L’ultimo spettacolo del comico Dave Chappelle ha toccato molti tasti sensibili. Nei 72 minuti di The Closer Chappelle fa battute raggelanti su ebrei, neri, bianchi e gay. Il gruppo che punzecchia di più, tuttavia, è quello dei transgender. È comprensibile che qualcuno si sia offeso e non sorprende che gli attivisti abbiano subito richiesto che Netflix togliesse lo show dalla piattaforma.

Le persone ragionevoli possono non essere d’accordo sul contenuto del programma di Chappelle, se sia divertente o se abbia esagerato con le battute. Ma l’istinto di censurare e rimuovere una produzione artistica, specialmente se di tratta di un prodotto così noto come The Closer, è sbagliato. La libera espressione è un aspetto fondamentale della democrazia liberale. Soprattutto negli ambiti dell’arte e della commedia, che vivono su un confine, dovremmo abbracciare una cultura che permetta agli artisti di prendersi grandi rischi, indipendentemente dal fatto che ci piaccia o meno il risultato.

La vita americana si è assestata su schemi prevedibili. Appena arrivano gli aspiranti censori, le principali istituzioni del paese si piegano alle loro richieste. Negli ultimi anni puntate di programmi televisivi sono state cancellate dai servizi di streaming, libri dono stati tolti dal commercio e lezioni cancellate nelle università. È una piacevole sorpresa oggi quando un’istituzione si rifiuta di cedere a richieste simili.

Una sorpresa di questo genere è arrivata la scorsa settimana nella forma di una comunicazione aziendale dall’amministratore delegato di Netflix, Ted Sarandos, che ha respinto con forza le richieste di rimuovere The Closer: «Chappelle è oggi uno dei comici più popolari (...) il suo ultimo speciale Sticks & Stones, oltre a essere controverso, è il nostro spettacolo di cabaret più visto, il più delicato e il più premiato fino a oggi. Come con altri nostri artisti, lavoriamo duramente per sostenere la loro libertà creativa, anche se questo significa che ci saranno sempre contenuti su Netflix che qualcuno potrebbe considerare offensivi(...) Non sono ammessi su Netflix titoli che incitano all’odio o alla violenza, e non crediamo che The Closer superi questo confine. Riconosco, tuttavia, che è difficile distinguere tra commento e offesa, specialmente con gli spettacoli di cabaret, che esistono per spingere i confini più in là. Per qualcuno l’arte dello stand-up comedy è maliziosa, ma ai nostri abbonati piace ed è una parte importante nella nostra offerta di contenuti».

L’impegno dichiarato di Netflix per la libertà creativa va lodato. Ma come la dichiarazione di Sarandos chiarisce, l’azienda sembra difendere The Closer, in larga parte, perché ha un incentivo finanziario a farlo. Lo stesso si potrebbe dire per la decisione di Spotify di continuare a ospitare il podcast di Joe Rogan, che fa 11 milioni di download per episodio, dopo che gli attivisti ne hanno chiesto la rimozione.

È positivo quando ciò che è bene per il business è bene anche per la libera espressione. E questo rende allettante lasciare che la difesa della libertà di parola si adagi sull’opinione popolare o sugli incentivi commerciali: “Finché il mercato regna, regneranno anche i valori liberali!”.

Non sarà sempre così

Ma gli incentivi al profitto possono essere effimeri e sarebbe ingenuo pensare che saranno sempre orientati a sostenere un dibattito libero. In effetti, alcune delle nostre più importanti istituzioni di costruzione della conoscenza, tra cui il mondo accademico e il giornalismo, affrontano pressioni di mercato fondamentalmente illiberali. Come ha scritto Sahil Handa, gli incentivi in queste istituzioni d’élite spesso fanno sì che «il giusto processo e l’indagine aperta siano trattati come valori che possono essere sacrificati». Ecco perché è preoccupante, ma non particolarmente sorprendente, quando il New York Times allontana i giornalisti che la redazione giudica controversi o quando l’Università del North Carolina nega un incarico a Nikole Hannah-Jones, apparentemente per volere di un potente finanziatore conservatore. Se gli incentivi di mercato dovessero cambiare, Netflix potrebbe fare lo stesso in futuro. Ad ogni modo, rallegriamoci quando gli incentivi al profitto e la difesa della libera espressione vanno nella stessa direzione. Non illudiamoci però che gli interessi economici siano sempre un baluardo contro l’illiberalismo. Un impegno di principio alla libertà di parola è l’unica vera salvaguardia contro la censura.

 

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