Il centro commerciale Milanofiori era un’esplosione di luce. Luminarie natalizie scintillavano intermittenti sulle pareti, attorno alle insegne dei negozi, addosso ai manichini e persino sulle malinconiche giostrine a gettoni inutilizzate. Dal vertiginoso soffitto vetrato si vedeva il cielo notturno che alle sette meno venti già sovrastava la città in un raggelante sabato invernale. Il viavai di famiglie, giovani e anziani, tra vetrine e scaffali saturi di sciocchezze dava l’impressione che non ci fosse mai stata nessuna crisi economica dagli anni Sessanta a oggi.

Stefano era rimasto così colpito dal sorriso della ragazza che consegnava volantini al secondo piano che ci passò una seconda volta, fingendosi interessato alle offerte sui nebulizzatori per esterni che stava promuovendo. Mentre si infilava in tasca tutte quelle pubblicità, gli giunse un messaggio piuttosto importante. Il suono di un’oliva che finisce in una bagnarola era lo squillo che aveva impostato per i suoi messaggi WhatsApp.

Stefano ciao! sono Sabika D’Amati, assistente di Dimitri Tempesta, di Tempesta Film, la casa di produzione. Ci siamo conosciuti quando ci avevi portato il tuo soggetto. Dimitri stasera fa una cena con alcuni amici, se ti va di venire è alle 20 in viale Abruzzi 14/B, scusa il poco preavviso! Sabika.

Un guizzo di mondanità

Erano quasi le sette. Stefano si trovava in quel centro commerciale per comprare un regalo agli zii che quella sera festeggiavano i dieci anni di matrimonio. Gli aveva preso ben due adattatori per la corrente, compatibili anche con le prese britanniche, qualora avessero voluto fare un viaggio.

Una parte di lui avrebbe voluto ringraziare Sabika, Dimitri e rimandare la cena a un’altra volta, dando la giusta priorità alla festa dei suoi zii. Ma l’altra parte di lui, quella forse cinica, forse pragmatica, sapeva che alla cena con quelli della Tempesta Film era meglio andarci. Era la parte di sé che, per paura di diventare un arrampicatore sociale, teneva da troppo tempo sopita. Andava svegliata. Pensò a quella sceneggiatura scritta più di tre anni prima che rischiava di non vedere mai la luce, si ricordò di chi gli disse che nel cinema, più dei provini, contano i pranzi e le cene. Così, un centinaio di secondi dopo aver visualizzato il messaggio, disse ok a Sabika. Agli zii disse con un vocale desolato che non ce l’avrebbe fatta. Lo fece star bene con la coscienza dire che si trattava di un impegno di lavoro.

Per lui era così.

Quel guizzo di mondanità era la scelta giusta. Basta con lo snobismo mascherato da timidezza a sua volta mascherata da snobismo. Dimitri Tempesta lo aveva invitato e lui ci doveva andare e, soprattutto, doveva fare la sua bella figura con la gente che conta.

C’era un problema, però. Il centro commerciale Milanofiori, casa di Stefano e casa di Dimitri Tempesta erano i vertici di un triangolo grande quanto il capoluogo lombardo. Non avrebbe mai avuto il tempo di passare da casa a cambiarsi. Al momento sfoggiava un look che andava bene giusto per le nozze di stagno degli zii: sentiva il bisogno di uno stile più consono alle public relations. La camicetta azzurra poteva ancora essere accettabile, ma la giacca aveva quantomeno bisogno di una stirata. Quel colore arancione poi non era il massimo se abbinato ai blue jeans scoloriti che aveva sotto. La cosa migliore da fare era non badare a spese, salire al piano di sopra e raggiungere Mondo Camicia.

A dispetto del nome, l’esercizio risponde alle esigenze anche di chi cerca non solo la mera camicia (di cui, inutile dirlo, ne hanno a quintali), ma anche pantaloni e giacche. Stefano si confidò col giovane commesso spiegandogli che cercava qualcosa di elegante ma casual, per una cena importante. Ci teneva però che non sembrasse qualcosa di studiato appositamente per l’occasione. Questo era vitale.

Venti minuti dopo, uscì dal negozio con 260 euro in meno, indossando un completo sportivo blu su camicia bianca che lo faceva apparire come una persona davvero passabile, se non qualcosina di più. Ritenne saggio prendere anche delle scarpe nuove: acquisto che, indipendentemente da tutto, avrebbe comunque dovuto fare. Quindi, tanto vale… Prese un paio di scarpe da barca, artigianato italiano trovato in un negozio al pianoterra. Costavano 300 euro, ma almeno non sarebbe sembrato uno stronzo in quel ritrovo della Milano che crea. Gente che alla calzatura, per qualche folle motivo, ci bada assai.

Infilò in un bustone i vestiti con cui sarebbe andato dagli zii e mise le vecchie scarpe nella scatola delle nuove. Controllò di aver rimosso tutti i cartellini e le etichette da giacca, camicia e pantaloni e passò più volte di fronte ai vari specchi per capire se fosse o meno pronto per la cena da Tempesta.

In parte lo era.

Il regalo

Ancora in tempo per l’appuntamento, fece un giro tra le corsie del Carrefour di Milanofiori. Nel reparto deodoranti, impugnò furtivamente uno spray all’eucalipto per spruzzarselo clandestinamente sotto le ascelle provate dalla giornata. Provò a sentirsi l’alito con quel metodo della mano su naso e bocca, visto in tanti film ma che mai ha avuto successo nella realtà: era meglio evitare figuracce. Raggiunse lo scaffale dei collutori, stappò un flacone e ne trattenne in bocca il contenuto per un sacco di tempo, non avendo dove sputarlo.

Non poteva presentarsi a mani vuote alla cena. I due adattatori per la corrente del Regno Unito erano stati comprati per gli zii, e poi sicuramente uno come Dimitri Tempesta ne avrà avuti in casa almeno cinque, con tutti quei soldi. Optò per una classica bottiglia di Amarone, presa nell’ampio reparto vini. Non avendo con sé del contante, provò a pagare con un’app, ma la batteria del suo smartphone si esaurì in quel preciso istante. Lasciò l’Amarone alla cassa e corse all’Apple Store del centro commerciale che, fortunatamente, distava poche vetrine dal Carrefour. Gli serviva un caricatore nuovo, il suo era in macchina e ci avrebbe messo troppo tempo a orientarsi nell’immenso parcheggio sotterraneo a settori.

Giunto alla cassa dell’Apple Store, si rese conto che gli serviva comunque un cellulare acceso per pagare il prodotto. Stefano allora sputò a terra il collutorio e, con un abile lavoro di parlantina, seppe convincere la cassiera a fargli scartare la confezione, aprire la scatola, tirare fuori il caricatore e collegarlo al suo cellulare, così da poterlo usare per pagare il prodotto già in uso.

Dopo qualche minuto, il telefono si era in parte rigenerato così da permettergli di pagare sia il caricabatterie che l’Amarone che aveva lasciato al Carrefour. Nel frattempo però la bottiglia, seppur di pochi minuti, era invecchiata e questo aveva conferito al vino della Valpolicella un costo lievemente più elevato, ma anche un pregio che avrebbe fatto la differenza a casa di Dimitri Tempesta.

Mentre attraversava l’immensa rotonda centrale del centro commerciale, circondata da negozi di articoli per la casa, pizzerie al taglio, bisteccherie e gazebo di agenzie di viaggi, Stefano si fece una domanda: quale sarebbe stato il suo ruolo in quella cena in viale Abruzzi? Si sarebbe parlato concretamente del suo soggetto?

Forse sì, ma molto più probabilmente sarebbe stata una di quelle cene conoscitive, di quelle dove si parla amichevolmente ma dove, sotto sotto, ci si scruta e si cerca di capire se spendere o meno le proprie energie assieme. Andare lì per confondersi con l’arredamento non era una possibilità contemplabile per Stefano. Se andava a quella cena, lo faceva con il preciso scopo di essere al centro dell’attenzione, di diventare oggetto di discussione per tutti i presenti, anche nei giorni a seguire. Ma come avrebbe potuto parlare con persone di cui sapeva così poco? Allora raggiunse il Mondadori Bookstore del terzo piano e, sfogliando la più recente edizione del Dizionario cinematografico Maruzzelli, lesse le trame (anche se giusto dei primi cinque minuti) di tutti i film diretti da Dimitri Tempesta e anche di quelli di cui era stato solo produttore. Ne aveva visti due su diciannove e quella sfogliata gli aveva fatto sicuramente comodo.

Una vita poco brillante

Non era però da escludere che quella sera non si sarebbe parlato di cinema, ma di tutt’altro: di vita, di abitudini, di famiglia, di amore. Che brillante contributo avrebbe potuto dare Stefano su temi così importanti? Lui che sentiva come suo più grande limite quello di aver avuto una vita fondamentalmente monotona e ordinaria: non aveva figli ed era single da quattro anni, l’esperienza più adrenalinica che ricordava d’aver vissuto era il furto di una colazione in gita a Venezia al quinto anno di liceo (dovuta però più a una sua distrazione che altro), non aveva mai avuto un’ideologia di riferimento e aveva sempre votato quello che gli suggerivano gli amici o i genitori. Sapeva di essere un bravo ragazzo e niente di più. Un uomo con una fervida immaginazione e grandi capacità, come diceva chi aveva avuto modo di conoscerlo a fondo, ma quasi incapace di mostrare i suoi lati più interessanti.

Gente di mondo come Dimitri Tempesta e i suoi affascinanti amici d’un certo tipo non avrebbero impiegato più di cinque minuti a capire chi era: un normalozzo come tanti, di quelli che non meritano neanche l’incrocio degli sguardi durante il cin cin alla fregna.

Stefano guardò l’orario sullo schermo del suo cellulare un attimo prima che si spegnesse nuovamente. C’era ancora tempo prima che il centro commerciale Milanofiori chiudesse e, con lui, il parcheggio sottostante. Corse verso la toilette e divelse uno dei gabinetti strillando Maggese di Cesare Cremonini (solo il titolo, neanche un accenno alla melodia). Mentre lo faceva, capì cosa volesse dire fare qualcosa di veramente estremo. Quella, per esempio, era una cosa da raccontare a una cena di livello, magari mentendo sulle date e suoi luoghi e trasformandola in un pazzo aneddoto di un’adolescenza passata, chessò, nei centri sociali o in qualche vacanza studio dai risvolti punk.

Raggiunse poi l’edicola vicina all’entrata e cominciò a sfogliare tutti i quotidiani, dal Secolo XIX fino Il Manifesto, sbirciando i titoli con le ultime novità in campo politico e sociale. Facendo una summa di tutte le opinioni raccolte, seppur con la coda dell’occhio, riuscì a costruirsi, almeno per quella sera, una sua identità politica, maturando un suo sguardo preciso sulla situazione italiana (per esempio, gli piaceva molto Casini). Se durante gli amari qualcuno avesse tirato in ballo le elezioni, avrebbe saputo cavarsela.

Mettere su famiglia

Si guardò riflesso in un espositore di rossetti. Fissò il suo completo blu e quelle scarpe di camoscio marrone, sentì l’odore acre dell’eucalipto che si fondeva col suo sudore. Si accorse che le sue mani non erano più lisce come quelle del ragazzo che non pagò la brioche in un bar di piazza San Marco. Era un adulto: un uomo adulto in cerca di una posizione nella società. Ma a quale posizione ambiva realmente, se era sempre stato nient’altro che un bambino? Prima di colpire gli altri, avrebbe dovuto sorprendere sé stesso.

Stefano doveva mettere su famiglia. Una famiglia di cui poter parlare a cena con Dimitri Tempesta, per dimostrargli che era un uomo coi piedi per terra e con tante storie da raccontare: non a caso, un sacco di registi hanno i figli (vedi Garrone). Salì contromano due rampe di scale mobili e raggiunse il secondo piano. Cercava il rivenditore di nebulizzatori per esterni e lo sguardo della ragazza che consegnava i volantini. Sorrideva per lavoro, ma chi lo dice che sessanta minuti prima, dietro il sorriso diretto a Stefano, non ci fosse qualcos’altro?

Le andò vicino, la baciò e per sua fortuna a quel bacio lei rispose con un coinvolgimento che non era scontato. Con irruenza raggiunsero un ripostiglio di scope dove lui la possedette come in un film giovanile degli anni Novanta con le canzoni dei Cccp in sottofondo. Lei rimase incinta all’istante, facendo a Stefano il grande dono della paternità.

Jonata nacque prematuro e di cinque chili: un vitello, dissero i medici. Fece le scuole private e sviluppò da subito una grande sensibilità verso strumenti a fiato minori. Non era affatto male come figliolo, Stefano ne fu contento. Di più, ne fu fiero. Era un piccolo miracolo di cui poter parlare, qualora qualcuno glielo avesse chiesto, a quella cavolo di cena per la quale (cacchio!) s’era quasi fatto tardi.


Il racconto è un estratto da Foto mosse di famiglie immobili (Rizzoli 2022, pp. 176, euro 16) di Valerio Lundini

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