamica e, per l’appunto, rivoluzionaria. La Cina avrebbe superato la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non copiandone il sistema capitalista, ma collettivizzando tutto, ancora più di quanto non avesse fatto Stalin, e l’ardore comunista avrebbe portato al trionfo economico del paese – non le capacità personali, non il desiderio di guadagnarsi la vita e migliorare le condizioni proprie e della famiglia, bensì le fiamme ideologiche. A partire dal 1958, dunque, centinaia di quadri di Partito piombarono sulle campagne cinesi con l’ordine di collettivizzare tutto: dagli attrezzi per l’agricoltura ai campi e al bestiame, passando anche per quanto di più intimo c’è in ogni famiglia. Ovvero, la cucina domestica, che venne improvvisamente bandita. Decidendo che l’Uomo Nuovo comunista dovesse essere pronto a vivere in maniera, per l’appunto, nuova e rivoluzionaria, vennero confiscate pentole e padelle (quelle in ferro furono fatte fondere decidendo che così si sarebbe prodotto più acciaio di quanto non ne uscisse dalle nazioni capitaliste avanzate, anche se il metallo risultante si rivelò di qualità estremamente scadente e spesso inutilizzabile) e provviste alimentari private. Furono sequestrate anche scodelle e altre suppellettili, perché cosa poteva esserci di più “feudale” che non la famiglia? Da eliminare, insieme al luogo in cui si ritrovava per consumare i pasti. Dovevano esistere solo le mense, o gonggong shitang, letteralmente “sale da pranzo comuni”, e si doveva mangiare solo in modo comunitario cibo preparato dagli addetti alla cucina delle Comuni del Popolo. Cucinare senza cucina, l’arte di trasformare gli ingredienti in nutrimento Una calamità Fino a qualche decennio fa se ne poteva ancora vedere qualcuna in giro per le campagne – altre invece sono state ora preservate non come monito, ma con una bizzarra nostalgia. Si trattava di edifici a un piano, piuttosto ampi, rettangolari o quadrati e con diverse aperture che davano direttamente verso i campi. Sul retro, una grande cucina dove a turno i contadini rivoluzionati cuocevano il riso e facevano saltare pietanze su grandi wok. Nelle sale erano stati messi tavoli e sedie di legno, a disposizione dei commensali, ai quali poteva capitare di ritrovarsi nuovamente fra le mani una ciotola precedentemente confiscata da casa loro, e messa a disposizione del popolo. Le pareti sia interne che esterne delle mense erano coperte da manifesti e slogan rivoluzionari che inneggiavano a Mao e al partito, e alla bellezza di poter mangiare gratuitamente grazie a loro. Ogni comune popolare aveva all’incirca 23.000 membri, e nel momento di maggior espansione, le mense delle comuni erano poco meno di tre milioni, sparse in tutte le campagne. Clean cooking: quando cambiare fornello significa cambiare vita Un campanello annunciava che il cibo era pronto, i contadini si mettevano in fila, riempivano le ciotole e si sedevano ai tavoli comuni. Chi voleva poteva servirsi di nuovo, ma il bengodi durò poco. Le mense forzate giocarono un ruolo fondamentale nel rendere la distribuzione del cibo fallimentare, e furono eliminate nel 1962. Il cibo gratuito aveva infatti portato a sprechi enormi, e le mense comuni avevano monopolizzato l’interezza della produzione alimentare. Chi veniva scoperto con del cibo in casa veniva infatti punito in quanto “accaparratore capitalista”, cosa che interruppe l’abitudine di mettere da parte cibo preservato per l’inverno, o in vista di cattive annate per il raccolto. Dopo pochi mesi di Grande Salto in Avanti la collettivizzazione si era estesa a tutto. Il cibo cominciò a scarseggiare, poi scomparve. E al suo posto, arrivò la fame. Le stime più conservatrici sulla carestia causata da questo esperimento sociale e agricolo parlano di circa 30 milioni di morti. Studiosi come Frank Dikotter, professore all’Hoover Institute di Stanford e all’Università di Hong Kong, conteggiano invece anche i decessi per malattie rese mortali dalla denutrizione e chi perì camminando per ore in cerca di qualcosa da ingerire, e arrivano ad avanzare l’ipotesi di più di 60 milioni di morti. L’idea rivoluzionaria di eliminare le cucine di casa si rivelò fra le più calamitose della storia. [Missing Caption][Missing Credit]