«Fate come Fracci: lei sa benissimo quel che vuole. I commenti inutili le entrano da un orecchio e le escono dall’altro, e arriva sempre all’obiettivo che ha in mente» disse la direttrice Esmée Bulnes al termine dei corsi di Scuola di ballo del Teatro alla Scala.

La fissai: ero una ragazza negli anni vulnerabili della giovinezza che per la prima volta si sentiva indicata come un esempio da seguire.
Come in ogni scuola, alcuni studenti di tanto in tanto canzonavano
i compagni. Camminavo con la schiena dritta lungo il ballatoio che portava alla Sala Trieste e mi chiedevano: «Secchiona, ti sei mangiata il manico della scopa?». Ma se dai peso alle battute, alle allusioni o alle offese, se quando lavori non difendi la tua fragilità da chi preferisce approfittarne piuttosto che stimarla, sei sconfitto. Tutti possono ferirti, e allora devi presentarti nei loro confronti con la consapevolezza di te e della tua forza.

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Se ti comporti come un perdente, perdi per davvero. Io sorridevo alle battute dei miei compagni e scherzavo con loro.
Ero invece sensibile a ciò che rivelava attenzione verso il mio impegno. Quando mi dissero che dovevo trovare del tempo per fortificare i piedi, cominciai ad arrivare in classe per prima e ad andarmene per ultima. Le mie caviglie sono sempre state sottili e avevo poco collo del piede. Per svilupparlo mi stendevo a terra, flettevo tarso e metatarso sotto il calorifero e con grande sforzo sollevavo il busto cinquanta volte di seguito.
Ai corsi del quinto anno cominciammo a esercitarci in lunghe serie di allenamenti sulle punte; io accusai un dolore continuo e acuto alle nocche e fui a un passo dal rinunciare alla carriera di danzatrice. Gli insegnanti mi consigliarono di andare dal medico, che, a sua volta, mi convinse a provare la radioterapia presso un centro specializzato di via Santa Marta. Tenevo lo sguardo basso e nello stringere la mano al professore notai i segni dell’esposizione continua alle radiazioni.

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Mi recai nel suo studio a giorni alterni per una settimana e mezzo, cosciente dei miei difetti e determinata a correggerli.
Il lavoro di una ballerina è una conquista quotidiana, giorno dopo giorno, al fianco di un maestro. Mai ho pensato di non avere più bisogno di studiare. Disciplina, costanza e umiltà. Solo chi respira la polvere del teatro può vivere il palcoscenico.
Il nostro è un lavoro in cui non c’è molto spazio per fantasticare. Vedo alcune ragazze delle classi di oggi comportarsi in modo frivolo. Non senza serietà, solo con troppa leggerezza. Chissà, forse alla loro età l’ho fatto anch’io, ma è un peccato che talenti veri, danzatrici con estensione e flessibilità fisica stupende, si accontentino di traguardi facili e non si assumano la responsabilità di una serata intera. Bastano pochi anni dedicati alla sola esecuzione di brevi passi a due in qualche programma televisivo di successo perché sia troppo tardi per essere in grado di affrontare un’opera in tre atti.
Ci vuole forza tecnica, vigore, e l’interpretazione è un’arte che deve essere assimilata e resa solida. Ciascun ruolo ha stili diversi, prevede abilità diverse; quando entri in scena devi superare ogni ansia, non apparire rigida e tirare fuori l’espressività. Per farlo io ho bisogno di trovare tranquillità.
Non spreco energia e mi raccolgo. Allontano ogni distrazione così da potermi poi abbandonare alla spinta della musica. È allora che torno a essere la ragazza descritta dalle parole di Esmée Bulnes. Mai dimenticherò quella frase.

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