Bisogna esserci passati, altrimenti il rischio è quello del giudizio sommario, di racconto che nasce da altro racconto, con un pressappochismo sempre maggiore, e infame.

Quello che è accaduto a Paolo Calissano succede tutti i giorni, se ne parla, di queste vicende, quando la vittima ha occupato per poco o tanto che sia lo schermo televisivo, o qualche altro media capace di offrire visibilità. Altrimenti le vittime passano via, e basta.

Il tempo offrirà maggiori dettagli, magari queste parole risulteranno imprecise, ma Paolo Calissano sembra essere uno di quei tanti, tanti, individui morti di dolore. L’intossicazione acuta, l’overdose da farmaci o sostanze stupefacenti, quello è solo l’effetto, il mezzo per togliersi di dosso quel demone, e che alla fine, chissà quanto inconsapevolmente, finisce con il togliere di mezzo noi.

Per somma di addendi

Bisogna esserci passati. L’assuefazione al farmaco, la benzodiazepina che perde progressivamente d’efficacia, costringendo all’aumento delle dosi, in modo pauroso, parossistico. Passare da una pasticca a un blister, da un blister a una scatola intera.

Ogni sera una scatola, sino a quando non basta neanche più quella. Benzodiazepina o sonnifero non fa differenza. Verrebbe da dire: ma non si muore?

Sì. Un poco alla volta. È un lavoro di mesi. Anni. Ai farmaci, la sostanza che si aggiunge più spesso è l’alcol. Si beve, non sapendo che gli alcolici, soprattutto quelli ad altra gradazione, agiscono come un ansiolitico nella prima fase di assunzione, ma poi fanno esplodere l’ansia in modo centuplicato.

Altri, ai farmaci aggiungono sostanze stupefacenti. In tanti passano per la cocaina, per quella sensazione di controllo che ammorbidisce la realtà, spesso i fallimenti, ma con la coca esplode il problema del sonno, che viene annullato aumentando le benzodiazepine o l’alcol.

Altri ancora arrivano all’eroina. Agli oppiodi in genere. Ma raramente una sostanza ne sostituisce un’altra. Il più delle volte si procede per somma di addendi. Il risultato è sempre lo stesso.

Il dolore si allevia, per qualche giorno. Poi torna e l’unico rimedio e rimettersi a fare il piccolo chimico. Sapendo bene oramai che i nostri esperimenti con il dolore che ha scatenato tutto non c’entra più niente.

Perché ormai la sfida è vedere sino a dove possiamo arrivare, sino a dove il nostro corpo può reggere la distruzione di se stesso.

Il potere di decidere

Perché se devo soffrire, se devo fallire, almeno sarò io a decidere il come e il quando. Perché se deve essere il dolore a vincermi, allora preferisco vincermi io.

La morte per tanti sa di pace. È terribile da dire. Ma è così. Si parli di malattia, si esprimano i giudizi più disparati, si gridi pure allo sperpero di una vita e di tanta bellezza.

Ma nessuno, nessuno, si metta con la bilancia a pesare il dolore altrui. A malapena conosciamo il nostro.

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