Quando premium è sinonimo di crisi: Moët Hennessy al bivio

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è la frutta che diventa un lusso. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Sembra passato un decennio da quando, appena due anni fa, l’amministratore delegato di Moët Hennessy dichiarava che immediatamente dopo la pandemia da Covid-19 il mondo aveva affrontato un «generale sentimento di piacere associato alla rivalsa», riferendosi al deciso rimbalzo nelle vendite di Champagne di quel periodo. Moët & Chandon, Ruinart, Dom Pérignon, Krug, Mercier e Veuve Clicquot sono solo alcuni dei brand che fanno parte del gruppo, che si affiancano a nomi iconici come Château Cheval Blanc, Château d'Yquem, Cloudy Bay e tanti altri. Nel frattempo ne sono successe di cose: l’azienda ha tagliato oltre il 10 per cento della propria forza lavoro, sta affrontando una causa legale per molestie sessuali e discriminazioni di genere sul posto di lavoro che ha avuto enorme risonanza e lui è stato sostituito. La stessa famiglia che controlla il più noto conglomerato del lusso al mondo, LVMH, ha deciso di intervenire direttamente: Alexandre Arnault, uno dei cinque figli del fondatore Bernard Arnault, ha ricevuto l’incarico di affiancare il nuovo amministratore delegato per rilanciare proprio Moët Hennessy, la divisione del gruppo che in questo momento sta performando meno. Il sapore del futuro: quanto pesa il gusto nuovo che si coltiverà Le accuse L’azienda è al centro di gravi accuse relativamente all’ambiente lavorativo definito da molte fonti come come “tossico” a seguito delle denunce presentate dall’ex chief of staff del responsabile globale della distribuzione del settore vini, Maria Gasparovic, che sostiene di aver subito molestie sessuali, in generale di essere stato discriminata solo perché donna e infine di essere stata licenziata senza giusta causa. Accuse che sono state riportate dal Financial Times il 10 luglio e da allora hanno avuto un’enorme eco a livello internazionale. Così Wine-Searcher: «Il FT ha riportato le parole di un ex dipendente che ha raccontato quanto il loro responsabile urlasse alla gente come se fossimo in una casa di moda degli anni '90, solo che siamo nel 2025 e quello è un comportamento non più accettabile. Molte persone si davano malate, altre sparivano dall'oggi al domani. La situazione aveva assunto proporzioni dirompenti». E ancora: «Un avvocato specializzato in diritto del lavoro che ha rappresentato diversi dipendenti di Moët Hennessy ha dichiarato al FT di essere stato contattato “ogni mese” dai dirigenti di LVMH che hanno lasciato il gruppo in modo burrascoso, e che molti di loro erano impiegati nel settore dei vini e dei liquori. “C’è chiaramente un problema alla Moët Hennessy”, ha affermato». Sospetti russi Accuse che si sommano a una questione altrettanto spinosa: Maria Gasparovic sostiene infatti che Moët Hennessy avrebbe continuato a spedire prodotti tramite intermediari in Russia anche dopo che LVMH aveva annunciato nel marzo 2022 che avrebbe sospeso le attività nel paese. L’azienda, tuttavia, ha negato qualsiasi illecito, sottolineando le difficoltà di supervisionare le reti di distribuzione a livello globale. Quello russo fino all’inizio dell’invasione dell’Ucraina rappresentava per lo Champagne un mercato piccolo ma non indifferente, il quindicesimo nel mondo in termini di export, quasi due milioni di bottiglie annue legate soprattutto al settore premium e superpremium. Segmenti, questi, che stanno subendo meno degli altri la crisi dei consumi e che infatti negli ultimi anni sono stati visti come strumenti per emergere in un mercato sempre più saturo, dove essere riconoscibili è diventato fondamentale. Una “premiumizzazione” che è stata accelerata dall’affermazione di marchi sempre più forti, in parte proprio quelli di proprietà di gruppi del lusso come LVMH: brand che permettono ai consumatori sia di orientarsi meglio di fronte a un’offerta sempre più vasta che, in parte, di posizionare se stessi come consumatori di uno specifico tipo di prodotto, di accedere quindi a uno status riconosciuto. Inoltre vini di questo tipo permettono a chi li produce una forte fidelizzazione della clientela e margini superiori rispetto a quelli dei vini di fascia più bassa. Un risultato che in termini di posizionamento è però tutt’altro che semplice da perseguire e che richiede grandi investimenti in comunicazione, ovviamente, ma anche in produzione in un contesto di mercato straordinariamente competitivo. [Missing Caption][Missing Credit]