Lo scrittore ricevette una telefonata da parte del critico. I due si conoscevano da qualche decennio come possono conoscersi uno che di mestiere fa lo scrittore e uno che di mestiere fa il critico: come il topo e il gatto.

«Carissimo, ti ho chiamato solo per dirti che presto uscirà la recensione che ho scritto sul tuo nuovo romanzo», annunciò il critico. 

«Mi dai una notizia meravigliosa!».

«Faccio un’analisi accurata, con una piccola riserva».

Lì per lì lo scrittore non diede peso alle parole che il critico aveva pronunciato prima di salutarlo, pensando che tra poco la recensione sarebbe uscita, e che il suo romanzo era stato sottoposto a un’analisi accurata. Tuttavia, a mano a mano che passavano i minuti, quella «piccola riserva» cui il critico aveva accennato cominciò a diventare la parte più importante dell’intera telefonata.

Anomalie e perplessità

Lo scrittore non si dava pace: «Perché telefonarmi se la recensione non è del tutto positiva? Quale piccola riserva potrà mai avere nei confronti del mio romanzo?».

Lo scrittore prese il telefono e decise di chiamare il critico per tagliare la testa al toro.

«Carissimo, ci siamo sentiti poco fa», esordì lo scrittore. «Per curiosità, vorresti anticiparmi la piccola riserva di cui mi hai parlato?».

Il critico si mise a ridere per minimizzare. «Come siete sensibili voi scrittori! Ma niente, qualcosa che riguarda il funzionamento complessivo dell’opera. Un’anomalia del meccanismo, ma così microscopica che quasi non esiste, forse la vedo soltanto io!».

Lo scrittore chiuse la telefonata di cattivo umore. La sua preoccupazione invece di essere stata blandita cresceva di minuto in minuto. La «piccola riserva» adesso era diventata una «anomalia del meccanismo».

Lo scrittore dopo averci rimuginato un po’ su, compose di nuovo il numero del critico.

«Carissimo, poco fa mi hai parlato di un’anomalia del meccanismo, sebbene microscopica. Allora vorrei almeno sapere a quale unità di grandezza devo riferirmi. Puoi mettermela in scala questa anomalia del meccanismo?».

Il critico sospirò, prima di emettere uno sghignazzo. «Ma lascia perdere, sei uno scrittore mica uno che intaglia orologi a cucù! La mia è una perplessità generale sulla tenuta del testo, tutto qui».

Conclusa la telefonata, lo scrittore riassunse: la «piccola riserva» era prima diventata una «anomalia del meccanismo» e ora una «perplessità generale». Sembrava che la cosa fosse peggiorata di telefonata in telefonata, come una palla di neve che alla fine diventa una slavina e fa venire giù tutta la montagna.

Pollice verso

Lo scrittore si vide costretto a richiamare il critico.

«Carissimo, dici che la tua perplessità generale riguarda la tenuta del testo. Ma da quale punto di vista? Strutturale, linguistico, tematico?».

Il critico stavolta rispose con meno giovialità. «Non mi fare anticipare tutto adesso sennò la recensione a che serve? Posso soltanto dirti che un romanzo, per come la vedo io, dovrebbe essere una costruzione architettonica perfetta. Se manca qualcosa viene giù tutto».

«È un giudizio severo!».

«Sì, ma non mi esprimo mai attraverso giudizi assolutistici, non mi piace, dovresti saperlo, io sono a favore del ragionamento».

«Ragionamento o non ragionamento, mi pare che in questa recensione tu il giudizio lo dia».

«Quanta impazienza! Aspetta almeno che esca, neanche l’hai letta!».

Lo scrittore chiuse la telefonata in malo modo. Era furioso, non c’era che dire: la «piccola riserva» che era diventata una «anomalia del meccanismo» che era diventata una «perplessità generale» ora era diventata un «giudizio severo», e anche ai suoi stessi occhi il romanzo aveva cominciato a perdere il suo spessore, il suo valore.

Lo scrittore volle richiamare il critico, perché davvero avrebbe voluto saperne di più, arrivare almeno a un punto fermo.

«Carissimo, scusa se ti disturbo ancora, ma queste telefonate tra noi mi hanno gettato nello sconforto. Vorrei sapere quanto è severo il tuo giudizio».

Il critico tossì infastidito. «Sto scappando a un convegno sulla morte, adesso non ho molto tempo. Ho letto il romanzo con molta curiosità, mi ha ispirato una lunga riflessione che appunto leggerai appena la recensione uscirà, per il resto che dirti? Difficilmente parlo bene dei romanzi di cui mi occupo, il tuo è un romanzo ben fatto, se vuoi, ma è anche profondamente sbagliato, da qui il mio pollice verso». 

La telefonata si chiuse, intanto però la «piccola riserva» che era diventata una «anomalia del meccanismo» che era diventata una «perplessità generale» che era diventata un «giudizio severo» adesso si era tramutata addirittura in un «pollice verso».

Parole accorate

Lo scrittore non avrebbe più potuto telefonare al critico, salvo perdere la faccia e la dignità per sempre, perciò si decise a scrivergli una lettera. Certo con una missiva – modo di comunicazione desueto e nobile – gli animi si sarebbero calmati, e senz’altro ci sarebbe stato un chiarimento.

Lo scrittore attaccò, senza rendersi conto che in realtà la sua era una specie di vendetta. «Carissimo, è fin troppo evidente che la critica si trovi in condizione critica: la sua crisi e la sua perdita di prestigio sono rappresentati alla perfezione dal sempre minore spazio che le tocca nei media…». 

Lo scrittore appallottolò la pagina e ricominciò da capo.

«Carissimo, la rottura definitiva tra la critica e la realtà è avvenuta quando quest’ultima è divenuta virtuale, contrapponendo allo sforzo dell’analisi un semplice like, anche se le lamentele da parte dei critici della critica – i Segre, i Lavagetto, i Berardinelli – erano già in atto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, complice il superamento definitivo della carica ancora ideologica delle neoavanguardie a favore dell’intrattenimento puro…».

Lo scrittore appallottolò anche il secondo tentativo e ricominciò da capo. «Carissimo, ormai esistono dei sistemi di rilevamento e legittimazione letteraria che prescindono bellamente dalla critica, e che si possono accumunare perché seguono un criterio quantitativo: le classifiche di vendita sommano le copie vendute, le classifiche di qualità così come i premi letterari (che pure dentro i propri comitati fagocitano diversi critici) sommano i voti, puntando a una canonizzazione senza canone, sprovvista cioè del peso e della responsabilità di una scelta individuale…».

Lo scrittore cestinò anche quel tentativo, perché in cuor suo avrebbe voluto destinare al critico poche parole accorate. «Carissimo, al netto della tua analisi accurata, che come ben immaginerai rispetterò fino all’ultima virgola così come ho sempre rispettato tutto il tuo lavoro (ho sempre guardato con ammirazione alla tua sterminata bibliografia), ma come ti sei permesso di far diventare una “piccola riserva” una “anomalia del meccanismo”? E poi di tramutare una “perplessità generale” in un “giudizio severo” e infine, perbacco, nientepopodimeno che in un “pollice verso”? Ti sei impazzito, brutto fetente e cornuto?».

Quando la recensione finalmente uscì, lo scrittore si precipitò all’edicola più vicina e la lesse tutta di un fiato. Ancora prima di pagare il giornale, compose il numero di telefono del critico.

«Mi hai stroncato», disse, con un filo di voce. «Una stroncatura terribile, crudele, senza appello».

Il critico cacciò un sospiro. «Sì, ma non dirmi che non ti avevo avvisato».

© Riproduzione riservata