Uno dei problemi più assillanti e meno razionalmente risolvibili del mondo della moda di oggi (ma in generale del mondo del lavoro) è la ricerca, selezione e attribuzione di un talento creativo ad un progetto.

All’interno di un meccanismo sempre più controllato da manager che pensano, parlano e agiscono attraverso tabelle Excel e la cui performatività viene valutata solo attraverso i risultati economici, il problema della scelta di un direttore creativo e di una qualunque persone dell’area creativa diventa sempre più angoscioso e pressante.

Direttori creativi

L'ad di Tod's, Diego Della Valle/LaPresse

Diego Della Valle, proprietario di uno dei più solidi gruppi italiani del lusso e creatore di brand come Tod’s e Hogan, ha deciso nel 2007 di comprare il marchio Schiaparelli, storico brand dell’alta moda francese nato dalla mente poliedrica dell’italianissima Elsa Schiaparelli.

Dopo aver messo alla guida creativa nell’ordine Christian Lacroix, Marco Zanini e Bernard Guyon, nel 2019 è arrivato a scegliere l’americano Daniel Roseberry che ha fatto diventare Schiaparelli uno dei progetti più interessanti del panorama internazionale della moda. Ci sono quindi voluti 12 anni e moltissimi soldi per trovare una quadra.

Quando Shaw-Lan Wang, proprietaria del fondo di investimento taiwanese Armonie S.A., ha deciso di rilevare il marchio Lanvin, anche questo appartenente al mondo dell’alta moda parigina e anche questo originariamente creato da una donna, Jeanne Lanvin, ha anche immediatamente centrato il direttore creativo, scegliendo l’allora non notissimo Alber Elbaz, di recente scomparso, che in poco tempo ha portato l’azienda da zero a 250 milioni di euro di fatturato annuo.

A oggi il marchio ha cambiato mano e una serie di direttori creativi che hanno, piuttosto maldestramente, portato il fatturato 2021 a 73 milioni.

Scollamento dei manager

Foto Claudio Furlan/LaPresse

Quello della selezione dei creativi è un problema talmente tanto forte che esistono head hunter (cacciatori di teste) iperspecializzati che tentano di risolvere un compito che le aziende non riescono più neanche lontanamente ad affrontare.

La ragione di questo scollamento così evidente tra parte manageriale e creativa è un progressivo reciproco allentamento, avvenuto dagli inizi del 2000 ad oggi: il mercato della moda (e dei consumi in genere) è nelle mani di generazioni che sono anagraficamente e culturalmente sempre più distanti dalle generazioni precedenti.

L’ormai mitica Gen Z, quella della serie di super successo targata Hbo Euphoria, ha sviluppato parametri estetici che spesso risultano misteriosi e incomprensibili a chi non li frequenta ogni giorno, ne conosce la pervasività, le dinamiche e le cause sociali. O quantomeno a chi ha smesso di cercarli, soprattutto in Italia, o di frequentare posti in cui questo sforzo si fa ogni giorno dell’anno.

Il contest triestino

Il 10 settembre a Trieste si è tenuta la ventesima edizione di Its Contest, un programma di ricerca e selezione di nuovi designer di moda con talenti provenienti da tutto il mondo e con una giuria che conteneva gente del calibro di Demna, direttore creativo di Balenciaga, giusto per citare il più famoso.

Its, creatura della triestina Barbara Franchin, non è l’unico contest con un alto tasso di riconoscimento ma è decisamente il più importante in Italia e tra i più importanti al mondo, tanto che, per esempio, il nuovissimo direttore creativo di Bottega Veneta, Matthieu Blazy, esce proprio da lì. Quello che succede a Trieste (ma potremmo citare Hyères, Andam o Lvmh Prize) è lavorare in maniera incessante sullo scouting e sulla comprensione delle nuove dinamiche della creatività che sono tanto variabili e complesse quanto lo sono i ben più studiati repentini cambiamenti della borsa di New York.

I premi come Its Contest arginano sempre di più la mancanza delle aziende sul versante creativo ma non sono centrali né a livello di sponsorship né di semplice interessamento da parte delle aziende del made in Italy. Se immaginate cosa il festival di Sanremo sta facendo per la musica italiana, siete molto vicini a capire come le stesse dinamiche potrebbero aiutare le ben più miliardarie aziende di moda.

Per quanto tutto questo discorso possa sembrare estremamente specifico e settoriale, provate a pensare per cosa il concetto di made in Italy è famoso nel mondo: la perfetta commistione tra estro creativo e artigianalità. Se pensiamo che sia questo che dovrà continuare a rappresentarci, il problema della selezione e anche della gestione della creatività, che parte dalle scuole e arriva sui luoghi di lavoro, è centrale. E una riflessione su come favorirne crescita e prosperità sarebbe il caso di farla.

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