Se sono tutti incazzati con i Radiohead è perché sono quattro Creep

“Sono tutti incazzati con i Radiohead”, così nei giorni scorsi Rolling Stone ha titolato un cliccatissimo pezzo online. Cosa è successo di tanto grave da far distruggere il mito di una generazione - quella con la X, coniata dallo scrittore canadese Douglas Coupland - trasformando in breve tempo i componenti della pop band inglese da “venerati maestri” a “soliti stronzi”? Riassumendo, prima era arrivato il Bds, il movimento a guida palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele, che aveva chiesto che venissero boicottati i concerti dei Radiohead per le loro posizioni sul conflitto, poi - dopo l’annuncio estivo a sorpresa delle date del primo tour della band in sette anni con ben quattro date bolognesi a novembre - il tradimento degli adepti, i fan, che si sono sentiti ingannati da un sistema di acquisto dei biglietti fatto di pre-registrazioni, geolocalizzazione e codici. Per molti, stando alle migliaia di commenti social, “una truffa”: code lunghissime sui siti che vendevano i ticket e conseguente crash del sistema per le troppe richieste. Oggi, nonostante anni di battaglie anti pirateria dei Radiohead, è possibile scovare bagarini virtuali con biglietti a quasi 2.000 euro, come se già non bastassero i 100 euro ufficiali per un posto in piedi. Delusione e scoramento generale stanno facendo crollare quell’aura mitologica che circonda la band dopo quarant’anni di carriera. Ma la questione è più complessa di quello che sembra, e non potrebbe essere altrimenti visto che i Radiohead non sono un semplice gruppo musicale. Per cercare di spiegarli negli anni i critici hanno scomodato Adorno, Baudrillard, Guattari e ci sono interi volumi, raccolte di saggi, migliaia di pubblicazioni accademiche su ogni aspetto della loro storia: da Ritmi euclidei nel corpus post-millennial dei Radiohead a I Radiohead e il movimento globale per il cambiamento passando per Come diventare Colin Greenwood in dieci semplici passi e Cosa può imparare la teologia dai Radiohead. Gli Oasis e la nostalgia millennial: l’unico argine è Ticketmaster Miti boriosi Nel libro Killing Yourself to Live, l’autore Chuck Klosterman si spinge a ipotizzare che la band con il disco Kid A avesse previsto abbastanza dettagliatamente, con tanto di impatto degli aerei delle Torri Gemelli, l’11 settembre. Queste curiosità sono solo una parte del fenomeno musicale più importante degli Anni Zero, che viene ben raccontato dal giornalista e scrittore Fernando Rennis nel suo recente Pop is Dead - La storia dei Radiohead (edizioni nottetempo), senza l’idea di santificarli, anzi smontandone in parte il mito attraverso molte interviste e una rigorosa ricerca condotta con la passione del fan: «Quei cinque nerd da Oxford - scrive Rennis - sono noiosi, boriosi, concentrati fino all’ossessione sulla loro dannata musica, borghesi maschi bianchi privilegiati, coccolati dalla critica, depressi. Sono troppo. Troppo complicati, troppo seri, troppo intellettuali, troppo inglesi. Negli articoli che li hanno per protagonisti nella prima parte degli anni Novanta non di rado mancano riferimenti a cosa stanno leggendo e a quanti litri di tè bevono. I fan sono pure peggio. Ti guardano dall’alto verso il basso e se non la pensi allo stesso modo se ne stanno lì con una smorfia di compassione». L’arte si deve schierare? Il parere dei nostri lettori Ma se i Radiohead, come sottolinea l’autore, «sono una chiesa con festività, precetti, riti, peccati ed eretici» è proprio per il fatto di essere sempre stati un gruppo imprevedibile e spiazzante fin dall’esordio nel 1992 con quel tormentone indie che è stato Creep, diventando presto delle anti rockstar e, loro malgrado, - con dischi di culto come Kid A, Ok Computer e In Rainbows - interpreti irrequieti di un mondo pieno di contrasti e in radicale cambiamento. A proposito dell’inno al disagio Creep (in inglese “sfigato”, il testo ruota attorno ad un soggetto con ossessivi pensieri contro sé stesso e alla sua rabbia autolesionista a causa di un amore non corrisposto) Rennis fa notare come il singolo all’inizio fu snobbato da tutti tranne che dall’emittente Live 105 di San Francisco e dal dj Yoav Kutner della radio dell’esercito Idf con sede a Tel Aviv, che contribuirono non poco alla popolarità del brano. Sarà per questo motivo che Thom Yorke in primavera si è lanciato in una intemerata su Instagram, come un opinionista qualunque dei talk show Rete 4, ripetendo più volte le colpe di Hamas e del 7 ottobre senza far quasi riferimento al genocidio e alla distruzione di Gaza? Karma police arrest this man, verrebbe da cantare all’opinionista York, citando uno dei loro brani più celebri… Oppure c’entra il fatto che il chitarrista della band Jonny Greenwood è sposato con l’israeliana Katan - il cui nipote sarebbe stato ucciso mentre era in servizio per l’Idf - e ha collaborato con il musicista israeliano Dudu Tassa nell’album Jarak Qaribak, e in un tour le cui date inglesi di giugno sono state annullate per le minacce alla loro sicurezza? Reputazione minata Chissà, certo è che queste posizioni, oggi difficilmente digeribili anche dalla loro fan base, hanno minato la reputazione del gruppo, che - si sa - in era social è determinante: in rete compaiono meme che giocano con l’algida copertina di Kid A trasformata in uno sfondo di macerie col titolo Gaz A, per la serie lol e geopolitica, e pure Rennis è stato costretto dai tempi a mettere, immaginiamo di fretta e furia a pochi giorni dalla stampa del libro, una postfazione in cui, proprio come il titolo di Rolling Stone, ribadisce che «sono tutti incazzati con i Radiohead, o meglio, sono tutti incazzati con i Radiohead tranne i fortunati che sono riusciti ad orientarsi nel complesso sistema messo in piedi per l’acquisto del biglietto e sono riusciti ad accaparrarsi i pochi ticket a disposizione». Già, i fortunati fan si stanno preparando ai concerti che si terranno a Bologna il 14, 15, 17 e 18 novembre prossimi sono pronti a dimenticare tutto, anzi si aspettano - al netto di qualche probabile protesta ProPal fuori dai palazzetti - che il gruppo regali delle serate indimenticabili in virtù del legame che alcuni membri della band hanno con l’Italia: Thom Yorke vive a Roma, nella casa che fu di Italo Calvino, nel 2020 si è sposato in Sicilia con l'attrice italiana Dajana Roncione, ha composto la colonna sonora di Suspiria di Luca Guadagnino (2018) e quella di Confidenza di Daniele Lucchetti (2024), e nelle sue playlist per il marchio Sonos ha inserito brani di Fabrizio De André, Rosa Balistreri, P.F.M. e, ovviamente, Ennio Morricone; Jonny Greenwood ha messo in vendita una produzione limitata del suo olio extravergine spremuto a freddo nelle Marche, dove ha comprato casa insieme alla moglie. I concerti sostenibili rischiano di essere solo greenwashing Ecco, forse nello srotolare la matassa dell’affaire Radiohead dovremmo interrogarci sul ruolo delle compagne di queste grandi popstar, magari daremmo qualche riposta in più ai tormenti dei fan. Oppure potremmo chiedere all’altro membro della band, Ed O’Brien, che ai tempi dell’università scelse di trasferirsi a studiare a Manchester, influenzato dal suo amore per gli Smiths, e frequentò, in tempi non sospetti, un corso sul femminismo, mentre Thom e gli altri portavano avanti battaglie ecologiste e politiche (contro lo streaming e i diktat dei discografici) tra un corso di yoga e un raduno vegano. Perché alla fine, per quanto mitologici e con una più che notevole produzione artistica, oggi i Radiohead sono un gruppo di tutti maschi, etero, bianchi, privilegiati. In una parola, creep.