Credo sia per mimesi che un bambino immagini di diventare l’adulto che sarà. Sono stato un bambino fortunato, negli anni Settanta, in una famiglia proletaria, vivevamo rispettosi di noi dentro un piccolo appartamento popolare. Due nonni, due genitori e due bambini in 80 metri quadrati. Nel quartiere popolare dello stadio, in pieno boom demografico, con i bambini per strada, tantissimi, ricchi di tempo libero da passare assieme. 

Un mondo che era tutto in un quartiere nella periferia di una città piccola, forse la più piccola d’italia, Pordenone. Piccola ma con tutti i suoi elementi che la definiscono. Le case, le case popolari, le fabbriche e i negozi, centro e periferia, traffico, stazione dei treni, ricchi, poveri, padroni, operai, insegnanti, infermieri e ferrovieri, il carcere, i musei, addirittura due grattacieli e lo stadio.

Qui, nel teatro della mia mia vita di bambino, il più eccitante dei luoghi era indubbiamente l’edicola. Quella baracchetta sulla strada dove si comperano i quotidiani, un posto pieno di oggetti speciali, capaci di portarti per poche lire in mondi nuovi, fantastici, lontanissimi. Il posto dove si potevano comperare i giornalini, così si chiamavano i fumetti.

Spinto dall’eccitazione vista negli occhi degli amici del cugino più grande di qualche anno, cominciai ad appassionarmi ai fumetti americani dei supereroi. Diventai presto un esperto. Riconoscevo i segni dei disegnatori americani che animavano quelle storie pieni di fantascienza, avventura, horror, con storie allacciate a una continuity simile a quella delle attuali serie tv, con dentro le emozioni e le paure degli adolescenti dell’epoca o le vite familiari di supereroi con superproblemi. Disegnatori giganteschi; Kirby, Romita, Adams, Steranko, Ditko per fare qualche nome.

Contemporaneamente agli americani trovai le storie e il segno in bianco e nero di un disegnatore diverso. Il personaggio si chiamava Alan Ford e il disegnatore, che già aveva dato il suo segno a  Kriminal e Satanik, si chiamava Magnus. Era italiano, tutto il fumetto era italiano. Lo avevo capito nonostante i nomi degli autori Magnus e Bunker fossero volutamente esotici.

Bianco, nero e diabolico

Poco prima passavo gran parte del mio tempo libero a copiare i corpi manieristi degli eroi americani, a quel punto cominciai a farlo con i disegni grotteschi di quel mondo in bianco e nero che era dentro il giornalino che aveva il formato dei neri italiani. Diabolico, per capirci. Magnus ricostruiva tutto il mondo, dai muri, agli animali, alle auto fino ad arrivare ai personaggi che avevano una recitazione speciale e un codice espressivo mai visto prima.

Era capace di raccontare la gioia, l’ira, la paura, addirittura l’imbarazzo. Ogni espressione umana aveva una sua interpretazione grafica nel suo codice così originale.

Ogni mese per poche lire, tanto che potevo essere autonomo nei miei acquisti di bambino, assistevo alla messa in scena di avventure meravigliose, che la mia immaginazione animava come fossero reali. La magia del fumetto, la lettura che preferisco e che non è di tutti. 

Lo confesso a voi. Il numero di Alan Ford del ritorno di Superciuk, fu il mio primo furto di Magnus.

Poi nel 1976 Magnus lasciò Alan Ford e il connubio con lo sceneggiatore Max Bunker, Luciano Secchi, si concluse. Una coppia creativa come ce ne sono state poche nel fumetto italiano.

Così indissero un concorso per trovare il nuovo disegnatore.

Il personaggio passato in tv nel programma Super Gulp era diventato famosissimo. Partecipai con un disegno ispirato alla creazione di Michelangelo, il Numero Uno come dio, il grande Cesare come uomo (per chi conosce i personaggi) e vinsi.

Certo avevo 14 anni. Sarebbe stato lavoro minorile. Ma ero felicissimo. Io e forse di più mio padre, mio primo sostenitore anche in quella notte di premiazione alla terrazza Martini a Milano.

Milano, la città dove si fanno i fumetti. Fu questo il mio secondo furto di un Magnus.

Magnus cresce con me

Finite le medie, il bambino che ero lasciò il posto all’adolescente. Sono al liceo ed è il 1980. Cerco fumetti che mi assomigliano e sono un lettore fortunato. Trovo Pazienza, Liberatore e Tamburini (altra coppia creativa memorabile), Scozzari, Moebuis, i Valvolinici, sempre lì: nell’edicola. E lui, Magnus, cresce con me. Lasciato Alan Ford comincia, complice l’editore Renzo Barbieri, quello del fumetto erotico italiano, quello di Lando per intenderci, un percorso specialissimo. Trova nelle sabbie del deserto nord africano Unknow, lo sconosciuto, una specie di guardia del corpo che si trova suo malgrado a vivere avventure in un presente riconoscibile.

La messa in scena non è  più solo farsesca. Il registro principale è realistico. L'ambiente e il tempo quello della contemporaneità. Gli anni di piombo, del terrorismo internazionale e della droga.

Il formato è lo stesso di Alan Ford, stessa la cesta dove lo puoi trovare, ma il contenuto è davvero diverso. Il linguaggio di Magnus è cresciuto.

Lo trovo addirittura dentro a Frigidaire, con una storia sulla morte di Socrate. Vuol dire che ai miei nuovi eroi Magnus piace quanto a me.

A Pordenone in quegli anni incontro la musica, il post punk del Great Complotto e quindi, come i provinciali di tutta italia decido di andare all’università a Bologna. Che è per me la capitale della musica alternativa, ma anche dei fumetti.

Finisco per avere la più importante esperienza didattica della mia vita alla scuola Zio Feininger con i grandi autori giovani che la animavano, Igort, Brolli, Pazienza, Mattotti, Muñoz e Sampajo e addirittura Magnus. Una scuola per diventare autore di fumetti. Ed è proprio lì che lo incontro per la prima volta. Uno dei corsi monografici che dura una settimana. Sono eccitato.

Metodo Magnus, dal vivo

Magnus mostra una forte reticenza a disegnare. Con la sua voce da colonnello in pensione, piena di rigoroso umorismo, racconta l’importanza di avere una sceneggiatura solida.

Il suo metodo è personalissimo e non dimentica mai il limite della “tavola”, unità di misura del racconto. Supportato da una documentazione approfondita, dalle architetture agli oggetti e ai vestiti, alle facce dei personaggi. E solo dopo arriva il disegno.

In poche parole Magnus non disegnò mai durante la settimana.

Sembrava ci fosse un peso, non la gioia estemporanea del disegno, appunto. Racconta l’ideazione e la realizzazione di una storia commissionata a lui da Bonvi, per Il Resto del Carlino. Una storia raccontata da Lo Sconosciuto che parla di un attentato islamico su un aereo di linea. Che lezione.

Quindi quando durante l’ultima conferenza pubblica a Treviso Comics 1995, prima di morire, in cui era ospite assieme a Moebius e tra gli altri anche me e la mia rivistina di esordienti che si chiamava Dinamite, gli sentì dire che per disegnare un fumetto bisogna imparare a scrivere con il compasso, la matita e il pennello e a disegnare con il vocabolario, non mi stupii. L’avevo imparato in quella scuola serale irripetibile a Bologna.

Il duello con Tex

Quella scuola fu il trampolino per la mia vita professionale. Dopo piccole pubblicazioni nel 1995 finii sempre a Bologna nella casa editrice che aveva dato rifugio proprio a lui. Il maestro, che ne frattempo aveva inanellato capolavori veri, come le 110 pillole, le femmine incantate, il lunario, che tutti sapevano fosse in quel periodo impegnato a concludere il duello più memorabile della sua vita. Il duello con Tex Willer, il ranger. E fu così che incontrai per la seconda volta Magnus.

Prima fui usato come corriere per portare le tavole di Tex alla mostra che Treviso Comics gli avrebbe dedicato. Poi provai un imbarazzo forte quando il maestro volle guardare le tavole che stavo realizzando dove un improbabile detective privato aveva a che fare con consumatori di cocaina. 

Il maestro volle vedere come disegnavo la cocaina.

Ancora arrossisco a pensarci.

Poi diventai uno dei disegnatori scelti per realizzare la prossima serializzazione di Milady nel 3000.

Ma la notizia della malattia di Magnus arrivò inaspettata e inesorabile. Cancro. Incurabile. E così fu che nel febbraio dell’anno successivo Magnus concluse la sua avventura terrena.

Aveva 56 anni. 

Dentro al mio nuovo libro Come rubare un Magnus c’è  anche qualcosa di questo che vi ho raccontato.

La storia che nasce da un fatto di cronaca realmente accaduto, il furto di un originale del maestro durante una mostra antologica svoltasi proprio a Pordenone nel 2005, a dieci anni dalla sua morte.

Esce in libreria in questo dicembre anomalo, e io ho la stessa età di quando Roberto Raviola morì. Ho pubblicato una ventina di titoli, sono stato uno dei primi autori italiani a dedicarmi al graphic novel. L’amore per il linguaggio che ha segnato il percorso di Magnus è lo stesso che ha mosso anche me.

L’amicizia con Bonvi

Questo è un libro su un grande disegnatore di fumetti. Roberto Raviola detto Magnus, e della sua amicizia con Franco Bonvicini, detto Bonvi. 

L'inventore delle Sturmtruppen, una star del fumetto internazionale, capace di far ridere con i suoi soldatini tedeschi e di mettere alla berlina la seconda guerra mondiale, spettro ancora vivo in quegli anni di boom economico.

Esiste una storia fatta a due mani dove Bonvi chiede telefonicamente aiuto per liberarsi dalle minacce ricevute dai propri personaggi; lo chiede al suo amico Magnus, che è a sua volta travolto dai propri, che escono da un armadio minacciosi.

È la condizione dell’autore. Una specie di medium, che dà voce ai personaggi e che per poterlo fare deve però stare con loro, ascoltarli prima di tutto, non abbandonarli mai.

E proprio per questa missione che Magnus decide di trasferirsi a Castel del Rio, all'Albergo Gallo, dove trova la concentrazione per mettere in atto l’ultima sfida. Disegnare una storia di Tex, il personaggio simbolo del fumetto italiano. Il ranger inventato da Gian Luigi Bonelli, che è diventato grazie alle capacità imprenditoriali di Sergio, la forma stessa del fumetto italiano d’avventura.

Ma questa, che prende forma come sfida artistica è anche una sfida professionale. Una braccio di ferro con l’editoria, che sempre è stata la controparte di Magnus. 

Qual è  la vera sola regola del fumetto seriale, che deve essere in edicola tutti i mesi, sul quale viene costruita un’industria dell’intrattenimento meravigliosa e redditizia? La sola regola è la puntualità della consegna. Ebbene, Magnus dilata questo tempo in modo sproporzionato. Ci impiega più di 7 anni, consegnando a pochi giorni dalla morte un lavoro immane. 230 tavole che sembrano incisioni, tanto sono lavorate. Un testamento della propria arte e della propria battaglia di libertà da una macchina, quella dell'editoria che, come lui stesso dice, quando individua in te un ‘chiamiamolo successo’ pretende la ripetizione e se ne frega dei tuoi desideri.

Questo, trasformato in una favola, lo trovate nel mio libro nuovo, Come rubare un Magnus. Che è almeno il terzo furto di un Magnus della mia vita.

© Riproduzione riservata