Un percorso sull’isola veneziana della Giudecca una volta scesi dal vaporetto. Le vasche Imhoff. Ma soprattutto Marco Pacione, quel calciatore che i tifosi juventini ricordano e maledicono ancora oggi, almeno quelli dalla quarantina in su: da quando la sera del 19 ottobre 1986 si mangiò più palle gol in uno Juventus-Barcellona quarto di finale di Coppa dei Campioni.

Era il ritorno, finì 1 a 1 e ai bianconeri non bastò per passare il turno. E chiedetelo, al primo juventino che incontrate: di chi fu la colpa? Sembra incredibile, ma se per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 (la bomba, occultata in un cestino dei rifiuti, che esplose durante una manifestazione sindacale antifascista provocando otto morti e 102 feriti) la giustizia ha individuato due colpevoli, condannandoli con sentenza definitiva, dopo oltre 40 anni in cui tre istruttorie e una decina di processi non avevano sortito nulla, è dipeso anche da Marco Pacione.

O meglio: dalla memoria dello sciagurato Pacione che uno juventino vero non può nascondere, neppure volendo. Così come è dipeso dalle vasche Imhoff, se a proposito di quelle vasche per liquami ancora ricordi, vantandotene, di quando ai tempi dell’università avevi preso in giro il professore all’esame di Igiene, pensando di essere più furbo di lui. Mentre la Giudecca… beh, è dove il dottor Carlo Maria Maggi ha sempre abitato, no?

Ergastolo

Lì, nel suo appartamento, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 2015 per due volte si recarono il professor Mario Tantalo (nelle vesti di perito incaricato dal tribunale) e i consulenti delle parti, per sottoporgli una miriade di domande mirate a verificare, in sostanza, fino a che punto la presunta demenza di cui da tempo diceva di soffrire ne aveva compromesso la memoria. E se dunque poteva sostenere un processo.

Era il processo d’appello bis, a Milano, che si concluse con una sentenza di ergastolo per Maggi e per Maurizio Tramonte, militante di estrema destra e allo stesso tempo infiltrato del Sid negli ambienti dell’eversione neofascista. Senza la loro condanna (ideatore il primo ed esecutore il secondo: la sentenza è del 22 luglio 2015), anche la strage di piazza della Loggia sarebbe rimasta senza colpevoli: come quella dell’Italicus di poco più di due mesi dopo e, soprattutto, come quella di piazza Fontana.

Nuovi elementi

E ci mancò poco, visto che Maggi era stato assolto in primo grado nel 2010 e in appello due anni dopo (al pari di Tramonte). Quest’ultima sentenza, nella parte che li riguardava, venne però cancellata dalla Cassazione il 21 febbraio 2014 e il nuovo appello, poi confermato dalla Cassazione il 20 giugno 2017, fece il resto. Ma è una storia che non è ancora finita e che potrebbe riservare ulteriori, e forse imminenti, sorprese.

Mentre dal processo per la strage di Bologna emergono ogni giorno nuovi elementi, sottotraccia a Brescia proseguono infatti le ultime due indagini ancora aperte per quella di piazza della Loggia: sono a carico di Marco Toffaloni, che all’epoca dei fatti era diciassettenne (a indagare è dunque la procura minorile), e di Roberto Zorzi (qui procede invece la procura ordinaria).

Entrambi veronesi, entrambi sospettati di essere stati coinvolti nell’esecuzione materiale dell’eccidio, entrambi residenti all’estero: il primo in Svizzera e il secondo negli Usa, nello stato di Washington, dove alleva cani di razza Dobermann. Presto potrebbero essere raggiunti dalle notifiche di chiusura delle relative indagini.

«Dopo l’estate avverrà in contemporanea per entrambe – aveva detto a maggio il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli, in occasione delle cerimonie di commemorazione – credo che entro fine anno si potrà esercitare l’azione penale». E aveva aggiunto: «L’ipotesi è che siano due soggetti coinvolti nell’esecuzione materiale della strage. Toffaloni era in piazza, secondo le indagini. Riteniamo entrambi legati all’estrema destra e vicini a Carlo Maria Maggi».

Foto

Contro Toffaloni, allora militante in area ordinovista, pesano le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia della medesima area, Giampaolo Stimamiglio, a cui avrebbe rivelato di avere avuto nella strage di Brescia un ruolo «tutt’altro che marginale». Ma soprattutto c’è una fotografia che lo collocherebbe appunto in piazza la mattina del 28 maggio 1974.

Anche a Tramonte, combinazione, era stata fatale una fotografia che lo ritraeva tra la folla in piazza dopo l’esplosione: detenuto a Fossombrone, ha presentato istanza per la revisione del processo, ma la decisione tarda, dopo che la Corte d’appello di Venezia a cui si era rivolto si è dichiarata incompetente per territorio. E pure Zorzi, geometra oggi 69enne, secondo la Procura frequentava ambienti e personaggi dell’eversione nera: a partire appunto dal dottor Maggi.

Storico reggente di Ordine Nuovo in Triveneto, per Maggi il fine pena è comunque arrivato: è morto infatti il 26 dicembre 2018. E quell’anno e mezzo di detenzione che lo stato è riuscito a fargli scontare l’aveva comunque trascorso nella propria abitazione alla Giudecca, per via dell’età e del precario stato di salute. Proprio lì dove, prima del dibattimento, si erano recati i periti per verificarne le condizioni psichiche.

Tre stagioni

Alla fine venne dichiarato in grado di partecipare al processo e di difendersi in aula. E fu un passaggio decisivo: perché è evidente che un esito tecnico diverso avrebbe potuto “pesare” sulla sentenza finale emessa dai giudici, popolari e togati. Gran parte del dibattimento, dunque dipese anche da quella perizia psichiatrica. E da Pacione. E dalle vasche Imhoff. E dai vaporetti.

Lo si scopre in un capitolo di Italian Psycho, un libro pubblicato da poco da minimum fax in cui Corrado De Luca, psichiatra e romanziere (ma qui nei panni del saggista rigoroso), ripercorre alcune vicende giudiziarie tra le più oscure della storia italiana (Pasolini, Moro, Izzo e il Circeo, la mafia) in cui psichiatria e criminologia hanno avuto un peso determinante.

La storia di Maggi, da questo punto di vista, è straordinaria perché consente al lettore di assistere pressoché in prima persona allo svolgersi di una procedura così esiziale come fu quella di quei giorni alla Giudecca. E di scoprire così che all’inizio tutto giocava contro i periti: «Siamo nel 1964. No, nel 1915», fu infatti la prima risposta del medico veneziano alle loro domande. E poi, a proposito di quante sono le stagioni, un sorriso e tre sole dita della mano alzate.

La perizia

Come scoprire dunque se Maggi era davvero psichicamente inabile oppure se, e questo era il sospetto, si rappresentava tale oltre i malanni di cui effettivamente soffriva per non dover presenziare a processo (con potenziali effetti sulla córte in suo favore)? Con molta pazienza. E con domande trabocchetto. Gli esempi sono molteplici, qui se ne citano solo alcuni tra i più rivelatori.

Come appunto la domanda sulle vasche Imhoff, con l’episodio dell’esame universitario che Maggi aveva citato in un proprio libro (l’improbabile L’ultima vittima di piazza Fontana del 2010) e che davanti ai periti, compiaciuto, aveva rievocato. La memoria dunque c’era eccome.

O il percorso dalla fermata del vaporetto alla sua abitazione, strappatogli dal professor Tantalo che, raggiunto dalla telefonata di un collega quando già era a casa Maggi, spiegò all’altro perito ritardatario di non sapergli indicare la strada. Ma lo fece sperando che accadesse ciò che poi in effetti si verificò: cioè Maggi che ci casca e che suggerisce il percorso. Quindi anche la sua capacità di orientarsi nello spazio c’era tutta.

Marco Pacione con la maglia del Torino

Pacione

E poi Pacione. A cui i periti arrivarono passando per la Juventus: «Tifa per qualche squadra in particolare?», gli chiesero. E qui le dita alzate furono invece – e correttamente – quattro: «Tifo per la Juventus. Ne abbiamo vinti quattro di recente. Cinque con il prossimo».

In effetti il campionato 2014-2015, quello del quarto scudetto consecutivo (alla fine saranno addirittura nove), si era appena concluso: con i numeri, dunque, Maggi sapeva come orientarsi. E dalla Juve a Pacione. Perché anche dello sfortunato attaccante Maggi scriveva in quel suo libro. E al perito che glielo nominò, la risposta, immediata, fu ovviamente: «Maledetto Pacione…».

Lo ricordava bene Maggi, quel quarto di finale di Coppa dei Campioni, tanto da metterlo in collegamento con la finale di Champions Juventus-Barcellona che si sarebbe dovuta giocare a Berlino un paio di giorni dopo: «Rivincita», disse ai periti, dimostrando dunque di essere in grado anche di fare associazioni. Gli andò male: vinsero i blaugrana per 3-1, come sanno bene tutti gli juventini.

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