Era il Sacro Graal della “cefisologia”: un libro solo per modo di dire, mai distribuito, stampato probabilmente in un pugno di copie, forse quelle che bastavano per consentire al protagonista del volume (suo malgrado) di bloccarlo prima che arrivasse in mano ai lettori.

L’unica copia sopravvissuta è per giunta di proprietà di un bibliofilo ben noto alle cronache, politiche e soprattutto giudiziarie: l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Una dozzina di anni fa l’ha esposta a Milano, alla sua Mostra del libro antico, quando ancora nessuno ne aveva mai sentito parlare.

E da lì il libro inesistente era tornato nel nulla, anche per via di un sequestro giudiziario connesso a una spericolata affermazione proprio di Dell’Utri, che aveva rivelato di essere anche in possesso del misterioso “Appunto 21” di Petrolio, pure quello Sacro Graal ma in ambito pasoliniano. Salvo poi fare presto marcia indietro, per dribblare una inevitabile inchiesta per ricettazione.

Ora L’uragano Cefis in libreria ci arriva davvero, per merito della Effigie edizioni di Giovanni Giovannetti, come già avvenne per Questo è Cefis, altra rarità, del quale però mezzo secolo dopo copie originali ancora ne spuntano, benché al costo di svariate centinaia di euro. Di Uragano, invece, da qualche anno giravano al massimo mazzette di fotocopie, nel ristretto ambito dei cultori della materia (compreso chi scrive), finendo a un certo punto anche su eBay, ovviamente a un prezzo proibitivo.

I due volumi d’altra parte hanno diverse caratteristiche in comune: dall’autore schermato da uno pseudonimo (Giorgio Steimetz nel caso di Questo è Cefis, del 1972, Fabrizio De Masi per L’uragano Cefis, del 1975, che si giovava anche di un’introduzione dell’altrettanto inesistente Pier Crescenzi) al contenuto durissimo nei confronti di Cefis, l’ex presidente dell’Eni fresco di nomina alla guida di Montedison all’epoca del primo volume e, al momento della mancata uscita di Uragano, uno degli uomini più potenti d’Italia (era anche vicepresidente di Confindustria, quando al suo vertice stava Gianni Agnelli).

Una potenza nascosta dietro una coltre di mistero mai diradatasi, anzi cresciuta a dismisura dopo la sua morte nel 2004, in Svizzera, dove si era trasferito con un coup de théâtre già nel 1977, uscendo per sempre dalla sfera pubblica che aveva a lungo dominato.

Stile particolarissimo

Su Cefis è stato detto e scritto di tutto: fondatore della P2, sovvenzionatore di eversori (il golpe Borghese), longa manus dietro le morti violente di Enrico Mattei, Mauro De Mauro e Pier Paolo Pasolini, in un filone complottista tanto inesauribile quanto sprovvisto di prove fattuali. Un filone alimentato anche dalle tante voci sul suo leggendario patrimonio personale, chiaramente accumulato chissà come.

L’uragano Cefis, ed è già un grande merito, consente di fare definitivamente luce su quest’ultimo presunto mistero: quel patrimonio arrivò infatti in dote al campione della “razza padrona” dalla moglie Marcella Righi, di famiglia ricchissima. Che poi Cefis quel patrimonio lo abbia fatto fruttare grazie a spregiudicate operazioni finanziarie è altro discorso, che peraltro il libro firmato De Masi affronta in maniera altrettanto spregiudicata.

Lo stile dell’autore è infatti particolarissimo: tanto barocco nei passaggi descrittivi dedicati a Cefis quanto certosino e pedante nell’elencazione dei dettagli relativi a società, consigli d’amministrazione, capitali sociali e quant’altro.

Si capisce benissimo che il De Masi, allora, ebbe accesso a carte non esattamente a portata di mano. E che quindi l’operazione di discredito di Cefis, perché di questo si trattava, era stata studiata a lungo. Con quanto successo impossibile dirlo, visto che il libro in effetti mai ha visto la luce.

Arma di pressione

Il che non stupisce affatto, se si considera che il libro si sofferma con prosa sprezzante e compiaciuta anche sulle amicizie femminili dello sposato e padre di famiglia Eugenio Cefis. Un’arma di ricatto, insomma.

O comunque una formidabile arma di pressione su un uomo già al centro di mille scandali, con risvolti giudiziari (fondi neri, tangenti, spionaggio, intercettazioni telefoniche) finiti peraltro sempre nel nulla. Uragano si conclude tra l’altro chiudendo il cerchio aperto da Questo è Cefis, dando conto di una denuncia contro Cefis basata proprio sull’inchiesta pubblicata dalla Agenzia Milano Informazioni (riconducibile a Graziano Verzotto, altra figura controversa) e poi sfociata nel libro di Steimetz: denuncia che, prevedibilmente, non ha sortito alcun effetto.

Con ampio scorno anche di De Masi, che pure, su Questo è Cefis, di per sé non si espone troppo. «Almeno letterariamente – scrive infatti – non osiamo esprimere pareri in ossequio alla deontologia professionale».

È una frase significativa, che tradisce probabilmente la volontà di allontanare ogni sospetto di collegamento tra le due “opere”, chiamiamole così. Ma il sospetto è invece fortissimo. Giovannetti, ricercatore infaticabile, si è infatti meritoriamente incaricato non solo di pubblicare L’uragano Cefis, bensì anche di farlo precedere da una propria introduzione di una quindicina di pagine (con al centro appunto la questione della ricchezza di Cefis) e, soprattutto, di chiuderlo con una postfazione di addirittura 170, cioè quante ne conta in questa edizione il libro finora inesistente firmato De Masi.

Santi senza candele

E in questa corposa parte ha messo a confronto numerosi passaggi di L’uragano Cefis con altrettanti di un libro dimenticato di Luigi Castoldi, giornalista e scrittore brianzolo, classe 1929, «democristiano, in ottimi rapporti con la curia milanese».

Il libro in questione è Santi senza candele, pubblicato nel 1998 da quella Egr (Editrice giornalisti riuniti) che avrebbe dovuto pubblicare Uragano e per la quale proprio Castoldi è stato autore di numerose monografie. Si tratta di un libro che raccoglie una serie di ritratti: si va da Andreotti a Berlinguer, da De Mita a Fanfani, da Martinazzoli a Zaccagnini.

C’è anche Enrico Mattei, predecessore di Cefis alla guida dell’Eni. Guarda caso, c’è pure Cefis. E il confronto lascia poco spazio ai dubbi. Ecco alcuni passaggi a titolo di esempio (ma la casistica è molto più ricca).

De Masi, pagina 7: «Dinastia di capomastri, come lo sarà il figlio, Camillo». Castoldi, p. 64: «Cefis Eugenio, una dinastia (!) di capomastri. L’impresa edile del nonno Francesco passa a Camillo Cefis, padre di Eugenio».

De Masi, p. 15: «Nell’anticamera del simpatico bunker di Cefis un’infilata di tavolette votive alla parete, secondo una disposizione ambientale studiata con garbo. È l’hobby di Cefis l’ex-voto». Castoldi, p. 66: «Ho parlato con lui nel suo studio di via Chiossetto. Nella sala d’attesa un’infilata di ex-voto alle pareti».

De Masi, p. 16: «Il genio del presidente, afferma Mattei, è determinante per la conduzione dell’Eni. Di genî ne basta uno solo.

L’Eu-genio diventa due volte di troppo». Castoldi, p. 66: «Cefis è ormai talmente all’Eni che Mattei, nel ’60, si rende conto della misura d’ingombro e decide che di geni ne basta uno: l’Eu-genio è di troppo, per etimologia e per importanza».

De Masi, p. 37: «Giorgio Cefis, grimpeur come il babbo, entra alla segreteria di Enrico Cuccia alla “Mediobanca”, un ambiente frequentato dal dott. Cefis padre». Castoldi, p. 66: «Nel ’44 è nato Giorgio, un grimpeur come il padre (l’ha fatto entrare alla segreteria di Cuccia, il deus ex machina di Mediobanca e della galassia economica italiana; adesso è alla Morgan Greenfield Int. ed è uno che conta)». De Masi, p. 41: «È la Primula rossa dell’economia italiana». Castoldi, p. 61: «Impenetrabile. Primula rossa della finanza italiana».

Aggiungete a tutto questo la circostanza, pure segnalata da Giovannetti, che qua e là spuntano corrispondenze anche con Questo è Cefis. Il quale risulta stampato in una tipografia di Monza, appunto la città di Castoldi. Mistero risolto dunque? Probabilmente sì.

Ma nella postfazione Giovannetti butta lì un’altra notevole scoperta: una lettera inedita di Aldo Moro a Mattei in cui l’allora segretario della Dc esortava il presidente dell’Eni «a fare un passo indietro». Era il 19 ottobre 1962: un mese prima dell’attentato di Bascapè, l’eterno mistero italiano.

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