Elmgreen & Dragset sono ancora freschi e belli. Sono insieme rigidi, rilassati, intensi, a volte sexy, improvvisamente umani, poi freddamente tecnici.

Sono colonne importanti del mondo dell'arte dalla metà degli anni Novanta. Sono divertenti, fanno parte del secolo scorso quindi, o meglio fanno parte del ponte eccezionale tra i due secoli, e cercano di capire il nuovo mondo, la nuova vita, come fanno le persone diventate sagge. Fanno cose fredde ma a volte in modo sorprendentemente commovente, incluso l'uso del divertimento o della tenerezza come armi per ottenere le reazioni che vogliono fare scaturire. A loro piacciono i corpi, molto. Un sacco. Anche quando sono morti, o tendono ad essere inutili. Ma non vogliono davvero che siano inutili. Li vogliono vivi.

È piuttosto difficile provare a creare, diciamo, una geometria tra le cose che fate. Partiamo dunque da quello che stiamo vedendo in questo momento, ora, alla Fondazione Prada, a Milano (“Useless Bodies?”, fino al 22 agosto 2022). Quello che penso sia davvero interessante è il fatto che tutto sia molto distanziato e spazioso, fintamente clinico. Ci sono molti riferimenti al luogo e all'architettura di Rem Koolhaas. Quindi mi chiedevo se c'è un gusto specifico per questo posto o è normalmente il modo in cui lavorate. Sembra che respiri di più, lo spazio.

Sì, ovviamente è anche in relazione all'architettura di Rem Koolhaas. In cima al podio (nda. uno degli spazi della Fondazione) c'è questo spazio che è assolutamente impossibile, ostile, brutale. E quale poteva essere la cosa più malvagia da fare lì? Metterci un ufficio con molte persone. Fare quella che chiamano “ottimizzare le risorse umane”, che significa strizzare più persone possibile in pochi metri quadrati e farle lavorare in questi piccoli cubicoli. E ora abbiamo 70 cubicoli lassù, postazioni di lavoro, e si adatta molto bene alla stanza. Postazioni che sono state misteriosamente abbandonate, completamente. 

E’ un processo di lavoro comune per noi. Ci sono diverse mostre dove abbiamo ritrasformato lo spazio e sono ispirate da come era quel luogo quando ci è apparso la prima volta. Abbiamo cambiato gli spazi di gallerie d’arte in stazioni della metropolitana o in una stanza d'ospedale o in una fiera d'arte (questo in Cina all'UCCA).

Un buon esempio è l'aeroporto,  la lounge dell'aeroporto, che abbiamo fatto in Corea del Sud in uno spazio chiamato Plateau, gestito dal Museo Samsung, e che il museo è al piano terra di un enorme edificio simile a uffici, con negozi simili ad centro commerciale nel seminterrato e una food court. Questo tipo di trasformazione diventa un intero progetto di ricerca.

Vorrei capire se c'è qualche relazione tra quest'idea di strana calma con quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni. Chiaramente l'ufficio potrebbe essere un luogo di lavoro evacuato a causa della pandemia. Ma ci sono molte persone e luoghi nella mostra che sono stati abbandonati, molto chiaramente: la piscina (che è un vostro classico) sembra dimenticata da anni e così lo spazio della palestra di fronte che si sia svuotato molto rapidamente, come in una scena di The day after.

Certo, questi sembrano ricordi del periodo pandemico, fondamentalmente inevitabili, ma quello che vedi è una mostra che è stata concepita cinque anni fa. E quindi è il proprio il contrario. È la realtà che ha replicato la nostra mostra! Perché abbiamo fatto questa pianificazione già dal 2017, è stata completata nel '19 e poi è arrivata la pandemia di Covid!

Così avevamo già fatto l'ufficio vuoto, avevamo già fatto la piscina abbandonata, avevamo già fatto la casa del bunker già tre anni fa. Questo continua a succederci da un po', sai... Quando abbiamo fatto un club riservato ai soli soci a Londra, alla Victoria Miro Gallery, nel 2008, sfortunatamente per tutti noi quel giorno di apertura è stato lo stesso giorno in cui Lehman Brothers è crollata, e la mostra si chiamava “Too Late”.

Leggevate molta fantascienza quando eravate bambini?

In realtà non così tanto. Era più un'immaginazione generale, più simile a fim buffi come quelli di Tati o all'idea del futuro in modo umoristico.

Quindi, ecco perché il titolo è "Corpi inutili"? Hanno tutti un significato invece, in un certo senso.

Sul titolo, ovviamente, c'è un punto interrogativo dopo. L'intera mostra nasce, ovviamente, da noi. Appartenendo forse alla generazione che siamo, sperimentiamo che i corpi, e i nostri stessi corpi, sembrano sempre più ridondanti nella nostra società. E ti senti come se non potessi davvero dare seguito alle aspettative che la società sembra avere nei tuoi confronti.

Allo stesso tempo amate enormemente i corpi.

Ciò di cui tratta in parte la mostra infatti… è un'affermazione un po’ dolorosa, in un certo senso: i corpi che stanno scomparendo per tutti noi, i corpi che stiamo perdendo.

Le sculture indicano maggiore utilità, paradossalmente. Ed è così che è successo negli ultimi anni. Siamo diventati sculture!

Siamo sculture nei social media, siamo sculture nell’advertising, siamo sculture quando ci vediamo per strada e manteniamo le distanza, ma osserviamo gli altri: "Ah, sì, è una brava persona" o "È un grassone”, “Quella è una persona reale”. Siamo sculture l'uno per l'altro.

Un’altra cosa molto comune che è successa al nostro corpo da molti anni, e accadrà sicuramente al nostro corpo nei prossimi anni, è la produzione di dati, l'uso dei dati dei nostri movimenti e del nostro corpo in un modo che non riusciamo a controllare. Perché questa è una questione molto importante e politica che esce anche dagli organismi biologici contemporanei, che vengono utilizzati eccome… che non sono inutili, ma sono invece molto utili per estrarre informazioni.

Nel 19° secolo ci piaceva il lavoro manuale per produrre beni quotidiani nelle fabbriche, quindi più persone non potevano avere fame. La produzione è aumentata, più persone avevano economia e cose, lavorando con le nostre mani nella Rivoluzione Industriale.

Poi, nel 20° secolo, siamo diventati consumatori; ecco a cosa servivano i nostri corpi. Oggi il prodotto siamo noi, perché siamo noi a produrre i nostri dati, legati alle nostre attività, al nostro corpo… …alla nostra salute, a tutto ciò che diciamo quando abbiamo il nostro iPhone aperto. Speriamo davvero che invece sia rimasto qualcosa. Speriamo che ciò che è rimasto... speriamo che ciò che è rimasto sia più del metaverso.

Tipo cosa?

Un grosso pezzo di realtà fisica, sensuale, tridimensionale. E’ lì per reclamare i nostri corpi, per dire: “Cazzo! Rivogliamo i nostri corpi!”. Penso che le persone dovrebbero essere promiscue con i loro corpi, non dovrebbero aver paura di incontrarsi, se si preoccupano, in una certa misura, di non finire nei guai. E si spera che abbia meno paura dei loro corpi, in molti modi. Fai con il tuo corpo quello che vuoi fare e non lasciare che la società moralista ti faccia avere paura di dare via il tuo corpo. Il problema con il metaverso è che non puzza!

Bene. Grazie mille.

Prego.

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