Laurentino 38. I Ponti.

Uno dei peggiori quartieri di Roma e del mondo intero, almeno a sentire le narrazioni dominanti, quelle che vogliono i brutti e cattivi relegati in determinati luoghi ben diversi dai nostri, borghesi, per bene. A sentire queste narrazioni, in quei luoghi infernali è concesso a malapena sopravvivere, naturalmente compiendo ogni sorta di malaffare.

Nell’immaginario comune, dunque, il Laurentino 38 è il confine stesso della civiltà, dove nulla di buono attecchisce, figuriamoci come potrà essere in quell’inferno la vita di chi soffre di disturbi psichici.

L’inferno dell’inferno.

Invece. Per fortuna la realtà ha altri guizzi.

C’è chi nel concreto lavora e riesce a bucare la terra, a far attecchire la possibilità di una vita oltre il disturbo mentale, a trasformare il disturbo stesso in un seme capace di fiorire in relazioni e progetti, futuro. E, oltre le metafore, in buonissima verdura.

Uno dei terrazzi dei famigerati ponti del Laurentino 38 che viene sottratto all’incuria, che diventa orto urbano, gestito da tre utenti del Centro di salute mentale del quartiere, il Csm Orio Vergani della Asl Roma2.

Accade tutto in pochi mesi.

Tre ragazzi, uomini, costretti dal lockdown alla reclusione casalinga, tre persone alle prese con il disturbo psichico.

Una chiamata al telefono. L’invito a un nuovo percorso terapeutico.

Niente a che vedere con farmaci e sedute.

Perché non trasformare le enormi fioriere del terrazzo del centro in un orto urbano? La possibilità di evadere dal confino domestico, di mettersi alla prova.

La cosa riesce, riesce a un livello ben superiore alle aspettative, la quantità di verdura che viene prodotta induce gli operatori del centro a pensare a una possibile attività da avviare in modo più strutturato, attualmente in fase di studio.

Un piccolo miracolo, anzi, nessun miracolo.

Semplicemente, meravigliosamente, l’intuizione di una psicologa e uno psichiatra che diventa cura, attraverso una delle forme più consone a noi esseri umani: il lavoro. La dignità di un compito da svolgere, e con esso la possibilità di intrecciare la propria vita con quella degli altri.

L’orto del Centro di salute mentale Orio Vergani avrebbe fatto felice Franco Basaglia, in un momento storico in cui la sua lezione viene da più parti messa in discussione.

Molti elementi di questa vicenda rimandano alla sua visione di cura. Da una parte c’è il lavoro svolto sul territorio, cellulare, capace di cogliere nel bene e nel male le peculiarità specifiche del luogo, dall’altra la volontà di un intero gruppo di lavoro, a partire dalla psicologa e lo psichiatra fautori del progetto, di non chiudersi rispetto al metodo, ma al contrario di farsi guidare dall’opportunità del momento.

Il risultato è un benessere diffuso, concreto, che non si esaurisce e che, magari, porterà con sé anche altre sorprese, come la possibilità di un’attività vera e propria.

Il tutto a un costo bassissimo, sotto tutti i punti di vista.

La prova che in ambito di cura ogni cosa può diventare alleata, anche una serie di vecchie fioriere abbandonate a sé stesse.

Il resto è storia. Anzi, gustosi pomodori.

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