Da principio lo scrittore accettò di stare sui social con riluttanza. Sebbene nessuno lo avesse costretto – né il suo agente né il suo editore né i suoi lettori – attivò ogni singolo account con quella tipica espressione disgustata di chi è stato obbligato. Scelse il suo volto come foto profilo ripetendo a sé stesso il mantra che «lo scrittore è il mezzo e l’opera il fine».

Ebbe da subito un discreto numero di follower, perché qualcuno lo deve aver pur letto e apprezzato, prima della sua discesa nell’agone della rete. Per mesi tenne un contegno per nulla social, postando con discontinuità cose che riguardavano il suo lavoro, in modo freddo e asettico, come se quell’attività lo riguardasse fino a un certo punto, e qualcun altro gestisse il suo profilo al posto suo. Era insomma uno di quegli scrittori che usano i social network per snobbarli, e per denunciare tutto il male che rappresentano, la sciocchezza, l’inutilità. Scriveva cose del tipo: «Senza social scriverei un libro in più all’anno», oppure «I trenini dell’amore tra scrittori mi ricordano perché bisogna tenersi lontani dai social». In alternativa, pubblicava aforismi sprezzanti di Schopenhauer, Leopardi o Cioran su quanto la ricerca del consenso determini il primo e più fatale elemento di corruzione del pensiero.

Questa forma di presenzialismo in negativo (montaliana, diceva lui, «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo»), questo lavorio per sottrazione, questo starci per non esserci, produsse una certa impennata di seguaci che però raggiunse in poco tempo il suo naturale plateau. Il gruzzolo di persone si stabilizzò attorno alle 5.000 unità e, prescindendo dalle oscillazioni del momento, non c’era verso di smuoverlo. Lo scrittore ne provava un sentimento ambivalente. Certo, era un numero ragguardevole se confrontato a quello degli utenti comuni, ma restava lontano anni luce dalle cifre che raggiungevano le star della rete, i cui follower si potevano contare in centinaia di migliaia, se non milioni. Che fare? Lo scrittore si decise a dire “io”, alzando un poco la temperatura emotiva dei suoi profili, e si sforzò di aumentare la frequenza di pubblicazione.

Aggiornamenti quotidiani

Per lui era sempre stato impensabile fare aggiornamenti quotidiani, l’aveva sempre vista come una sorta di schiavitù del reale al virtuale, e tuttavia cercò di aggiornare quasi ogni giorno. Agli altri non interessava una pubblicità diretta del suo lavoro, quanto piuttosto avere l’illusione di un’interazione spontanea con lui. Volevano l’uomo, non lo scrittore.

Certo, non avrebbero voluto un uomo qualunque, se lui non avesse scritto tutti quei libri, e non avesse partecipato a tutti quei premi, nessuno gli avrebbe dato attenzione, tuttavia là dentro, in quel telefonino minuscolo che però coincideva con la vastità digitale, sarebbe dovuto scendere dal piedistallo, farsi simile agli altri per continuare a essere diverso, e l’ago di quella diversità, di quel potere, era segnato implacabilmente dall’audience: dai pochi che leggevi e dai molti che ti leggevano.

Un’amica dall’aria sveglia gli disse che lui dei social non aveva capito nulla. «È uno strumento di reale interazione tra esseri viventi. Se non ti interessa cancellati».

Lo scrittore grugnì. «Tutti vendono qualcosa. E se non hanno niente, vendono loro stessi».

«Sì ma non stanno tutto il giorno a vedere chi legge cosa. Non sono ossessionati dai numeri come lo sei tu. Per questo hanno successo».

«Sei sicura?».

L’amica scoppiò in una risata. «No, per niente. Ma se non altro mentono meglio di te».

Prenderci gusto

Lo scrittore cominciò a prenderci gusto, in effetti. Non solo pubblicava quasi ogni giorno, ma il tono dei suoi messaggi era cambiato: lo snobismo degli esordi aveva lasciato spazio a un’empatia maniacale, che a volte sconfinava nella ruffianeria. Lo scrittore lasciò perdere i suoi pensieri alati sull’arte di scrivere e si mise a pubblicare le foto di quello che cucinava a pranzo e a cena. Le citazioni erudite funzionavano solo se accompagnate da qualche foto eccessivamente emozionante: per lo più, panorami mozzafiato su porzioni di natura incontaminata.

I follower raddoppiarono in breve tempo, e lo scrittore si sentì meglio: adesso poteva guardare dall’alto in basso tanti suoi colleghi approdati sui social per i suoi stessi confusi motivi e che, in diversi casi, vendevano anche molto più di lui. Il passo successivo venne compiuto in modo abbastanza intuitivo: basta con questa asincronia tra lo scrittore e l’attualità! Sì, forse era vero che la letteratura non si faceva col presente, ma qui si trattava di comunicazione sui social, non di scrivere uno dei suoi libri.

Lo scrittore, sempre abusando di foto di tramonti sul mare e boschi innevati, cominciò a commentare i fatti del giorno, la stretta attualità, come se i suoi account si fossero improvvisamente trasformati in un perenne editoriale di giornale, che funzionava come un rullo, le cose che scriveva erano deperibili appena dopo aver incassato l’automatico boom di like, e subito sostituite da altre cose che riguardavo fatti più recenti, più nuovi. Lo scrittore si orientava in base agli hashtag del giorno e agli argomenti trending-topic, in modo da essere sempre sul pezzo.

Trending

«“Essere sempre sul pezzo”?», gli chiese l’amica dall’aria sveglia, sgranando gli occhi. «Sei sicuro che questi social giovino alla figura dello scrittore?».

«In che senso?».

«Se le persone capiscono che sei troppo uguale a loro ti tolgono l’alloro dalle orecchie!».

«Pensi che se Dante, Baudelaire o Proust fossero vissuti oggi non avrebbero usato i social?».

«Forse sarebbero stati più discreti?».

«Non si può usare un social con discrezione, è una contraddizione in termini. È toccato a noi, e non a loro».

«Sarà, ma attento a non perdere il tuo fascino».

«Voialtri senza social siete fuori dal tempo. Io sono uno scrittore di oggi, ed è mio dovere essere dove sono i miei contemporanei».

Senza mediazioni

Ormai lo scrittore riteneva che stare sui social fosse un lavoro al pari degli altri, anzi più importante, anche se per paradosso era l’unico sprovvisto di retribuzione.

Il segreto era regredire, a ogni livello. Sul piano della visione, del ragionamento, dell’espressione verbale. Si doveva tornare alle assemblee universitarie, alle polemiche del liceo, ai bigliettini sconci delle medie, alle prese in giro delle elementari.

Lo scrittore sentiva che un fuoco sacro si era impossessato di lui: era la gratificazione della pubblicazione immediata, senza intermediazioni, controlli, editing, giri infiniti di bozze. All’agente che gli comunicava la data di uscita del suo prossimo libro quasi rise in faccia: che cos’erano ormai quei tempi lunghi, improponibili, tra un libro e l’altro? Che cosa avrebbe dovuto fare uno scrittore nell’attesa? Altro che sparire, altro che lasciar decantare, altro che ponderare!

Lui, come ogni altro essere umano edito o inedito, geniale o mediocre, adesso aveva la possibilità di un rilascio di adrenalina e dopamina immediato, senza più alcun freno inibitore o organo di controllo. Chi se ne importava della qualità, se si poteva avere la libidine? Lo scrittore quintuplicò il numero dei suoi follower, e ogni sua foto, cinguettio o post poteva contare di centinaia di cuori e like.

Un reality novel

Cominciò a scrivere di pancia per le viscere dei suoi nuovi lettori. Un tempo aveva vissuto per scrivere, ora scriveva per visualizzare le notifiche. I post di maggior successo erano gli esageratamente felici o infelici, escludendo le frecciate polemiche scagliate addosso a qualcosa o qualcuno. Era il trionfo dell’ego, era molto di più della vecchia autofiction, era un reality novel, e veniva scritto congiuntamente dal narcisismo implacabile di milioni di utenti, secondo dopo secondo (e più di un editore ogni tanto ne prelevava dei tranci scrivendoci sopra: “Romanzo”).

Lo scrittore quasi ebbe un fremito di contentezza, il giorno in cui perse il padre meccanico. Ebbe modo di scrivere a caldo un coccodrillo social strappalacrime in cui rievocava la sua giovinezza caratterizzata dalle umili origini («io, che lessi tutto l’Ottocento russo nell’auto-officina»), in cui il padre veniva eternato con metafore grezze, come gran riparatore di marmitte e relazioni affettive. Avrebbe potuto mentire, e infatti gli capitava spesso, pur di garantirsi un post così mostruosamente emotivo a settimana. Abbassare il livello del messaggio per allargare la base del destinatario, questo ormai era diventato il suo imperativo categorico. Stava per scrivere un pensierino sui suoi gattini (che non aveva mai avuto, ma appunto si potevano inventare anche le cose vere), quando suo figlio di sei anni e mezzo gli allungò tremante un quaderno a righe: si trattava del suo primo tema. Lo scrittore lesse: «Oggi le nuvole bianche coprono il cielo azzurro, ma il sole giallo continua a sorridere». Fece un profondo sospiro beato. Trascrisse.

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