Se lo chiedete a me, la verità è che odio il giornalismo a fumetti. O graphic journalism che dir si voglia. Sì, lo so che va di moda da un ventennio, almeno da quando Joe Sacco ha pubblicato il suo Palestina, o dai reportage di Guy Delisle in oriente, e so anche che in Italia abbiamo il talento di Gianluca Costantini e che ci si è messo pure Zerocalcare, ma continuo a credere che sia un gran peccato consumare così tante pagine e inchiostro per comunicare cose che si potrebbero esprimere anche in pochi paragrafi di testo scritto.

Prendiamo Zerocalcare, appunto. Per raccontare su Internazionale il suo viaggio a Kobane assediata dallo Stato islamico, nel 2015, ha occupato una quarantina di pagine. Io non posso fare a meno di pensare a quanta informazione utile si sarebbe potuta stipare in quelle pagine ricorrendo a un medium più sintetico, con la stessa quantità d’inchiostro. Certo, fumettando l’informazione si raggiunge un pubblico più ampio, lo si commuove, ma è ancora giornalismo?

Forse è una visione un po’ economicista della cosa. Ma anche –concedetemelo – ecologista. Non ho potuto fare a meno di ripensarci sfogliando una nuova rivista che non soltanto si propone di portare in Italia il meglio dell’informazione a fumetti, ma per giunta tiene la questione ecologica al centro delle sue tematiche. Si chiama La Revue Dessinée Italia, e come suggerisce il nome si tratta della versione italiana di una rivista francese. Venduta in libreria e su abbonamento, è in uscita il suo secondo numero. 

Leggendola, il mio odio per il giornalismo a fumetti inizia a vacillare. C’entrerà per caso qualche conflitto d’interessi? Ovviamente sì, d’altronde siamo in Italia. Anche se questa storia inizia in Francia.

Nascita di una rivista

C’era una volta un italiano a Parigi, Massimo Colella, napoletano. E poi un altro ancora, Andrea Coccia, milanese. Il primo è un appassionato di fumetti, anzi più che un appassionato: con il fumetto ci lavora, e qualche volta li scrive e li disegna (l’ultimo è uscito qualche mese fa in libreria e si chiama Un’estate all’aria). Anche al secondo piacciono i fumetti, anche se di base è soprattutto giornalista per Slow News, e col fumettista Maicol & Mirco ha pubblicato un libro, Chi ha rubato la marmellata? (Corraini). Ma quando inizia questa storia Massimo e Andrea non si conoscono ancora.

Massimo ha un sogno: portare in Italia una rivista che da circa un decennio sta facendo faville in Francia. Nel senso che non solo è bella ma inoltre vende un sacco, e ormai “vanta vari tentativi d’imitazione”. L’idea è semplice: giornalismo a fumetti. Reportage, inchieste, documentari, interamente disegnati. Si chiama, appunto, La Revue dessinée. 

È l’estate del 2020 quando Massimo me ne parla per la prima volta, in mezzo a due ondate di pandemia. Gli editori francesi sono disposti a cedere il marchio ed eventualmente dei contenuti, che andrebbero poi integrati con delle “storie” realizzate da autori italiani. Il progetto è ambizioso, costoso, un po’ folle. Ma Massimo non demorde. Lo rivedo pochi mesi dopo, il progetto è maturato nella sua testa ma evidentemente manca ancora qualcosa, o qualcuno. A quel punto gli chiedo: conosci Andrea Coccia?

Pochi giorni dopo ci ritroviamo tutti e tre davanti a una pizza – vi lascio l’indirizzo perché è buona e a Parigi non è scontato: si tratta di Bricktop sul quai de Valmy – ed è in quel momento che credo sia scoccato il colpo di fulmine tra il fumettofilo e il giornalista. Da quel momento non li ho più visti, ma almeno non avevo pagato la pizza.

Nove mesi dopo, mese più, mese meno, eccoli che si ripresentano con la loro creatura, una splendida rivistina. 226 pagine tutte a colori al prezzo di lancio di 18 euro: se mi avessero consultato invece di fare tutto di testa loro, gli avrei detto che potevano pure alzare il prezzo visto il rapporto qualità/prezzo. Peggio per loro, e meglio per i lettori.

Non graphic journalism

«Il nostro non è graphic journalism, preferiamo parlare di informazione a fumetti», mi spiega Andrea. «Ormai quel termine è associato a Sacco, Delisle, lo Zerocalcare di Kobane… Artisti completi che raccontano un’esperienza dal loro punto di vista soggettivo. Noi facciamo una cosa diversa: facciamo lavorare assieme un vero giornalista con un vero fumettista». 

Sfogliando il sommario del primo numero della rivista si ha una fotografia piuttosto precisa dello spirito del tempo, che a sua volta coincide con la sensibilità politica di Coccia e di Colella. A prevalere, infatti, è la tematica ecologica. In apertura troviamo un reportage che racconta la rinascita di un piccolo borgo piemontese, Ostana, più avanti la ventennale avventura della linea Tav vista sia dal punto di vista italiano che da quello francese, e ancora un approfondimento sul riscaldamento climatico che culmina nelle proteste di Greta Thunberg. Meno legate all’attualità, ma istruttive, sono alcune storie brevi sulla vita di Ennio Morricone, la coltivazione della patata o l’importazione del caffè. Altri reportage raccontano temi come l’inclusione attraverso lo sport, la produzione di porno amatoriale o il narcotraffico.

Non riuscendo qui a citare i nomi di tutti gli autori, come sarebbe stato d’uopo, lasciamo ai lettori curiosi l’onere di scoprirli da soli andando a visitare il sito della rivista: tra di loro giornaliste celebri e divulgatori capaci, illustratori virtuosi ed esordienti di talento. Inoltre la rivista rivendica una cosa che dovrebbe essere normale ma in Italia non sempre lo è, ovvero che remunera equamente gli autori, avvicinandosi agli standard francesi. Ma ora torniamo al mio odio per il giornalismo a fumetti.

Informazione a fumetti

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La verità è che sono combattuto. Il fumetto è uno straordinario medium sia per raccontare storie che per fare didattica. Raccontare storie, in questo caso, significa dare un corpo ai personaggi, rendere riconoscibili i luoghi, ma anche legarci alle vicende che vengono raccontate attraverso uno spettro più articolato di emozioni. Così il lettore non acquisirà soltanto una fredda informazione ma qualcosa di più, e magari presterà più attenzione a dati che altrimenti avrebbe subito dimenticato.

Qui interviene la funzione didattica: la rappresentazione grafica permette di trasmettere efficacemente le informazioni, come la moda dell’infografica ci ha mostrato. In Francia la Revue ha ispirato un’altra rivista d’informazione a fumetti, rivolta questa volta agli adolescenti. Arriverà anche lei in Italia?

A questo punto si tratta soltanto di trovare un pubblico. Perché se la Revue italiana ha superato con successo la prova del crowdfunding e ha una solida base di abbonati, sappiamo anche quanto sia angusto in Italia lo spazio lasciato al fumetto fuori dalla triade Marvel, Disney, Bonelli e da pochi “venerati maestri”.

Le metrature di spazio espositivo lasciato ai romanzi grafici nelle librerie delle stazioni non deve ingannare: si tratta sempre di tirature minuscole funzionali alla rapida rotazione dell'offerta. E la Revue ha scelto di non vendersi su Amazon, per ragioni che sono spiegate in una storia disponibile online che denuncia il funzionamento del colosso della logistica.

Contrariamente ai francesi, gli italiani fanno fatica a modificare le loro abitudini fumettistiche. E, per una sorta di snobismo, figuriamoci a farsi raccontare l’attualità coi disegni.

Io, pur odiando - devo ribadirlo? - il giornalismo a fumetti, devo ammettere che leggendo ieri Sacco e Zerocalcare, e oggi la Revue, ho scoperto segmenti di realtà che ignoravo. Perché tutta quella carta consumata si traduce in tempo ritrovato.

È la strana magia del fumetto: trasforma l’enorme quantità di risorse impiegate da chi li crea (carta, inchiostro e soprattutto lavoro) in un risparmio di risorse e un guadagno di esperienza per chi lo fruisce; quasi una sintesi alchemica. Quanto all’ecologia, non sarà certo peggio dello streaming e dei viaggi in macchina, quindi per questa volta glielo abbuoniamo.

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