Cultura

Nelle biblioteche vuote si decide ciò che saremo

Non è stato il Covid ma Internet a svuotare la Sormani di Milano. L’idea di farne una spritzoteca è un affronto alla civiltà. Viaggio nell’era in cui cercare era difficile e trovare indimenticabile, fra il libro che salvò Stendhal e i resti di una videoteca

 

  • La Sormani, per come la vedo, somiglia a una stazione americana in un film in bianco nero; gente indaffarata e con evidenti scopi; quei movimenti veloci rispondono, nella stessa cornice monumentale, alla pacata fissità della biblioteca. Tutto questo forse non ha nulla a che fare con i libri, forse ne è del tutto dipendente, ma senza i libri non ci sarebbe stato.

  • Io alla Sormani ci andavo, almeno fino a quando non è stata sostituita da Google. E anche dopo, in realtà, perché ci sono cose che su Google non si trovano, grazie a Dio.

  • Oggi vengono soprattutto studenti universitari, ci dice il funzionario. Negli stanzoni deserti, la sala di lettura principale, il racconto del funzionario cade ogni tot sulla frase «e poi è arrivato internet». Gira e rigira, lì si arriva.  

Tra i numerosi piccoli segreti della Biblioteca civica di Milano a palazzo Sormani c’è un’edizione del 1808 delle Odi di Orazio. Sulla copertina di pelle che rilega il tomo piccolo ma spesso c’è un foro che arriva a oltre metà delle 500 pagine, via via rimpicciolendosi. Sulla prima romana, accanto al foro, in una scrittura minuta ma elegante e un francese asciutto, c’è un’annotazione che dice più o meno questo: «Questo foro è il risultato di una trafittura durante la battaglia di Jena. Questo li

Per continuare a leggere questo articolo