Lei si stava avviando alla fermata del bus, ma lui la trattenne per un braccio.

– Abbiamo finito presto, – considerò. – Perché non facciamo quattro passi?

Presero a camminare lentamente, in quel modo svagato di quando ci si è tolto il peso di un’incombenza già nelle prime ore del mattino, e si può andare incontro al resto della giornata con un animo più leggero.

Siccome erano ai Parioli, entrarono a Villa Ada e si dettero un bacio sotto un cedro dell’Himalaya.

– Che folli siamo, – disse lei.

A quelle parole lui sembrò fulminato da un’idea. – Sai che facciamo? Torniamo a casa attraverso i parchi e le ville.

Lei si mise a ridere. – E ci baceremo in ogni parco e villa?

– Puoi scommetterci.

Si misero in marcia risoluti a portare a termine l’impresa. Non amavano particolarmente gli scherzi né le buffonate, tutt’altro: condividere quell’avventura pareva a entrambi necessario.

Calarono su Villa Borghese percorrendo il tratto impregnato dall’afrore del Bioparco.

– Guarda che Villa Borghese è grande, – lo ammonì lei.

– Vorrà dire che qui dentro ci daremo più d’un bacio.

Per qualche minuto ognuno si perse dentro i suoi pensieri, e il ritmo del camminare rimase l’unico collante. Per ignote spirali di pensiero lui concluse che prima c’era un’età oltre la quale le persone si sentivano adulte, mentre quelli della sua generazione non ci credevano più; per altrettante circonvoluzioni della mente lei stabilì che nella vita la mediocrità raramente aveva insuccesso.

Giunsero nei paraggi della terrazza del Pincio. Il sole era allo Zenit, le loro ombre erano sparite sotto le scarpe e quasi ci si poteva illudere che quell’immagine fosse una metafora.

Il sole come una metafora

– L’amore non finisce, si trasforma, – asserì lui, dopo un bacio.

– Però se si trasforma troppo diventa qualcos’altro – ribatté lei, più realista.

– Quindi l’amore non accetta la propria fine?

– Quando finisce bisogna sempre trovare un colpevole.

– Invece finisce e basta?

Lei annuì. – Le persone dovrebbero prenderla con filosofia. Vedere il lato positivo.

– E quale sarebbe il lato positivo di una storia d’amore che finisce?

– Che ti rinnovi. Che tra poco ne comincerai un’altra.

– Non è orribile questo ciclo vitale sempre uguale a sé stesso che divora tutto?

– Non farmi il piccolo Schopenhauer.

Scendendo a piazza del Popolo si presero per mano. Lui non aveva dubbi su cosa fare: bisognava saltare da una chiazza di verde all’altra.

Distingueva chiaramente, quasi con occhi da cartografo, il dispiegarsi di quel percorso bizzarro, il loro ritorno a casa che era al tempo stesso alternativo e privilegiato.

Attraversarono il Tevere a passo spedito, per restare meno tempo possibile fuori dal tracciato dei parchi e delle ville, quasi che un arbitro invisibile potesse squalificarli. Quando entrarono a Castel sant’Angelo tirarono il fiato. Tra quei lecci in fiore, calpestando le bacche vecchie dell’autunno precedente, si baciarono con gli schiamazzi dei bambini in sottofondo.

– Dopotutto l’amore esiste, – asserì lui.

Lei lo guardò scettica. – Ne sei davvero convinto?

– Sono convinto che sull’argomento possiamo esprimerci con cognizione di causa.

– Ah, mi vuoi dire che se esiste l’amore dobbiamo deciderlo

noi?

– E chi sennò?

Confessioni

Camminarono fin sopra il Gianicolo, e il cielo improvvisamente si oscurò.

– La primavera di Roma contiene in sé tutte le stagioni, – osservò lui.

Lei, affacciata sul belvedere, pareva non ascoltarlo più.

– Perché ti sei innamorato di un’altra? Perché non me l’hai detto? – gli chiese di punto in bianco.

Lui fece spallucce. – Acqua passata.

Fece per baciarla, ma lei non glielo permise.

– Abbiamo detto solo nei parchi e nelle ville, – gli ricordò, lagnosamente pedante. – Qui non vale.

Lui la trascinò nella scalcagnata Villa Sciarra, poggiandola su una panchina di legno marcito, dietro alla grande uccelliera in ferro battuto dove un tempo i pavoni facevano la ruota.

Provò a baciarla ma lei fece resistenza. – Perché non siamo andati a Villa Dora Pamphilj che è molto più bella?

– Perché non era di strada.

Lui insistette a baciarla e lei di nuovo si ritrasse. – Che succede?

– Niente, non mi va.

– I patti non erano questi.

Cominciò a piovigginare sulle siepi che, potate secondo l’arte topiaria a foggia d’animale, sembrava che fremessero.

Piovve sulla pietra mutilata delle statue e sulle balaustre arrugginite dei vialetti, sui lastroni sbreccati delle scalinate e sull’acqua stagnante dei fontanoni.

Dovettero andarsene, anche se lui non avrebbe voluto lasciare la villa senza essersi scambiati neanche un bacio.

Poi lei nel bel mezzo della strada si voltò. – Adesso ti dico una cosa che non sai. Anch’io ho avuto un altro.

– Che motivo hai di dirmelo adesso?

– La chiarezza è più importante del dolore.

Erano arrivati a Trastevere, e lui per tutto il tragitto non l’aveva più guardata. Le gocce di pioggia si diradarono nel cielo che era già tornato turchese: dell’acquazzone non restavano che le consuete pozze di sanpietrini affogati.

– Qual è la prossima villa o parco che incontreremo? – provò a domandargli lei, ma lui accelerò il passo fino a un parcheggio dei taxi.

Stava per alzare il braccio per farsi aprire la portiera dalla prima vettura della fila.

Lei si mise a gridare. – Cazzo, no! Ce l’abbiamo quasi fatta, siamo quasi arrivati a casa. È da stamattina che camminiamo.

Lui tenne il braccio abbassato, ma gli costò caro, gli sembrò di aver finito d’amarla proprio in quel momento, non era successo prima, non sarebbe potuto succedere dopo.

In un modo o nell’altro si rimisero in marcia. Si ridettero un bacio solo quando arrivarono al parco della Resistenza dell’VIII Settembre, dove i cani avevano appena ricominciato a scorrazzare, mentre i padroni si tenevano compagnia tra loro. La pioggia aveva mantecato l’immondizia rovesciata nelle aiuole, facendola magicamente profumare d’orto.

– Io non ti perdono, sia chiaro, – disse lui.

– Neanch’io ti ho mai perdonato, – rispose con prontezza lei.

In quella doppia ammissione d’impotenza riconobbero una sorta di complicità, come se senza perdono si potesse trovare la pace, seppur in modo paradossale. In fondo solo chi si perdona può tornare a litigare.

Si baciarono ancora e ancora, nella jazzistica Villa Osio, tra l’erba alta del parco di san Sebastiano, nell’immensità del parco degli Scipioni, facendo finta ancora per qualche ora di non provare curiosità verso le vite degli altri. Erano baci appassionati e teneri, gioiosi e strazianti, come forse non se ne erano mai dati. Baci definitivi.

– Il bacio è la vera sineddoche dell’amore, – disse lui.

– Perché?

– È comune e insondabile, proprio come l’amore.

– Più ami più diventi un principiante dell’amore?

Si misero a ridere con un groppo in gola. Quando si trovarono a percorrere l’ultimo tratto di strada che li separava da casa stava facendo buio.

– Ce l’abbiamo fatta, – disse lui. – Abbiamo camminato così tanto che quasi mi sono dimenticato da dove siamo partiti.

– Eravamo ai Parioli, dall’avvocato, – sottolineò automaticamente lei.

Lui a quel punto mise la chiave nella toppa della porta, mentre lei lo guardava con una sensazione crescente di paura. Li accolse il rimbombo delle stanze svuotate, l’immagine spoglia di un corridoio disseminato di scatoloni. Presto quella casa sarebbe stata disabitata.

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