Ho trentatré anni, sono milanese e sono un pianista. Non posso vantare particolari imprese artistiche, ma ho avuto nella vita una grande fortuna e un grande onore: quello di conoscere Carla Fracci. Lavoro come pianista accompagnatore in un Liceo Coreutico del quale lei era direttrice artistica, il Locatelli di Bergamo. Diversamente da altri direttori artistici in analoghi contesti scolastici, il cui incarico si riduce spesso a una questione di forma, la Signora, così era chiamata, veniva, da otto anni, almeno una volta ogni due settimane, a fare lezione e a controllare da vicino i progressi dei ragazzi. Insegnava le basi della danza con naturalezza e senza nessun sussiego.

Una ballerina che era stata acclamata nei teatri di tutto il mondo, in quella sala di una ordinarissima scuola superiore, si comportava come se non avesse mai fatto altro che insegnare ai giovani: li trattava con bonarietà quasi materna e, se a volte faceva prova di una certa ruvidezza e insoddisfazione, era in genere per questioni espressive, più che tecniche. Quando effettivamente correggeva gli allievi mostrando loro la giusta esecuzione di un passo o di una sequenza, aveva spesso cura di concludere la spiegazione con una frase che suonava press’a poco così: «Poi, ragazzi, questa è scuola. L’interpretazione e il teatro sono un’altra cosa. Ma anche negli esercizi bisogna essere presenti con l’anima».

Un’altra cosa che la Signora diceva spesso, e per la quale l’ho spesso ringraziata tra me e me, era: «Ragazzi, perché non vi muovete insieme al Maestro? La musica qui esprime qualche cosa, dobbiamo lasciarci prendere da lei e fare il movimento come lei ce lo suggerisce». Per la Signora Fracci la musica e la danza erano indissolubilmente legate, e la danza classica doveva in fondo rendere manifesto ciò che la musica esprimeva già. Carla Fracci, si è detto giustamente, è un orgoglio italiano, un simbolo internazionale dell’eccellenza artistica che il nostro paese da sempre può far nascere. Io credo che non vada sottovalutato il fatto che questa personalità di primissimo piano avesse l’umiltà di insegnare, per svariate mattine al mese, in un Liceo.

La Signora capiva, molto meglio della classe politica di questo meraviglioso e disgraziato paese, che la qualità della formazione dei giovani determina il futuro, anche artistico, di una nazione. Era consapevole che l’emergere di un talento come il suo è solo la parte più visibile e più abbagliante di un sistema più ampio: un ambiente culturale sensibile alla danza e alla musica, sin dalla scuola. Questa deve creare non solo i ballerini o i musicisti di domani, ma anche e soprattutto il loro pubblico.

Una visione del futuro

Senza adeguate politiche culturali e di formazione infatti, ci allontaneremo sempre di più dalla danza e dalla musica classica, perché esse non sono solo difficili da dominare anche solo a un grado medio di perizia, ma richiedono, per essere fruite autenticamente e con piacere da spettatori/ascoltatori, un certo impegno intellettuale e una certa confidenza con lo specifico mezzo artistico.

L’educazione all’arte non può essere demandata esclusivamente alle istituzioni che curano la formazione dei professionisti. Non solo perché queste sono spesso afflitte, e non per colpa di chi ci insegna, da problemi organizzativi ed economici che le rendono scarsamente competitive rispetto alle corrispondenti istituzioni di altri paesi; ma soprattutto perché l’educazione alla danza e alla musica deve partire da prima, da un paese che abbia una visione del futuro delle discipline artistiche e investa nel loro sviluppo, in formazione, e in adeguate politiche culturali che rendano vicine al pubblico le arti “difficili” e non facciano ricorso sempre al solito “zoccolo duro” di persone già appassionate, la cui media d’età va rapidamente aumentando.

Alla luce della necessità delle riforme chieste ormai da decenni dall’Europa, la quale ora condiziona ad esse la consegna degli aiuti economici previsti dal Recovery plan, questo discorso mi pare cruciale. Questa lettera non vuole però essere una lamentela né una polemica politica. Nasce dall’esigenza di dare testimonianza di un aspetto meno conosciuto, ma altrettanto importante per il paese, della vita di Carla Fracci. Saremo in grado di onorare la sua memoria?

 

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