“Finalmente ci danno ragione, anche se sotto sotto resta un certo odio per gli ambientalisti e i difensori del paesaggio”. Per parlare della morte di Giulia Maria Crespi, presidente del Fondo ambiente italiano, cerchiamo un’altra delle poche persone che ha seguito un percorso simile di battaglie, frustrazioni e successi: Fulco Pratesi, fondatore del WWF Italia di cui oggi resta presidente onorario.

Pratesi è più giovane della Crespi: lui 85 anni, lei si è spenta ieri a 97 dopo una vita lunga e piena. Sono loro la prima generazione dell’ambientalismo italianoi, poi sono seguite varie esperienze di testimonianza ma sempre minoritarie, fino a oggi, fino ai ragazzi di Fridays For Future e a Greta Thunberg. “Mi piacciono i suoi occhi, il suo tono, il suo calmissimo furore”, ha detto la Crespi in una delle ultime interviste, a Pino Corrias, su Repubblica.

Un passaggio di epoca, da Giulia Maria Crespi a Greta, due ambientalismi diversi, figli delle loro epoche. “Noi seguiamo molto Greta, ma anche lei segue noi e forse ha imparato qualcosa”, dice Fulco Pratesi.

Nel 1966, quando nasce il Wwf Italia, “Giulia Maria Crespi era la prima del comitato d’onore. Giulia era già allora nell’associazione Italia Nostra, parlavamo molto di ambiente”, ricorda Pratesi. In quegli anni però la Crespi aveva altri impegni che la assorbivano.

Figlia Aldo Crespi, esponente di una delle famiglie più ricche e influente d'Italia, industriali del tessile, “Per Giulia Maria non si prevedevano, nei piani di famiglia, compiti operativi, ma presto se li sarebbe presi di prepotenza perché aveva la personalità più esuberante”, scrive di lei Piero Ottone nel libro Preghiera o Bordello, una storia di quei giornali italiani che per la Crespi sono stati un pezzo importante della vita.

Giulia Maria Crespi è stata l’editrice del Corriere della Sera in anni gloriosi, ha licenziato Giovanni Spadolini e al suo posto ha messo proprio Ottone come direttore. Erano gli anni della (presunta) svolta a sinistra del giornale della borghesia milanese, con Pier Paolo Pasolini come firma di punta. Anni di contrapposizioni violente, di Brigate rosse, di scelte di campo nette che spingono Indro Montanelli e una pattuglia di giornalisti più conservatori a lasciare via Solferino e a fondare Il Giornale.

Poi arriva la loggia massonica P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani che prende il controllo della Rizzoli e del Corriere della Sera. Nel 1974 Giulia Maria Crespi, abbandonata anche dal suo storico alleato Gianni Agnelli, perde il giornale e la salute. Si salva dal primo dei sei tumori che dovrà affrontare. Racconta nel suo memoir Il mio filo rosso (Einaudi),

Si faceva strada nel mio animo ferito l’idea che se qualcosa di brutto accade, bisogna assolutamente neutralizzarlo con un’azione bellissima, per portare un equilibrio nella bilanciante altalena del mondo. E due fattori pesanti come il cancro e la perdita del Corriere meritavano una iniziativa di valore! Ma che cosa? La risposta arrivò spontanea. Milano, il suo smog, i rumori, le puzze, l’inquinamento, tutto quel cemento, quelle auto, poco cielo, poco verde, case su case, e le stelle non si vedono quasi piú! E i prati per i bambini? Ecco, decido, io fonderò un enorme bosco accanto a Milano nella zona Sud, piantando migliaia di alberi, ed ettari di prati! Lí sdraiarsi e leggere, magari per un picnic, magari per fare all’amore, piste ciclabili, accompagnarvi il proprio cane che annusa tra l’erba, ascoltare il canto degli uccelli, magari intravedere uno scoiattolo.

Il bosco non lo pianterà mai. Renato Bazzoni, un architetto suo amico, la convince a tentare un progetto molto più ambizioso, come leggiamo sempre ne Il mio filo rosso:

«No, Giulia non devi progettare un bosco, bisogna portare il famoso National Trust inglese in Italia, bisogna salvare la bellezza italiana, altro che bosco!»

Cocciuta rispondo: «Che c’entra il National Trust? Non è possibile creare un National Trust italiano, in Inghilterra mangiano il porridge, in Italia si mangiano gli spaghetti,due mondi, due mentalità». E mi sento tradita da una persona che tanto stimavo. Quale delusione!

Ma Bazzoni insiste: «Non ti rendi conto? Il National Trust possiede già ora eccelsi castelli privati, nonché il Vallo di Adriano e il Barrow di Stonehenge e sfiora cinquecentomila iscritti». Ma questo è soltanto l’inizio di un nuovo modello di tutela che sta impostando il National Trust. (Allora non potevo immaginare che oggi mentre scrivo il National Trust avrebbe avuto quasi quattro milioni di aderenti e che in alcuni dei loro beni talvolta i proprietari e i loro discendenti possono ancora abitare).

Giulia Maria Crespi discute di questo progetto con Italia Nostra, l’associazione per la salvaguardia del patrimonio artistico che esiste dal lontano 1955. “Pensammo che era un ottimo progetto per Italia Nostra, ma non se ne fece niente. Così Giulia creò il Fondo ambiente italiano in parallelo, ed è cresciuto poi moltissimo”, ricorda Pratesi.

Oggi il Fai, del quale la Crespi è rimasta presidente onoraria fino alla morte, conta 64 luoghi salvati, 31 beni aperti, 21 tutelati, 12 in restauro, 70mila metri quadrati di edifici storici tutelati, 200mila soci… è un fondo che organizza eventi, visite, progetti di riscoperta del paesaggio, ma soprattutto sottrae pezzi di Italia, creati dall’uomo o dalla natura, da possibile degrado, abbandono o sfruttamente commerciale. Perché si tratta di beni donati al Fai o che il Fai ha comprato, come Cala Junco alle Eolie, il monastero di Torba, l’abbazia di San Fruttuoso a Camogli e altri.

“In tanti casi abbiamo fatto battaglie insieme, come per l’Isola di Budelli in Sardegna. Insieme riuscimmo a far stanziare al parlamento ii 3 milioni che servivano a comprare l’isola di Budelli che così è tornata pubblica”, ricorda Fulco Pratesi del WWF.

Giulia Maria Crespi ha costruito una cultura dell’ambientalismo che è stata anche, in modo esplicito, una cultura di lobbying: il Fai ha rappresentato il passaggio dalle azioni individuali dei protagonisti di una borghesia abbiente e illuminata a un’organizzazione capace di incidere nelle discussioni parlamentari e sulla politica a livello locale. Però sarebbe sbagliato considerare la Crespi la Greta della sua epoca. I due personaggi sono parecchio diversi per mille ragioni, biografiche ma anche di cultura politica ambientale.

Insieme alla difesa del paesaggio, nella sua vita post-Corriere, la Crespi ha scoperto anche l’agricoltura prima biologica e poi biodinamica, che sta a quella industriale come l’omeopatia alla medicina. Pratiche, quelle biodinamiche, prive di riscontri scientifici e ispirate alle teorie di Rudolf Steiner. Ancora durante la pandemia da Covid, la Crespi scriveva sul Corriere della Sera che era “probabile” che l’origine del virus andasse cercata “nel rapporto tra uomo e madre terra che ha perduto il proprio equilibrio”. Tutte cose che a Greta Thunberg, intransigente divulgatrice della letteratura scientifica sulla crisi climatica, non sarebbero piaciute.

Fabrizia De Ferrariis-Pratesi, moglie di Fulco, ha condiviso con Giulia Maria Crespi, oltre all’amicizia, anche le battaglia contro gli organismi geneticamente modificati e “brevettabilità del vivente”. Si inserisce nella conversazione per osservare che “la novità importante di Greta è che ha inserito nella questione ambientale i temi sociali, che erano assenti ma che devono essere tutt’uno, ha portato la battaglia per l’ambiente in un campo più vasto”.

Il lavoro di Giulia Maria Crespi ha creato una sensibilità nella generazione dei genitori dei genitori, dei nonni e forse perfino dei bisnonni dei ragazzi che oggi scendono in piazza per il clima.

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