È cominciato un nuovo Salone del libro! Nella sua casa milanese vista Navigli Fabio Denti – uno Strega, un Viareggio e una cinquina al Campiello – butta giacche e pantaloni sul letto per cercare la combinazione perfetta per il suo spezzato di primavera. Sceglie una giacca blu e un pantalone crema, abbinati a una cravatta Regimental. Le scarpe saranno inglesi, color cuoio, e per la camicia su misura con iniziali sceglie un cotone oxford azzurro (il lino si stropiccia e le cifre eleganti le esibiva solo Arbasino): il suo stile un po’ ingessato varrebbe di per sé un meridiano Mondadori, il classico taglio glam di porta Ticinese.

Circa cinquecento chilometri più a sud, nel suo attico romano a una schioppettata da Castel Sant’Angelo, Piero Nutini – un Campiello, un Viareggio e una cinquina Strega – s’infila una camicia di jeans sopra un paio di pantaloni beige gualciti. Sneaker giallognole, anonime quanto basta per garantirgli il suo marchio di fabbrica: l’informale scalcagnato, l’understatement chic di Prati. Quasi un Adelphi.

Otto chilometri più a sud, in un appartamento da cui si può intravedere la basilica di San Giovanni, Ottavia Lanza – una dozzina Strega e un Campiello perso per undici voti (undici giurati maschi, secondo lei) – si mette una gonna a fiori sopra il ginocchio, una camicetta bianca e una giacca di velluto arancione a costine fini (anche se farà troppo caldo, il velluto è irrinunciabile). Il tutto su un paio di Camperos bianchi senza calze: ha deciso che sarà un’autentica pasionaria, la Giovanna d’Arco del Lingotto. La Tartaruga. Scendendo a sud di altri cinquecento chilometri, in uno scantinato in sub affitto da cui si possono inalare i fumi dell’Ilva, Salvo Fossa – scartato dal Chiara, dal Settembrini e dal Ceppo con il suo primo libro di racconti – s’infila la t-shirt con la Banana dei Velvet Underground, un paio di jeans logori e delle scarpette da corsa orrende (ma utilissime nelle maratone a cui viene costretto nei vari saloni e festival letterari). Come soprabito s’infila senza indugio un chiodo, perché con vezzo piccolo borghese gli piace pensare di sé di essere l’ultimo punk della letteratura. Fa molto festa Minimum fax.

Sia Fabio Denti che Piero Nutini in treno vengono contattati dai rispettivi uffici stampa, i quali oltre ai biglietti ferroviari hanno già provveduto a organizzare fin nel più piccolo dettaglio la trasferta torinese dei due scrittori, i quali dopo le presentazioni, Sala Blu per l’uno, la più piccola Magenta per l’altro, dovranno sottoporsi a un firma copie allo stand, a interviste tv e radio (nello specifico, Denti una televisiva e due radiofoniche, Nutini due televisive e una radiofonica), due dirette streaming su Instagram e Facebook e sottoporsi a uno shooting fotografico a testa. Sia Fabio Denti sia Piero Nutini vogliono essere rassicurati di dormire all’Nh, quello attaccato al Lingotto dove vogliono stare tutti, ed entrambi vogliono sapere se c’è anche l’altro.

«C’è anche Nutini?» chiede Denti.

«Sì, c’è».

«Ah, capito».

E Nutini domanda: «Dorme lì anche Denti?»

«Affermativo».

«Ah, va bene».

Anche Ottavia Lanza viene contattata in treno dal suo ufficio stampa, benché in un modo più breve e meno particolareggiato: dormirà in un hotel nei pressi di Porta Nuova e dopo la presentazione non dovrà fare niente di niente, a parte pubbliche relazioni per estendere e ramificare le sue conoscenze (il lavoro più stancante di tutti: ingrossare la rubrica). A Salvo Fossa non telefona nessuno, perciò a un certo punto – già all’altezza di Bologna – è lui che fa una telefonata al suo ufficio stampa. Vorrebbe sapere se esiste un rimborso spese per i treni e per il bed & breakfast che si è pagato da solo, ma l’ufficio stampa nicchia, farfuglia che il momento è delicato, che gli autori devono capire che non sono l’ombelico del mondo, che la filiera è complessa, che l’editoria è una bolla speculativa che prospera sul debito e sulla resa...

Il primo ad arrivare sullo spiazzo del Salone è Fabio Denti, fresco come una rosa considerata la brevità del suo viaggio in auto. Subito viene raggiunto dalle ragazze dell’ufficio eventi della sua casa editrice, dotato di badge prioritario per la durata di tutto la manifestazione (anche se lui starà sì e no ventiquattrore) e deposto delicatamente su una poltrona della esclusiva sala Lounge, con in mano un caffè a cialde fumante. Il secondo è Piero Nutini che viene accolto con la medesima solerzia e cordialità di Denti, ma che invece del caffè classista nella saletta riservata esprime la volontà di andare a fare il suo primo bagno di folla alla caffetteria pubblica, ed è tutto uno stringere mani affermando come se fosse impegnato in una grottesca campagna elettore che lui al Salone vuole stare con la gente, tra i lettori, tra le puzze, che gliene frega di stare nella hall con gli altri scrittori? La terza a presentarsi all’ingresso del Lingotto è Ottavia Lanza, che adesso subisce una gragnuola di telefonate da parte del suo ufficio stampa, ma non riescono a trovarsi, la biglietteria diventa un labirinto, ed è costretta a dirottare agli ingressi Professionali, dove un addetto finalmente trova il suo nome nel database dei relatori e la fa entrare. Dopo diverse ore da questi ingressi, finalmente giunge a destinazione anche Salvo Fossa, il quale non prova nemmeno a contattare il suo ufficio stampa e infila spedito l’ingresso dei Professionali.

«Sono uno scrittore», dice convinto. «Devo raggiungere lo stand del mio editore».

L’addetta lo guarda poco convinta. «Ne è proprio sicuro?»

«Sicurissimo, e sono in ritardo».

«Ha con sé un suo libro? Sa è per fare una verifica».

Salvo Fossa sbuffando apre lo zainetto e tira fuori una copia del suo libro. «Fortuna che ne porto sempre una copia con me, fanculo».

Proprio in quel momento si sente un uomo scoppiare in un pianto a dirotto.

«Non litigate, ve ne prego!» supplica una donna accanto all’uomo in lacrime (si fatica a capire se sia un’addetta stampa o una badante). «Lui è Renatino Rovi, il poeta, il genio! Avete letto la sua opera fondamentale Gas Silvestre

Dopo qualche altro conciliabolo umiliante tra addetti sulla plausibilità del volume esibito, Salvo Fossa si vede stampare un pass temporaneo della durata di mezza giornata.

Ora i nostri scrittori sono tutti e quattro all’interno della kermesse, che si aggirano nei corridoi, per le sale e gli stand, e il Salone altro non è che un prolungato mezzogiorno di fuoco, in cui chi cede e saluta per primo è morto, cioè ammette di essere inferiore rispetto all’altro (d’importanza, di visibilità, di vendite: la bravura invece non c’entra quasi mai). Così Salvo Fossa si sbraccia dal fondo di una sala per salutare Piero Nutini, il quale resta immobile, impietrito, una maschera di cera. Salvo Fossa è costretto ad arrivargli praticamente sotto al naso, prima di ricevere un minimo di considerazione.

«Piero? Ti ricordi di me? Quel festival sui Poètes Maudits a Battipaglia. Organizzavo io. Ti ricordi che buone quelle mozzarelle?»

Soltanto a quel punto Piero Nutini ha un’epifania, aprendosi in un sorriso largo e disarmante nei confronti di Salvo Fossa.

«Fossa! Il raccontista! Macché scherzi, certo che mi ricordo!» esclama, affibbiandogli anche una pacca sulla spalla, prima di volatilizzarsi.

A pochi metri di distanza si fronteggiano Ottavia Lanza e Fabio Denti. Denti rimane impassibile mentre nella testa della scrittrice comincia un ragionamento forsennato, un mix di ideologia e senso pragmatico, secondo cui una donna non deve aspettare che a salutare sia l’uomo perché in fondo quella sarebbe ancora un bon ton da patriarcato, una vuota cortesia funzionale alla disparità e alla discriminazione, un po’ come succedeva ai tempi oscuri dei cavalier serventi e dell’amore cortese, basta con questa idea della donna come sesso debole, che deve essere compiaciuta sempre e comunque! Sicché Ottavia Lanza cede e tende la mano verso Fabio Denti, il quale l’aveva riconosciuta benissimo ma solo adesso ricambia il saluto, fingendo di essere stato preso in contropiede.

«Sai che dopo Elsa Morante tu sei la mia scrittrice preferita?» le dice lui, subdolo.

Ma lei non fa una piega e rilancia. «E tu sei il mio scrittore preferito dopo Marcel Proust».

Fabio Denti e Piero Nutini sanno che non potranno evitarsi per sempre, che il Salone è troppo piccolo per tutti e due, che prima o poi dovranno incrociarsi. E difatti accade alla fine delle rispettive presentazioni (sia Denti sia Nutini informandosi su quanta coda c’era davanti alla sala dell’altro, obbligando gli uffici stampa a contare le persone: Denti aveva centoventidue persone, Nutini centosedici ma per pareggiare il conto aveva deciso di includere anche il proprio relatore, il tecnico microfoni e le hostess di sala). I due si riconoscono all’istante, quando ancora sono molto lontani. Si gettano un primo sguardo sottecchi, poi un secondo più convinto, e infine un terzo che è apertamente insistito: il guanto della sfida è lanciato. Denti procede indomito verso Nutini, Nutini avanza spavaldo verso Denti, a breve saranno vicinissimi e non potranno fare a meno di salutarsi, o l’uno o l’altro dovrà cedere, ammettendo la propria incontrovertibile inferiorità. Sono ormai a un passo, e come succede ogni volta che lo scontro è tra maschia alpha, pesi massimi, con perfetto tempismo i due riescono ad alzare la mano e sorridere nello stesso preciso momento. Il saluto viene effettuato all’unisono, come se fosse stato studiato a tavolino, addirittura lungamente provato, una messinscena teatrale, una coreografia di nuoto sincronizzato.

«Anche tu qui!» simula stupore Denti.

«Ma che sorpresa trovarti!» gli va dietro Nutini.

Da quel momento i due saranno inseparabili, trascorrendo il resto della giornata insieme, godendosi il Salone dall’alto dei loro privilegi, compresa la festa esclusiva da Eataly a due passi dal Lingotto organizzata dall’editore importante, con tutta l’editoria che conta che tributa loro salamelecchi e inchini, lauti anticipi e proposte di curatele. A un certo punto scatta anche una schermaglia dialettica sulle rispettive poetiche.

«Io credo che il romanzo sia una specchio fedele della realtà!», asserisce convinto Fabio Denti con la forza tetragona del suo stile meneghino.

«Io non credo che il romanzo indaghi la realtà, ma che la inventi!» ribatte determinato Piero Nutini, scompigliandosi i capelli in modo che si abbinino perfettamente al suo look debosciato.

Chiaramente i due arrivano in pochi passaggi logici a una sintesi che mette tutti d’accordo: il romanzo è sì uno specchio della realtà, ma come quegli specchi da luna park che deformano!

Dinnanzi a loro un dirigente editoriale con un toscano spento tra i denti si diverte a commentare il siparietto: «I rapporti tra Dostoevskij e Belinskij si ruppero a causa di idee divergenti sulla letteratura. Ve li immaginate gli scrittori di oggi che rompono per idee divergenti sulla letteratura?»

Per Ottavia Lanza la serata va molto diversamente. Rientrata in hotel dopo una presentazione con quattro gatti ha una crisi di nervi. Butta sul pavimento la sua maschera da pasionaria. («È tutta colpa di quella maledetta giacca di velluto» grida dentro di sé), e tira fuori dal trolley un tubino di raso nero, calze velate e un paio di décolleté tacco dodici. Mette anche un completo intimo raffinato ricordandosi della lezione di Stanley Kubrick in Barry Lyndon: perché la recitazione degli attori guadagnasse in credibilità, il regista gli aveva fatto indossare mutande d’epoca. Si presenta a una cena con il suo editore, ma di primo acchito nessuno la riconosce.

«Scusi signorina, ma deve avere sbagliato tavolo», le dice cordialmente l’editore. «Noi aspettiamo Ottavia Lanza, una scrittrice bravissima, la conosce?»

«Veramente sarei io».

L’editore strizza gli occhi per tentare di metterla a fuoco. «Oh mia cara, che ti è successo? È morta l’ideologia?»

Sistemata al tavolo deve sorbirsi le ciance degli altri scrittori, articolati in brevi quanto grotteschi duetti con l’editore stesso, il quale pare divertirsi un mondo a torturare sadicamente i propri autori.

«Il mio ultimo romanzo venderà bene», osserva un primo scrittore.

«Abbiamo già pronta la fascetta per le centomila copie», dichiara trionfante l’editore.

«Quante copie mancano per arrivarci?»

«All’incirca direi centomila».

Un secondo scrittore osserva: «C’ho lavorato giorno e notte per cinque lunghissimi anni».

E l’editore sornione: «Immagino, anche i brutti libri richiedono tempo».

«Un luogo pittoresco, un omicidio, due indiziati, una falsa pista e un commissario donnaiolo?» chiede un terzo scrittore.

L’editore si profonde in un applausino accorato. «Ci piace!»

«A breve consegnerò un romanzo sperimentale», annuncia un quarto scrittore.

«Anche il contratto sarà sperimentale, toglieremo i diritti d’autore».

Un quinto scrittore cerca di fare il riassunto del romanzo che vorrebbe scrivere. «C’è una guerra nucleare e la resurrezione di Godzilla».

«Basta minimalismo!»

Un sesto e ultimo scrittore ha il coraggio di prendere la parola. «Ho scritto un romanzo monstre, ben seicento pagine».

«L’ho trovato davvero bello, anzi bellissimo, a parte le ultime seicento pagine».

Resta Salvo Fossa, il quale salta la cena per risparmiare e si butta a bere sui Murazzi già molto presto, quando ancora i festini dei vari editori indipendenti non sono iniziati. Così si diverte a imbucarsi in stanzoni semivuoti, coi controsoffitti ammuffiti dall’implacabile umidità del Po. Ogni tanto qualcuno del giro indie lo riconosce e gli si avvicina. Salvo Fossa attira soprattutto una folta schiera di scrittrici-in-erba-che-scrivono-anche-canzoni-con-la-passione-per-Tekken-e-i-tatuaggi.

«Tu scrivi racconti vero?» gli dicono.

«Sì, scrivo racconti».

«A me i racconti piacciono un casino, non capisco quelli che leggono solo romanzi».

«Be’ sono due cose diverse, che funzionano diversamente e danno tipi di piacere diversi. Il romanzo è riuscito se suscita un dibattito, un racconto se lascia senza parole».

«Esatto! Comunque io preferisco i racconti, arrivo a dirti che leggo quasi solo racconti».

«Interessante... E qual è l’ultimo libro di racconti che hai letto?»

«L’ultimo?»

«Sì, l’ultimo».

«Ma guarda ne leggo in continuazione».

«Appunto, quindi?»

I Buddenbrook.

I Buddenbrook di Thomas Mann?

– Proprio quello. Pazzesco, no?

Quando iniziano a partire i dj set, con la musica sparata a tutto volume, si sente riecheggiare lungo fiume il pianto di un uomo.

«Non fate tutto questo baccano, ve ne prego!» supplica una donna accanto all’uomo in lacrime, (si fatica a capire se sia un’addetta stampa o una badante). «Lui è Renatino Rovi, il poeta, il genio! Avete letto la sua opera fondamentale Gas Silvestre

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