La storia delle prime tavole del ladro gentiluomo incrocia quella delle fantastiche sorelle Giussani. Un diario molto milanese, con l’Inter sofferente, mentre la morte del papa ci fa guardare altrove
Domenica
Venerdì sera ho rivisto in tv il primo film su Diabolik degli adorati Manetti Bros divertendomi come sempre. Soltanto loro potevano girare un film su uno dei due geni del male del fumetto italiano (l’altro è Mefisto di Tex) con la levità delle vecchie canzoni balneari, quelle in cui si sentiva lo sciabordio delle onde, come ad esempio Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco.
Stamattina ho recuperato Non sono stato io di Gianni Bono e Raffaele Mangano (Nuvole di carta), il libro che racconta la misteriosa storia del primo disegnatore di Diabolik che sparì nel nulla. Il caso da anni appassiona gli amanti del genere.
Sapete come la penso: la Milano migliore fu quella delle sorelle Giussani, non quella di don Giussani. Alte, avvenenti, eleganti, piene di charme (non sembravano vere, sembravano disegnate), Angela e Luciana Giussani appartenevano alla buona borghesia milanese, vincevano concorsi di bellezza e sfilavano come mannequin.
Perciò destò sorpresa nella Milano del Boom il matrimonio di Angela con Gino Sansoni. Costui, bruttino e volgarotto di modi, era estraneo al raffinato ambiente delle Giussani, anche se si spacciava per conte. Angela lo conobbe d’estate a Cervia (patria di Gino) e se ne innamorò anche perché sognava di lavorare nell’editoria e il sedicente conte era un editore.
Non era un Arnoldo Mondadori o un Angelo Rizzoli, ma i suoi albi a fumetti per adulti Vamp e le sue “buste proibite” (dentro c’era un po’ di tutto purché svestito) avevano uno zoccolo duro di aficionados. Angela seguiva il marito nei viaggi di lavoro per carpire i segreti del mestiere.
La meta erano le edicole parigine piene di riviste cochon che Sansoni stipava nelle sue valige per poi rifarle in italiano (era il sistema delle cover che aveva arricchito i discografici milanesi). Durante uno di questi saccheggi, Angela scoprì Fantomas, il ladro gentiluomo con la mascherina nera, la scintilla da cui nacque Diabolik. Angela aprì la sua casa editrice, che chiamò Astorina in quanto costola chic dell’Astoria, l’azienda del Conte.
Una sera arrivò in redazione Angelo Zarcone. Bono e Mangano in Non sono stato io lo descrivono come il pittore che non vende quadri (e dipinge soltanto l’amore che vede) della canzone dei Giganti Mettete dei fiori nei vostri cannoni. Per sbarcare il lunario, Zarcone disegnava fumetti ed era venuto a consegnare le prime tavole di Diabolik. Fu lui a dargli l’imprinting, ma poi scomparve senza lasciare tracce e il lavoro era ancora da finire…
Un giallo avvincente che devo interrompere perché è l’ora del pranzo di Pasqua. Quest’anno abbiamo deciso di festeggiare in stile nazionalpopolare (o è un rigurgito radicalchic?) alla gloriosa bocciofila della Martesana sul naviglio omonimo. Colonna sonora eseguita dal vivo: da Zucchero al ballo liscio.
P.S. Ma chi mi aveva scritto una volta la storia del Conte Sansoni? Cercherò in archivio.
Sei di sera. Il cielo è plumbeo sopra Bologna. È la prima cosa che noto all’inizio della partita. E, infatti, l’Inter perde all’ultimo minuto. Gol di gran classe di Orsolini.
Lunedì
È morto il papa.
Non è il caso di continuare con la storia del disegnatore di Diabolik (o forse sì?). Sfoglio la Bibbia e mi soffermo sulla scena dell’angelo che arriva dal cielo con in mano la chiave dell’Abisso e una grande catena di bronzo, afferra il drago (secolarizziamo: Il trono di spade?), cioè quel vecchio serpente di Satana (secolarizziamo: Diabolik?), lo lega e lo rinchiude nell’Abisso affinché non possa sedurre più nessuno (secolarizziamo: le buste proibite di Sansoni?).
Ma non è una condanna all’ergastolo, l’angelo non butta via la chiave perché il Diavolo dovrà essere liberato al compimento di mille anni di prigionia…
Potrebbe essere una buona citazione per ricordare su quale sfondo grandioso agisce sempre un papa. Oggi più che mai.
Martedì
Restiamo alti. Adelphi ha pubblicato A che cosa serve la letteratura di Isaac Bashevis Singer, che il formidabile critico dell’Espresso Paolo Milano considerava lo scrittore più grande. In un articolo Susanna Nirenstein cita due brani di Singer.
Nel primo si dice che «il Satana del nostro tempo recita la parte dell’umanista e ha un unico desiderio: salvare il mondo. Questo è il demone più difficile da esorcizzare.» Secolarizziamo: a me vengono in mente i lugubri predicatori che imperversano nelle prime (ma anche seconde e terze) serate tv.
Nell’altro brano, più leggero, Singer scrive: «Non esiste un paradiso che ripaghi i lettori annoiati. Nell’arte, come nel sesso, l’atto e il godimento vanno di pari passo.» Secolarizziamo: a me vengono in mente gli scrittori della dozzina semifinalista allo Strega con quei romanzi (?) che celebrano «l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno».
È la letteratura “minchiamortista” contro cui si scagliava Marinetti nel Manifesto del Futurismo. «Tutto il resto è noia. No, non ho detto gioia», come cantava Franco Califano, che una volta mi disse: «Le migliori sono le commesse, ce credono ancora».
Mercoledì
Aspettando il derby sbrigo la posta arretrata.
Luca De Stefani: «Oggi se ne è andato il grande Mario Vargas Llosa che ho imparato ad amare grazie a lei. Così ho cercato se lei avesse scritto qualcosa in merito, ma è evidentemente troppo presto; sta elaborando il lutto. Mi sono invece imbattuto in questa rubrica “Spaghetti e Moretti, la birra”. La più bella canzone sul calcio è La leva calcistica della classe ’68, ma lei questo già lo sapeva… Con affetto e stima».
Francesca Ceriani: «Dopo le puntate su Calvino su Finzioni, è davvero un grande piacere ritrovare una sua rubrica anche sul quotidiano. Da fervente paolocontiana, come titolo della rubrica suggerirei, parafrasando, “Una pagina in prestito”».
Risposta. Se dovessi rubare un titolo per la rubrica a Paolo Conte ruberei senz’altro Sijmadicandhapajiee (in astigiano-azteco: siamo dei cani da pagliaio) che rispecchia il mio attuale stato d’animo (e forse non solo mio).
Francesca Ceriani continua: «A proposito di Moretti (la birra), conoscevo un Moretti che ha sposato una ragazza con cognome Peroni. Ormai non li frequento da decenni, ma non li scorderò mai!».
Derby: l’Inter è finita?
Giovedì
In una intervista lo sceneggiatore Harlan Coben dice a Enrico Franceschini che gli anni Settanta sono stati la più grande stagione per il cinema (Chinatown e Il Padrino). Parla di thriller, ma allargherei il discorso. Erano bellissimi i film dei Settanta (come la musica coeva d’altronde). Una curiosità. In quei film c’era sempre almeno una scena di sesso, una scopata di prammatica. Per alleggerire la tensione e richiamare pubblico come le copertine desnude dei rotocalchi di allora. Le copertine con la fica si chiamavano nelle redazioni. Il Conte Sansoni colpiva ancora.
Venerdì
Sono al mare. Passeggiata fino al cippo del Cinquale con la scritta in rosso: «LINEA GOTICA Settembre 1944 Aprile 1945». La sobrietà toscana.
Tornato a casa mi chiedo se mettere una scena di scopata in ogni numero della rubrica come nei film anni Settanta potrebbe richiamare più lettori. Frugo in archivio e ne trovo due (megl che uan) liberamente tratte da The Mister, che E. L. James scrisse dopo il boom di Cinquanta sfumature.
Prima scena, il conte Maxim Trevelyan, è a letto con Heather.
MAXIM: Cosa vuoi? HEATHER: Credo che tu sappia cosa voglio. MAXIM (sussurrandole contro la bocca): Tu cosa vuoi? HEATHER: Te. Baciami (con voce roca, bassa e imperiosa).
(«E mantieni il bacio» suggerirebbe lo psicoanalista Recalcati).
Seconda scena, stessi protagonisti.
HEATHER (vedendo un pianoforte a mezza coda in casa del Conte): Suoni? MAXIM: Sì. HEATHER: Ecco perché hai mani tanto sapienti. MAXIM: Tu suoni? HEATHER: No, non sono mai andata oltre il flauto a scuola.
Qui Maxim avrebbe dovuto rispondere con una battuta di sole sei parole. Era un rigore in movimento, come i cronisti di calcio chiamano un’occasione facile facile ciccato da E. L. James. Vediamo se qualcuno di voi indovina la battuta mancata.
P.S. Trailer prossima rubrica: in archivio ho trovato chi sponsorizzava la storia del Conte Sansoni.
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