Due libri usciti in queste settimane mettono a fuoco storie di donne che hanno pensato contro vento, sfidando lo spirito del tempo e spingendosi continuamente avanti. Mirella Armiero racconta Maria Bakunin, la prima studentessa a laurearsi in Chimica in Italia in Un pensiero ribelle (Solferino); Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori hanno raccolto in Le Appassionate (Feltrinelli) storie di donne che hanno cambiato il futuro
La chiamavano la Signora («per il timore reverenziale che suscita con la sua severità e la dedizione al lavoro»), Maria Bakunin: era Marussia per la sua famiglia. Un cognome importante, un pensiero ribelle, una donna di scienza: prima donna in Italia ad arrivare al traguardo nella sua disciplina, con un brillante lavoro di isomeria geometrica. Mirella Armiero ripercorre con passione la sua vita romanzesca, tratteggiando con amore anche la storia di una città, Napoli («La Napoli ombrosa della scienza che e rimasta sepolta sotto la narrazione della città felice e spensierata, stracciona e canterina, eterno paese del sole») e un ritratto meticoloso e affascinante della famiglia della Signora («I ragazzi crescono con Gambuzzi, coltivando il ricordo di un padre famoso, dedito alla causa della rivoluzione e della libertà, e di una dolcissima madre che ne condivise le battaglie anarchiche, anche quando non le comprese fino in fondo»).
Maria Bakunin
Maria Bakunin è una donna forte, studia, comincia a lavorare, ha il talento e la caparbietà naturale delle prime («Le studentesse di Chimica sono pochissime in tutta Europa, lei e la prima a tagliare il traguardo in Italia. E lo fa con naturalezza, in fondo non ci trova nulla di strano. È brava, preparata, intuitiva, seria e ambiziosa. Durante tutta la sua vita dimostrerà di sapere precisamente quello che vuole, spingendosi costantemente in avanti. I suoi non sono sogni, ma obiettivi concreti»), anche se inizialmente sarà fondamentale anche l’appoggio del marito, uomo di scienza («Sono tempi in cui deve ancora esserci un uomo ad aprire la strada a una donna che voglia farsi valere»).
Il testo di Armiero (Un pensiero ribelle. Maria Bakunin, la signora di Napoli) è un mosaico, una collezione di fonti storiche e tracce («Per capirlo bisogna farselo raccontare da chi l’ha conosciuta, come Giovanna Malquori, figlia di Giovanni Malquori, uno dei principali allievi di Maria Bakunin») e anche una ricostruzione sul campo tra i luoghi e gli spazi di Marussia («All’altro capo della città, nel reticolo intricato del centro storico, c’è via Mezzocannone 4, indirizzo del Regio Istituto Chimico»).
Quelli che frequentò e visse sempre salda e forte nelle sue aspirazioni («l’esemplarità con cui coltivò aspirazioni alte in un tempo in cui le donne erano spesso relegate dentro la sfera di desideri ben più modesti»), nel perimetro del suo carattere («Quello che più apprezzava, in maniera un po’ semplicistica ma sincera, era il desiderio di Michail Bakunin di vedere realizzata una “felicità universale”. Maria non visse da rivoluzionaria, ma più di un indizio ci dice che in fondo le sarebbe piaciuto») e nell’orgoglio del suo cognome («In effetti, non le serve affermare certi principi, sono parte integrante della sua educazione. Nel pensiero di Michail Bakunin il patriarcato era un problema secondario solo perché si riteneva destinato a scomparire da sé con la fine del capitalismo: la visione della donna era senz’altro paritaria e rispettosa»).
Ha toccato da vicino la Storia, intervenendo in prima persona nella Scienza e nella cultura («Nella sua lunga vita non sarà mai in prima fila nella lotta per l’emancipazione femminile, ma di fatto diventerà una donna di potere, specie dopo la morte del marito»), con la cura di chi crede davvero in quel che fa e sa guardare oltre, ma la Storia del mondo è una storia di interruzioni, di dolore e di muri che bloccano gli sguardi dei singoli, di conflitti che cancellano o interrompono quel che sarebbe potuto accadere («La sua ricerca sull’insegnamento della chimica all’estero si blocca con lo scoppio del conflitto. Una guerra che, tra l’altro, rallenterà il processo di modernizzazione nel Meridione d’Italia, modificando gli equilibri europei e internazionali»).
«L’unica rivoluzione, in un paese senza rivoluzioni, è stata quella delle donne» scrivono Simonetta Fiori e Maria Novella De Luca nella prefazione al loro Le appassionate che si apre proprio con la storia di una delle tante – spesso dimenticate o troppe taciute – donne che ebbero un ruolo di fondamentale importanza durante il Secondo conflitto mondiale: è Teresa Vergalli, partigiana.
Ed è la prima delle interviste del libro delle due giornaliste che raccolgono testimonianze di donne che hanno spostato – o spostano anche oggi – «il confine più in là», perché essere donna, anzi poter essere donna, essere la donna che desideriamo e sentiamo di essere, è ancora oggi una conquista e tenerlo a mente è un modo per non tornare a perdere terreno, linguaggio, conquiste, identità.
Partigiane e resistenti
Fiori e De Luca procedono sul campo, come la professione ha insegnato loro (come Armiero, del resto), e si muovono in un puzzle di storie, diritti, esistenze. Il primo ritratto, quello di Vergalli, è prezioso come un faro buono a illuminare ogni possibile buio futuro («È una delle trentacinquemila donne cui lo Stato italiano ha riconosciuto lo status di “partigiane combattenti”: pochissime rispetto alla moltitudine di ragazze confinate per tanto tempo ai margini della coscienza collettiva. L’hanno chiamata la Resistenza taciuta, la lotta disarmata di chi rischiò la vita rimanendo nel retropalco della Storia»), consapevoli del proprio passato e, ancora una volta, del prezioso contributo di una tessitura attenta della memoria e del presente, mai slegata dalle mille sfumature dello sguardo sulle piccole storie individuali nella grande Storia collettiva («Bisognerebbe riscriverla questa benedetta storia, dice Teresa mentre fruga tra i cassetti alla ricerca di documenti, foto, atti ufficiali. “I rifugi, le armi, le vettovaglie, il sostegno morale: come avrebbero fatto gli uomini senza di noi?”») e sulla cura di una riflessione mai scontata su ciò che siamo diventati e diventate e perché («Il secondo sconfinamento era nel passaggio all’azione di guerra, una pratica inventata dagli uomini per gli uomini. Senza il doppio salto delle donne, e senza il concorso dei tanti che scelsero la clandestinità, i nostri padri costituenti non avrebbero potuto scrivere la carta fondativa della democrazia con la stessa formidabile libertà»), sulla Resistenza e sull’antifascismo («Non bisogna avere paura, dice Teresa. La paura non serve a niente, paralizza, toglie vita. Se le donne come lei avessero avuto paura, la storia d’Italia sarebbe stata diversa»).
Fiori e De Luca raccolgono e scovano tra le pagine meno note della Storia (Nunni Miolli, casalinga femminista e i crimini del terrorismo nero) e quelle di attualità che hanno impressionato questo paese anche nel presente (Carmen Carollo, madre coraggio di Dj Fabo), ci donano esistenze e testimonianze di forza e determinazione (Sandra Bonsanti, giornalista), di vite – troppo spesso – sottovoce (Hardeep Kaur, sindacalista), lo fanno dal loro osservatorio privilegiato, quello di chi lavora in un quotidiano e sa dove cercare e a cosa restituire parole e identità.
Lo fanno, ben sapendo, come Mirella Armiero, come la Signora, come Teresa Vergalli e come, oggi, Fumettribrutti e Gaya Spolverato che la costruzione democratica è una faccenda assai complicata e che in questa faccenda assai complicata, nascere donna, aggiunge un ulteriore grado di difficoltà, incomprensibile – ancora – nelle menti e nell’animo, nella politica, che – invece – una società pienamente moderna, realizzata, inclusiva dovrebbe incarnare.
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