La città di Chicago è la terza protagonista de I Blues Brothers. La parabola dei fratelli Jake ed Elwood, «in missione per conto di Dio» è anche stata inclusa dall’Osservatore Romano nella lista di classici cattolici
Non ha il fervore dei gesuiti di Mission, la fede in chiaroscuro di quelli di Silence, non ha nemmeno il violento impatto visivo della Passione di Cristo. Ma forse si può azzardare, e dire che I Blues Brothers è il film più cattolico di sempre. Ed è anche una lettera d’amore a Chicago, la città in cui è nato il neoeletto Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.
Appena il nuovo pontefice si è affacciato dalla loggia delle Benedizioni, per benedire la città e il mondo, Alberto Infelise, caporedattore della Stampa, ha twittato: «Per voi scettici, vorrei ricordarvi che la comunità cattolica di Chicago ci ha già dato Jake ed Elwood Blues».
Perché la storia di quell’immensa commedia del 1980 è appunto quella dei fratelli Jake (John Belushi) ed Elwood (Dan Aykroyd), musicisti traffichini che vogliono salvare l’orfanotrofio cattolico in cui sono cresciuti, retto dalla temibile “Pinguina”, sorella Mary Stigmata (Kathleen Freeman). Per farlo riuniscono la banda che si è sciolta negli anni in cui Jake era in prigione e iniziano un’avventura che è costellata dalle performance musicali dei più grandi: Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles, solo per citarne alcuni.
È un film in cui non c’è una battuta, ma nemmeno un fotogramma, di troppo, che fa ridere nella sua assurdità in ogni secondo.
La città, la diocesi
Chicago è a pieno titolo terza protagonista del film. Lo è per le riprese nei suoi quartieri o quelle fatte la mattina prestissimo per la monumentale scena finale in cui i fratelli devono riuscire a portare la loro valigetta di soldi in comune. Ma anche per la battuta geniale, che Alan Rubin (Mr Fabulous) recita in maniera sottile ed efficacissima, quando nei panni del maitre di un ristorante di classe lo si sente rispondere al telefono «No, signora, il sindaco Daley non cena più qui. È morto».
Il democratico Richard Joseph Daley era morto da quattro anni quando I Blues Brothers era nelle sale: era una figura popolare e controversa, sindaco della città dal 1955 fino alla morte nel 1976. C’era lui in uno dei momenti di massima tensione interna al partito democratico americano, la convention del 1968, che si è tenuta a Chicago tra sanguinose proteste contro la guerra in Vietnam.
Ma Chicago non è solo una città fondamentale per la politica. È anche una delle arcidiocesi più importanti degli Stati Uniti. A guidarla ci sono stati cardinali che hanno dato un’impronta profonda alla chiesa americana. Joseph Bernardin, l’alfiere della “consistent ethic of life”, ovvero dell’idea che una posizione pro vita debba abbracciare non solo la lotta contro aborto ed eutanasia, ma anche contro la pena capitale e la guerra. Poi il più “conservatore” Francis George e oggi Blase J. Cupich, che negli Usa era considerato uno dei vescovi più vicini alla sensibilità di papa Francesco.
Santi e farabutti
A contare per il film però è altro. È vero, c’è l’immaginario cattolico, comicamente esagerato nella figura della Pinguina (poche scene sono perfette come quella in cui intima a Jake ed Elwood di andarsene e non tornare fino a quando non saranno «pentiti, contriti e redenti»).
Ci sono i riferimenti espliciti alla fede dei fratelli Blues. Una scena (tagliata) mostra Elwood che va a licenziarsi dal suo lavoro in fabbrica dicendo al capo «I am going to become a priest», «mi faccio prete». Ed è con una smorfia disgustata che uno dei nazisti dell’Illinois, che i fratelli hanno investito con la macchina facendoli cadere in acqua, dice al suo capo di aver identificato Elwood Blues aggiungendo «ed è cattolico». Certo, la scena iconica della “chiamata”, in cui Jake rapito in un’estasi mistica ha (letteralmente) l’illuminazione di rimettere insieme la banda per salvare l’orfanotrofio, avviene in una chiesa battista.
Ma alla fine non è niente di tutto ciò a rendere I Blues Brothers un film cattolico, così cattolico da aver avuto il bollino anche dall’Osservatore Romano. Nella trama comica dei due fratelli «in missione per conto di Dio», che rubano, rompono e mentono, ma hanno per una volta il cuore al posto giusto, c’è tanto di quello che la chiesa cattolica dice (almeno) di essere: un luogo fatto tanto per i santi quanto per i farabutti, che predica di un Dio capace, come dice un proverbio, di «scrivere dritto sulle righe storte».
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