Cosa unisce il suono sordo delle cupa cupa lucane al ritornello in salsa latina di una hit estiva? Cosa rende un rave (!) analogo a un concerto di musica classica?

È sempre musica: protagonista di riti religiosi e pagani, feticcio divisivo per generazioni e collante tra popoli e culture, espressione di passioni e strumento d’arricchimento per artisti, innovatori sociali e imprenditori, al tempo stesso bene comune e prodotto commerciale.

La musica è il prodotto culturale più diffuso e consumato, l’arte più praticata al mondo sia che si tratti di puro esercizio edonistico, sia che si parli di professionismo.

E il settore musicale ha visto crescere al suo interno un’industria, fatta di figure professionali e investimenti finanziari, strategie di marketing e servizi al consumatore.

Tra la produzione di quelli che un tempo definivamo dischi e che oggi hanno preso la forma liquida di file audio o multimediali, e la proposta di musica dal vivo in sale da concerto, club e festival, la crescita stimata su scala globale della cosiddetta music industry è tra le più sorprendenti e in era pre Covid si calcolava che nel 2030 l’intera filiera avrebbe raddoppiato la sua rilevanza economica.

In termini assoluti, va subito detto, la musica non “vale” ancora abbastanza ma è oggi uno dei settori in cui c’è più voglia di impiegarsi e lavorare.

Il confronto con lo sport

Al di là dello sfoggio di ricchezze da parte di alcune star in realtà non c’è confronto tra i guadagni di un artista e quelli di uno sportivo dello stesso livello.

Anche le aziende che dominano il settore hanno fatturati crescenti e importanti, ma niente a che vedere con altri comparti. I numeri parlano chiaro e ci dicono che l’industria della musica in Italia fattura più o meno quanto un brand di abbigliamento come Prada, anche se impiega un numero di addetti quasi 50 volte superiore.

Eppure, nonostante siano minori le prospettive di carriera gravide di soddisfazioni economiche e di potere, in pochi anni sono nati innumerevoli corsi di formazione professionalizzanti per futuri manager e proliferano sia le iniziative imprenditoriali che quelle non a scopo di lucro.

Una nuova e nuovissima generazione di artisti e addetti ai lavori sta prendendo il controllo del mercato in tutte le sue accezioni e a questa è affidato il compito di rendere la musica più “sostenibile”.

Il mondo della musica appare libero ed è sicuramente accessibile, l’ideale per trasformare una passione in professione e quindi in nuova occupazione, sia che la si affronti con piglio mainstream, sia che ci si voglia dedicare ad ambiti più di nicchia. L’avventura professionale nel mondo della musica può in effetti regalare grandi soddisfazioni, momenti di catarsi personale.

Si parla di necessarie soddisfazioni economiche, ma anche di un riconoscimento sociale per aver assunto un ruolo all’interno della propria comunità, aver generato emozioni e ricordi, aver lasciato una traccia nello scorrere del tempo.

Giudizio negativo

Eppure la crisi inaspettata e grave del Covid-19, se da un lato ha mostrato tutto il valore di un’arte che è stata capace di unire persone rinchiuse nelle loro case, ha evidenziato dall’altro come il giudizio – della maggior parte del pubblico e di riflesso delle istituzioni – nei confronti della music industry sia sostanzialmente negativo o nel migliore dei casi superficiale.

Il comparto musicale non è riuscito a far valere le proprie ragioni proprio perché non sono emersi, come facce della stessa medaglia, né le ragioni economiche, né le urgenze socio-culturali che muovono l’intero sistema.

Si potrebbe ricondurre il tutto alla straordinarietà del momento storico, ma la verità è che la music industry non può esimersi dall’affrontare le sfide in cui tutti i comparti produttivi si stanno impegnando su scala globale, ovvero modificare il proprio modello di sviluppo per renderlo più sostenibile.

Non diversamente da quanto accade all’interno di altre filiere, la musica scopre che il “prodotto” non è da solo sufficiente a stimolare il “consumo”: servono innovazione e responsabilità sociale e, soprattutto, serve uno scopo che non sia solo intrattenere.

Il tema dello sviluppo sostenibile, sintetizzato dalle Nazioni Unite nei 17 obiettivi dell’agenda 2030 (SDGs), viene ormai declinato anche in ambito musicale e sta diventando la guida a un cambiamento epocale della filiera in una chiave che finalmente unisce le due anime che la compongono.

Secondo il recente report “Your Guide to Music and the SDGs” elaborato dal Center for Music Ecosystem con la partecipazione di Music Innovation Hub, l’industria musicale dovrebbe farsi un esame di coscienza e rinnovarsi per dare un contributo fondamentale su almeno due argomenti chiave.

Genere e dignità

L’uguaglianza di genere, obiettivo ambizioso per il mondo della musica, dove attualmente non solo i festival programmano meno artiste di artisti ma, soprattutto, le strutture gerarchiche delle principali organizzazioni non sono equilibrate.

Su questo tema, su cui è molto attiva la rete internazionale Keychange, si discute anche in termini di linguaggio: una vera e propria rivoluzione del modo di esprimersi e di raccontarsi che il mondo della musica dovrebbe sposare in pieno per cambiare uno status quo non più accettabile.

Il lavoro dignitoso e la crescita economica, punto dolente per una filiera che ha dimostrato, proprio durante la pandemia, quanto siano poco chiari i contorni della dimensione professionale e imprenditoriale del settore.

Il lavoro all’interno della filiera non è abbastanza tutelato e questo impedisce di fatto uno sviluppo reale.

Un’industria in cui è ancora possibile registrare ampie sacche di illegalità ed evasione fiscale non potrà mai contare quanto dovrebbe sui tavoli istituzionali, non potrà mai essere presa sul serio dall’opinione pubblica e non riuscirà neppure ad attrarre gli investimenti necessari al proprio sviluppo.

Su altri punti la music industry potrà dare un apporto importantissimo: basti pensare al contributo alla sostenibilità delle città e delle comunità attraverso lo sviluppo di una scena musicale multiculturale e inclusiva o allo stimolo a un consumo responsabile e alla tutela della vita sulla terra, soprattutto da parte di una filiera musicale dal vivo dove, se ormai da anni si studiano tutte le tecniche di riduzione dell’impatto ambientale, non si sono ancora adottate misure radicali per affrontare il tema degli effetti dei grandi allestimenti e della stessa impronta ambientale generata dai tanti viaggi di artisti e pubblico verso le location.

Anche sul tema dell’istruzione di qualità sono molti gli studi che evidenziano come l’educazione di base, quando include anche arte e musica, sia più efficace e inclusiva.

Ma il più grande contributo che l’industria musicale può dare al tema dello sviluppo sostenibile è sfruttare meglio il proprio ruolo di vero e proprio agente di cambiamento sociale facendosi portavoce della necessità di orientare i nostri comportamenti per migliorare le condizioni di vita sulla terra.

Dal 2 al 5 settembre torna Jazz:Re:Found a Cella Monte, nel cuore del Monferrato.

Nel ricco programma di concerti e dj set, si inseriscono anche dei talk sulla music industry e sulla sostenibilità nella filiera musicale per analizzare lo stato dell’arte del comparto e i suoi possibili sviluppi.

Domani è media partner dell’iniziativa.

Per info e biglietti: https://jazzrefound.it/

 

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