La vita è sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? Succede anche questo, nel tempo in cui lo storytelling impera e il calcio ha definitivamente ceduto gli argini alla netflixizzazione. Succede che vorresti occuparti di nazionale, parlare soltanto di cose di campo, e invece ti tocca fare i conti col malefico dilemma marzulliano. E verrebbe proprio da dire “speravo de mori’ prima”, ma meglio no perché allora davvero trionferebbe il principio “the fiction takes it all”. Sicché restiamo (e resistiamo) fuori dalla scena e dalla sceneggiatura. E soppesiamo l'effetto di questo Sogno Azzurro. Non quello che aiuterebbe a vivere meglio, ma quello che nelle serate precedenti l’avvio degli Europei ci è stato proposto da Rai Uno nella fascia post-Tg o pre-prima serata.

Ottimismo d’ufficio

Quattro puntate a riempire il vuoto lasciato da Amadeus e dai suoi soliti ignoti. Che in effetti, a pensarci bene, l'associazione torna pure. Perché negli anni più recenti la nazionale azzurra è stata oggetto di un crescente disamore. Una crisi di riconoscimento andata molto avanti, e che il mancato appuntamento mondiale di tre estati fa aveva rischiato di rendere irreversibile. Non proprio una nazionale figlia di N. N., ma insomma.

Per questo un’operazione di riconnessione sentimentale è parsa cosa saggia. Ma poi la differenza sta nei modi. Perché va bene il racconto speranzoso. Ma l’ottimismo andrebbe ben dosato. 

E invece per le quattro serate che hanno preceduto il giorno della gara inaugurale degli Europei 2020+1 ci è stata proposta una docufiction sul cammino (esaltante) che ha portato la nazionale azzurra verso la fase finale della manifestazione extra-large: 24 finaliste su 55 rappresentative in lizza, comprese San Marino, Gibilterra, Andorra e Liechtenstein. Un esito che un tempo sarebbe stato catalogato alle voci “atto dovuto” o “minimo sindacale”. Ma si sa com'è: i tempi cambiano e nel mezzo c'è stata una mancata qualificazione alla fase finale dei Mondiali 2018 (Tavecchio & Ventura sempre sian lodati) che ha dato la misura di quanto accentuato fosse il declino del nostro calcio.

Dunque farsi piacere questo primo esito è stata cosa buona e giusta. E buono e giusto ancor di più è parso celebrarlo con quello che è stato presentato come il primo progetto della Direzione Sviluppo Nuovi Formati della Rai, in collaborazione con la Direzione Creativa. Risultato: quattro puntate da quasi tre quarti d'ora ciascuna. Patinate. Calligrafiche. Algide. Girate nel corso di un anno intero a Coverciano. Che per l'occasione “ha aperto per la prima volta le porte alle telecamere di una troupe televisiva”. E in attesa che le apra anche agli esattori dell'Imu è giusto chiedersi: serviva davvero un'operazione del genere?

Una questione di tensione 

Il problema è che il virus da storytelling è più pernicioso del Covid. Non c’è cosa che non possa diventare “narrativa”, non c'è bipede parlante che non possa diventare “narratore”. E se poi c'è di mezzo una macchina naturalmente generatrice di emozioni qual è il calcio, ecco che la tentazione si fa irresistibile. E tuttavia, non sarebbe il caso di cominciare a metterci un limite? E infine: era proprio indispensabile che anche la Rai contribuisse a cotanta inflazione?

Tanto più che, eccesso dell'eccesso, fare quattro puntate su un tema per cui ne sarebbe bastata una è stato davvero allungare il brodo e sperare prendesse sapore col solo mescolamento. Meno è meglio, e talvolta niente il top. Soprattutto c'è che quelle quattro puntate sono parse raccontare un trionfo. E allora c'è da chiedersi: dov'è la vittoria? Perché va bene la qualificazione raggiunta con percorso netto (merito indiscutibile). E va altrettanto bene la rappresentazione dei ritrovati entusiasmi intorno alla nazionale (ma a patto di non esagerarne la portata). Però il meglio o il peggio devono ancora venire. Dunque sarebbe stato il caso di arrivare a questi Europei 2020+1 con qualche preoccupazione in più, giusto come da tradizione delle nazionali italiane che hanno raggiunto i risultati più alti o li hanno sfiorati.

Già, la tensione. Tema che nella quarta puntata di Sogno Azzurro ha generato un passaggio di comicità involontaria. È stato durante la carrellata delle interviste con gli ex commissari tecnici, quando Lippi ha spiegato che in nazionale di tensione ce n'è anche troppa e dunque bisogna gestire il gruppo col continuo ricorso all'atteggiamento scherzoso. Stacco. Scena successiva. Arrigo Sacchi. Fate bei sogni, dai.

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