Pensavo fosse ciccia invece era una fregna. Sì, per chiarire subito tutti i dubbi, a me piace l’idea di suicidio mediatico. Altrimenti non avrei neanche immaginato questo titolo. Non mi sarei proprio lanciata in un terreno così scivoloso come commentare, da donna, la foto di un’altra donna.

Sono leggi imprescindibili scritte nel manuale della giovane femminista contemporanea. Impari a schivare questa roba così come impari a riconoscere i narcisisti patologici. Ma, nello stesso modo, ci caschi lo stesso e poi piangi con le amiche. Infatti eccomi qui. Pronta con l’errore della vita.

Per mettere le mani avanti è doveroso però dire che la mia non è l’opinione di una donna su un’altra donna in una copertina. Non parlo a nome delle donne, così come non parlo a nome degli esseri umani ritardatari o di quelli che sporcano puntualmente il fornello quando fanno il caffè, categoria a cui comunque appartengo, così come appartengo a quella di esseri dotati di vagina.

Ma in questo caso parlo solo a nome di me stessa, una stronza.

E da stronza quale sono vi dirò che quando ho visto che sul web stava circolando una copertina di Vanity Fair con Vanessa Incontrada nuda ho subito pensato: «Finalmente, che figata».

Rotolini?

L’ho pensato perché ricordo bene la battaglia che Incontrada porta avanti da anni contro il bodyshaming e sono fiera del lavoro che i media ultimamente stanno cercando di fare in merito all’inclusione del corpo non conforme nell’immaginario di bellezza collettivo. Tutto questo l’ho pensato prima di vedere la foto.

E parlo di “vedere” perché è incredibile come nella società dell’immagine, noi delle immagini stiamo continuamente a parlare ma non le guardiamo mai. Io, questa foto, l’ho guardata bene. E la prima cosa che ho pensato è stata: «Ma non è affatto grassa». E sì, lo hai pensato anche tu.

A meno che tu non appartenga alla categoria dei feticisti, in quel caso hai pensato, «oddio che bei piedini vorrei tanto...», con annessa fantasia sessuale. In questo caso sei comunque colpevole quanto noi. La seconda cosa che ho pensato è «ma dove stanno ‘sti due rotolini di cui tutti parlano esclamando entusiasti ’brava Vanessa che espone i suoi rotolini’». Io i rotolini non li vedo. Neanche sforzandomi.

Neanche con la lente.

Neanche perquisendo il corpo di Incontrada come neanche i vivisezionatori di Csi.

Vanessa Incontrada (Foto Piergiorgio Pirrone - LaPresse)

Solo pancia

Allora comprendo che quello che la gente su Facebook definisce “rotolini”, lodando la donna che li mostra con coraggio e senza pudore, in realtà è soltanto pancia.

Non pancia gonfia, non pancia grassa, non “ciccia”. È proprio solo una pancia. Normale. Normalissima.

Quando vedo quella pancia su di me non penso «ho i rotolini». O almeno, non l’ho mai pensato, fino a ora. Penso «ho una pancia». Così come ho un naso, due braccia e un commercialista che odio.

E qui c’è la prima fregatura di quella foto: al posto di essere in qualche modo confortante, di farmi sentire accolta nell’Olimpo della bellezza, perché il mercato rappresenta finalmente la “normalità”, mi ha gettata nel panico. Mi sono chiesta «ma se questi sono rotolini... allora i miei che cosa sono?? Come fa questo corpo meraviglioso, liscio, statuario, a essere elevato a modello di corpo normale e difettoso?».

Una fregna

E prima di scivolare nel tunnel adolescenziale di confrontare il mio corpo con quello degli altri e con il giudizio che ne danno gli altri, ho ripreso a guardare l’immagine, come se la vedessi per la prima volta, senza pensare a ciò che so di Incontrada, senza leggere il titolo a essa associato «nessuno mi può giudicare», senza farmi un autopippotto in testa sulla BodyPositivity.

L’ho guardata per la prima volta, quella foto, senza anteporre al mio sguardo il mio pensiero, e ciò che ho visto, semplicemente, è una fregna. Non una fregna “in carne”, non una fregna “al naturale”(anche perché è liscia, piallata, truccata, impeccabile). Semplicemente una fregna da copertina.

E intendiamoci: io sono nata nell’86, il mio idolo era Barbie Gran Galá e sognavo di fare Non è la Rai, quindi per me, nella fregna da copertina, non c’è e non ci sarà mai niente di male.

Solo che non c’è niente di nuovo.

Non è una donna normale, non è una donna fuori forma, non è una donna con cellulite – almeno da ciò che vediamo – non è una donna con imperfezioni, è, semplicemente, una donna bellissima, che ha iniziato la sua carriera come donna bellissima e che prosegue la sua carriera come donna bravissima, talentuosa e, anche, bellissima.

Bellissima

È allora che ho sentito un certo senso di disagio. Come se il punto fosse proprio questo “Bellissima”. E ho capito come si deve essere sentito Amadeus a Sanremo 2019. Questo “bellissima”, per essere accettato, soprattutto dalle donne, sembra che vada sempre giustificato, come se non bastasse più essere “Bellissima” per stare su una copertina.

Vogliamo per forza che ci sia la crepa nella ceramica, il difetto ostentato, la stortura, la ciccia.

Ma in questo caso la ciccia non c’è e chiamare ciccia ciò che ciccia non è rischia, ancora una volta, di censurare, rifiutare, eliminare dall’immaginario di bellezza la ciccia vera.

È sempre la bellezza che ci mette in crisi, come se non avesse diritto di esistere così com’è, senza necessità di portarsi dietro, per forza, un messaggio, un contenuto. Il contenuto ha rotto il cazzo, e molto spesso ha anche poco da dire.

Dice molto di più, a volte, la bellezza pura. Che esiste così, solo come manifestazione di sé stessa.

D’altre parte nessun tramonto sul mare si sente in obbligo di dimostrare di essere anche intelligente, dotato, e pieno di significato, oltre che bello.

La bellezza, come la bruttezza, ha diritto di esistere, di essere vista, rappresentata, inclusa. Accettata per ciò che è. E anche la ciccia.

Pensavo che quella fosse ciccia.

Invece era (solo) bellezza.

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