Dave Garshelis lavora con umani e orsi da quasi quarant’anni. Gli ho chiesto al telefono cosa ne pensa della traslocazione. «La gente crede che sia una soluzione umana, ma io non ne sono tanto sicuro», mi ha risposto. Spesso a finire nei guai sono le femmine con i piccoli, perché hanno bisogno di più cibo. «Mamma orsa è nel suo territorio che insegna ai suoi cuccioli dove trovare da mangiare ma ecco che arrivi tu e, da un momento all’altro, la prendi e la molli da un’altra parte, in un posto che non conosce per niente, a competere per il cibo con un branco di altri orsi. Li reimmetti in un sistema sociale con cui non hanno familiarità».

Quando i biologi degli orsi dello Stato di Washington hanno condotto un sondaggio su quarantotto enti che si occupano della fauna selvatica negli Stati Uniti, il 75 per cento ha ammesso di impiegare occasionalmente la traslocazione degli orsi problematici, ma solo il 15 per cento lo riteneva un metodo efficace per risolvere il problema. Lo si usa più spesso nei casi assurti agli onori della cronaca, quando l’attenzione dei media ha puntato i riflettori sull’animale e sull’ente forestale. In generale, la traslocazione è più utile per gestire l’opinione pubblica che per gestire gli orsi.

I candidati più promettenti sono i giovani orsi traslocati all’inizio della loro carriera “criminale”. Ciò è in parte dovuto al fatto che i cuccioli sono meno inclini, o meno capaci, a ritrovare la strada del ritorno, ma il motivo principale è che il tuffo nel cassonetto è solo il primo passo verso la criminalità.

Poi arrivano l’effrazione, il furto con scasso, l’aggressione in domicilio privato. Man mano che i mangiatori di spazzatura si abituano agli esseri umani e iniziano ad associarli a una fonte infinita di cibo, il rapporto rischio-beneficio cambia. Il rischio è meno percepito, il beneficio è assicurato. Perché fermarsi alle scatolette di metallo dietro i ristoranti? Perché non entrare nelle grandi scatolone in collina che emanano quei profumini allettanti? Dalla fine del periodo del letargo, ad aprile, la Colorado Parks and Wildlife ha ricevuto quattrocentoventuno segnalazioni di danni causati da orsi che erano andati in cerca di cibo di origine antropica nella contea di Pitkin. La maggior parte di queste segnalazioni arriva al gestore distrettuale della fauna selvatica Kurtis Tesch, che io e Breck incontreremo domani.

I rischi della siccità

L’orso più scuro, forse stanco di essere tormentato dal suo simile più dominante, ha afferrato un sacchetto ed è salito su per una gradinata. Lo seguiamo, giriamo un angolo e saliamo al primo piano di un piccolo centro commerciale di lusso. In circostanze normali, avrei adorato la vista totalmente paradossale di un orso che se ne sta in piedi davanti a una boutique di Louis Vuitton. Questo scemotto col muso sporco di burrata, innocente e del tutto ignaro del probabile destino che lo aspetta, mi fa venire da piangere.

Kurtis Tesch ne ha di storie di orsi da raccontare, ma forse non quelle che vi aspettereste. A colpirlo non sono le manifestazioni di forza o di violenza, ma l’intelligenza e l’occasionale e inaspettata leggiadria dei movimenti. La storia dell’orso che ha scartato la pellicola di un cioccolatino. Dell’orso che si è alzato sulle zampe posteriori, ha afferrato una porta da entrambi i lati e l’ha scardinata per poi appoggiarla con delicatezza alla parete.

«Entrano e tirano fuori le cose dal frigorifero, tipo le uova, e le posano senza romperle». Siamo diretti verso il luogo dove c’è stata un’effrazione, su una dorsale. Siamo io, Kurtis e Breck, stretti nel furgone ingombro e assordante del Colorado Parks and Wildlife, che saliamo su per i tornanti. Un uovo non durerebbe a lungo qui dentro.

Quest’anno gli orsi neri stanno dando parecchio lavoro a Kurtis. E non se lo aspettava nessuno, perché in primavera è piovuto parecchio. Si ritiene che i conflitti uomo-orso si intensifichino con la siccità, non con la pioggia abbondante. Ma l’anno precedente era stato molto secco, e Kurtis ha sentito dire che la siccità spinge alcune piante a produrre un eccesso di materiale riproduttivo – frutti, semi, bacche, ghiande – per poi ridurre la quantità l’anno successivo. «Cercano di spargere i semi perché sono convinte di stare per morire. E poi, quando arriva un anno piovoso, si concentrano di più sulla crescita». Non so se è questo il caso, ma mi piace questa visione degli alberi che si preoccupano, stabiliscono delle priorità e pianificano le fasi del loro decesso.

Breck, dal sedile posteriore, dice che c’entra anche l’aumento delle temperature, che accorciano la durata del letargo. In uno studio del 2017, lui e sei biologi del Colorado Parks and Wildlife hanno radiocollarato cinquantuno orsi neri adulti e monitorato le tempistiche e la durata dell’ibernazione insieme ai fattori ambientali.

A ogni aumento della temperatura di 1,8 gradi Fahrenheit, l’ibernazione si riduceva di circa una settimana. Sulla base delle attuali proiezioni sul cambiamento climatico, gli orsi neri del 2050 andranno in letargo per un numero di giorni compreso tra quindici e quaranta giorni in meno rispetto a oggi. Sono quindici o quaranta giorni in più passati in giro in cerca di cibo. Alle possibili conseguenze del cambiamento climatico va aggiunta la voce “aumento di irruzioni di orsi in casa”.

Abbondanza di cibo

Anche la disponibilità alimentare influisce sull’ibernazione. Se un anno il cibo abbonda, gli orsi vanno in letargo per periodi più brevi. Per un orso che inizia a fare affidamento su alimenti di origine antropica, ogni anno è un anno abbondante. Breck ha scoperto che il letargo degli orsi che andavano alla ricerca di cibo principalmente nelle aree urbane durava un mese in meno rispetto a quello degli orsi che cercavano sostentamento nel loro habitat naturale. Un’altra conseguenza preoccupante dell’abbondanza di cibo è che il tasso riproduttivo aumenta.

Le femmine di orso bruno possono usare una strategia riproduttiva chiamata “impianto ritardato”. Gli ovuli fecondati si segmentano in cellule chiamate blastocisti che si conservano in standy-by nell’utero durante l’estate. Se poi si impianteranno nell’utero – e in che numero – in autunno, dipende dallo stato di salute della madre e da quanto ha mangiato.

Siamo arrivati al vialetto della casa che dovevamo raggiungere. Da qui, sembra una modesta villetta. Perché non ci siamo resi conto che quello che vediamo è solo il garage e forse un’altra stanza. La dimora prosegue dall’altro lato della montagna per due, tre, non so neanche quanti piani. Breck scende dal furgone e si dirige verso il bordo della strada sul crinale. Immagino che sia incantato dalla vista, ma mentre mi avvicino lo sento elencare i nomi di arbusti e alberi selvatici che crescono spontanei intorno alla casa, quelli che danno di che nutrirsi agli orsi neri: amelanchier, Prunus virginiana, querce.

«Già», fa Kurtis. «Questo è uno dei migliori habitat per gli orsi in Colorado. Siamo entrati nel loro habitat». Kurtis indossa un paio di occhiali da sole con le lenti riflettenti arancioni che non si sfila mai di dosso. È biondo, muscoloso, con la mascella scolpita, e non so dirvi altro.

I padroni di casa erano fuori città. È stata la governante, Carmen, a scoprire cos’era successo e a chiamare la polizia, che a sua volta ha chiamato Kurtis. Carmen ci accoglie e ci porta al piano di sotto, ovvero al punto di ingresso: una finestra a tutta altezza in una camera da letto con terrazzo privato.

Dice che la finestra era chiusa perfettamente, ma gli orsi riescono a infilare i loro artigli anche in un pertugio minuscolo del telaio. Una zanzariera giace sulla moquette. È bianca, ma l’orso, dice Carmen, non ha lasciato tracce e non ha fatto cadere nulla mentre saliva le scale per raggiungere il frigorifero al piano di sopra. Viene da pensare che se avesse trovato un mocio a portata di mano, avrebbe anche dato una passata al pavimento della cucina.

Albert il ciccione

A Breck questo orso ricorda un esemplare che, ai tempi delle sue ricerche, entrava spesso nelle case di Aspen. Lo chiamavano Albert il ciccione. «Era un tipo tranquillo. Apriva con delicatezza la porta di una baita, entrava, mangiava qualcosa e se ne andava. La gente esclamava: “Pazzesco, non mi ha distrutto la casa”». Ecco perché era grasso. E perché era vivo. Un orso così è più tollerato. Un orso aggressivo che sfascia tutto o dà ai padroni di casa la sensazione di essere in pericolo o di essere stati violati sarà “accoppato” molto presto, per citare Breck. Il vantaggio, se così si può dire, è che la selezione naturale favorisce quelli come Albert il ciccione. È probabile che gli orsi aggressivi vengano soppressi prima che abbiano troppe opportunità di trasmettere i loro geni.

Con una percentuale crescente di orsi mansueti come Albert il ciccione, sarà possibile pensare alla convivenza? Se non addirittura a una politica che regolamenti la convivenza? Potremmo vivere con gli orsi nel cortile come viviamo con i procioni e con le puzzole? Ho posto questa domanda a Mario Klip, uno specialista di orsi del CDFW, California Department of Fish and Wildlife, il Dipartimento della Fauna Selvatica e Ittica della California. Lui si occupa della regione del lago Tahoe.

Nella sua zona, questa è già la realtà, mi ha detto. Supponiamo che una coppia trovi un orso nel terrazzo. Piuttosto che chiamare il California Department of Fish and Wildlife, possono chiamare la Bear League, un’associazione a difesa degli orsi del posto. «Quelli della Bear League ti mandano qualcuno che striscia sotto il terrazzo, punzecchia l’orso con un bastone e lo fa scappare, e poi ti aiuta a installare le recinzioni».

Insieme a loro, Klip pratica la convivenza. «Stanno facendo quello che nessun altro fa», dice. Sempre più persone desiderano soluzioni non letali per gli orsi che entrano nelle proprietà o nelle case. E non solo i californiani.


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