“Che cos’è il cinema oggi?” è la domanda che si fanno tutti, vabbè: quasi. Se la fanno però moltissimo i pipparoli (pardon) che attorno al cinema bazzicano, scribacchiano, ancora sognano.

Stanno tutti su Facebook più che in sala, e su Facebook ordinano di andare in sala, perché in sala la famosa “esperienza del film” è più giusta, più bella; lo ordinano, peraltro, ai loro stessi amici pipparoli, gli unici che in sala ogni tanto ci vanno ancora, magari per vedere opere somme come Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson (un po’ scarsi, purtroppo, gli incassi del primo weekend) e titoli ben più di nicchia, che faranno sempre più fatica a sopravvivere e trovare spazio in quelle stesse, bellissime sale (fortuna c’è Mubi, lo dicessero ogni tanto quei pipparoli agli amici loro).

Scusate lo sbrodolo. “Che cos’è il cinema oggi?”, dicevo. Un luogo in cui nessuno o quasi va più, dicevo anche. Se non per poche cose precise: i cinecomic, ormai genere che ha trasceso sé stesso. I film presi dai fumetti spesso coi fumetti non c’entrano più, sono film e basta, e sono gli unici – appunto – che trascinano tanta, tantissima gente nelle sale suddette. (Sì, negli ultimi tempi l’hanno fatto anche spettacoloni pacchiani d’altri tempi come House of Gucci e Assassinio sul Nilo, ma con altri numeri, e con ben altro appeal nell’immaginario).

Genesi bizzarra

L’ultimo ad arrivare, e il primo della primavera è Morbius, che ha una genesi bizzarra. E non solo perché – come tutti – è stato rimandatissimo causa pandemia. Aficionados e puristi già lo sanno, ma proviamo a spiegarlo ai profani.

Morbius, dal fumetto di Gil Kane e Roy Thomas, fa parte di quella branca di strisce Marvel con protagonisti supervillain che la Marvel (intesa come studio cinematografico) ufficialmente non vuole, per farla semplice. S’è creato dunque, in casa Sony, un Sony’s Spider-Man Universe, che mutua il Marvel Cinematic Universe ma restando cosa a sé, dedicata soprattutto a cattivoni da spin-offeggiare a parte.

È un pastrocchio di produzione e distribuzione che resta incomprensibile anche per molti addetti ai lavori. Spider-Man è storicamente una creatura della Columbia Pictures, cinematograficamente parlando.

È nato così, in era moderna, con Sam Raimi (protagonista Tobey Maguire), poi è passato dall’opaco reboot di Marc Webb (Andrew Garfield), finché, dopo il boom della Marvel sullo schermo, non s’è creato un accordo tra le major perché avvenisse una sorta di ponte tra i due universi.

E quindi, sempre per farla semplice, Tom Holland è stato il primo Spider-Man dopo i Patti Lateranensi, cioè: dopo l’accordo Sony/Marvel. E i suoi tre film – Homecoming (a segnalare anche il suo ritorno all’ovile Marvel?), Far from Home e l’ultimo No Way Home (quello che ha riscattato le povere, bellissime sale dopo due anni di crisi causa virus) – sono anche quelli che hanno ricementato il rapporto tra l’Uomo Ragno e il grande, grandissimo pubblico.

Parallalamente, il Sony’s Spider-Man Universe puntava sui cattivi, anzi cattivissimi, che poi finora erano uno soltanto: il lucertolone Venom. Già presente nello Spider-Man della Fase 1 (nel terzo capitolo uscito nel 2007, per essere precisi) con il volto dimenticato di Topher Grace, è stato ripreso per questa versione in solitaria da Tom Hardy, protagonista dei pasticci Venom di Ruben Fleischer (2018) e Venom - La furia di Carnage di Andy Serkis (2021): incassi non stratosferici, giubilo confinato a una specifica platea nerd, e in generale scarso radicamento nel nuovo immaginario collettivo.

Il nuovo Morbius di Daniel Espinosa – storia del biochimico che viene infettato ma che, invece di diventare un pischello con la tutina rossa e blu che salva i cittadini impauriti, si trasforma in un torvo vampiraccio – è arrivato al cinema il 31 marzo. E almeno nelle intenzioni, ora che Spider-Man è il kolosso pigliatutto di matrice Sony, si candida ad allargare l’interesse anche sul fronte cattivoni. Se lo augura, quantomeno, il protagonista Jared Leto: adesso c’è il Multiverso, ha più o meno dichiarato, dunque tutto è possibile; anche far convergere il mondo del suo Michael Morbius con quello degli altri bastardissimi “made in Marvel”, che importano (e pagano) di più. Vedremo.

Il buio

Certo è che la cupezza, il deviante, il buio (anche in senso letterale: fanno i film sempre più scuri e oscuri forse perché il nero si vede molto meglio sugli schermi dei cinema che sui televisori casa, dunque la gente è costretta a mollare il divano); dicevo, il buio adesso è d’interesse generale.

The Batman, che da noi veleggia verso i dieci milioni d’incasso in poco più di tre settimane, non avrebbe altrimenti guadagnato così tanto. Certo, è Batman, direte (giustamente) voi: il successo era scontato. Ma è che oggi il nero si porta di più: e non perché sfini, bensì perché fa fragile, tormentato, con issue che hanno valenza psicanalitica, di quelle che tutti condividiamo su Instagram senza più vergogna.

Oggi il superhero (anche quando non lo è: Bruce Wayne non ha i superpoteri degli altri colleghi) funziona in quanto specchio del tempo. Che è appunto un tempo fragile e – mi si perdoni – resiliente. Robert Pattinson nella versione Matt Reeves è, lo abbiamo scritto anche qui, più un ragazzo ferito che un multimilionario sborone pieno di gadget. Il buio è fuori perché è dentro.

Lo stesso Spider-Man di Tom Holland è un perfetto esemplare della Generazione Z, svelta ma impacciata di fronte al mondo, ribelle ma eternamente ragazzina, veloce come il digitale ma goffa nella risolutezza del sé e dei sentimenti per gli altri.

È, in fondo, un buon momento per il cinema, per questo cinema. Una vague che dal grande schermo investe tutti gli altri: su Disney+ a fine mese arriva Moon Knight, sempre Marvel, con Oscar Isaac alias un tipo che ha, come tutti, problemi di sonno: in realtà è segno della sua doppia personalità (hashtag: #mentalhealth). Forse tutti i cerchi si chiuderanno, forse il cinecomic diventerà il nuovo cinema d’autore (lo è già), forse il prossimo villain verrà preso da qualche albo degli anni Sessanta dimenticato anche dagli stessi fan e lo vedremo, tra qualche anno, su Mubi. Su nuovi televisori coi neri tutti reimpostati.

 

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