Cercando l’uomo nell’ombra, se Shakespeare non era lui

«Non so perché, ma sento sempre qualcosa d’italiano, qualcosa di ebraico, intorno a/in Shakespeare... è il meno inglese dei poeti inglesi». Con questa intuizione Jorge Luis Borges ha riacceso un dibattito carsico che sta venendo lentamente alla luce: chi fu davvero l’autore delle opere che portano il nome di Shakespeare? Al di là delle ipotesi Bacon, Marlowe e De Vere, conte di Oxford, il nome dell’italo-inglese John Florio sta emergendo come il più credibile candidato. Ed è a questa ipotesi che ho dedicato il mio libro Chi ha scritto Shakespeare?. A parte i dubbi, siamo grati di avere Amleto, Lear, Giulietta, Macbeth e Otello e tutto l’immaginario fantastico di un genio del teatro. Ma è un dato che Shakespeare sia l’unico scrittore nella storia del quale sia stata messa in dubbio così tante volte, e per tanto tempo, “l’autenticità”. La lingua di Shakespeare è sempre teatrale e violenta I “dissidenti” Per questo ho cominciato a elencare i “dissidenti”. Tra tanti altri, Sigmund Freud, Charlie Chaplin, Mark Twain, Walt Whitman, Henry James, James Joyce, John Huston, sir John Gielgud, Jeremy Irons, Vanessa Redgrave e Mark Rylance. Tutti hanno sospettato e sospettano che Shakespeare non sia l’autore delle opere firmate con il suo nome. A indicarci che è Florio a calzare la scarpina di cristallo del ghostwriter è di nuovo Borges. Che nota come gli scrittori inglesi usino l’understatement e l’autore, invece, la mediterranea metafora iperbolica, tipica di Florio. Tutti questi dubbi perché del “bardo” di Stratford-upon-Avon si hanno per lo più cattive notizie: aveva frequentato solo la grammar school, in casa non aveva nemmeno un libro, le sue due figlie erano analfabete, non ha mai scritto né ricevuto una sola lettera, nel suo testamento non è citata una sola opera teatrale né un libro. Sono rimaste solo sei sue firme da sei processi. Sono tutte impasticciate e con un nome diverso ognuna. Soprattutto il suo vero nome, nei registri della parrocchia di Stratford, non è Shakespeare ma Shaksper. In più si era ritirato nel suo paese quando dovevano ancora uscire 20 opere con la sua firma. Al suo funerale, da Londra, non è venuto nessuno. Gli è stato eretto un busto che lo raffigurava con un sacco di grano, di cui faceva commercio, anche di frodo. Un secolo dopo sono intervenuti per farlo sembrare uno scrittore, gli hanno messo un cuscino e una penna d’oca in mano. Della sua vita si sa pochissimo. Ma dietro la sua vita, così scarna, e dietro quelle opere meravigliose, emerge di continuo la figura di John Florio. In ombra, perché in realtà ci sono stati e ci sono diffusi tentativi di insabbiamento sul suo nome. Le parole zombie sullo spettro ininterrotto della lingua non-morta Ricerche e insabbiamenti A proposito di questi insabbiamenti, in epoca moderna, tra fine Ottocento e inizi Novecento, nella nona edizione della Enciclopedia britannica, ci sono parecchie pagine dedicate ai rapporti tra Shakespeare e Florio: «Shakespeare continua la sua educazione insieme a Florio… Lo stile dell’uno si confonde con lo stile dell’altro». Da qui inizia la censura. Nell’edizione successiva queste pagine scompaiono, per non riapparire più. Ma centinaia di parole e tre titoli floriani appaiono nelle opere teatrali. Poi, nel 1922, nasce a Londra, la prestigiosa associazione Shakespeare Authorship Trust (Sat) che propone il ragionevole dubbio sull’identità di Shakespeare. Questo stimola tante ricerche da parte degli studiosi. L’ultimo è Edgar Morin. Nel suo recente libro, Ancora un attimo, fa un endorsement a Florio come vero autore di quelle opere meravigliose che mostrano una vasta conoscenza di legge, filosofia, letteratura classica, storia antica e moderna; degli sport equestri e del tennis reale; delle sacre scritture e delle ritualità cristiane ed ebraiche. Sbalorditivo. Vi sembrano conoscenze che possano essere farina del sacco di “William di Stratford”? Ma è con lui, nelle vesti di brillante impresario, che Florio probabilmente stabilisce un patto per creare un brand, una compagnia teatrale. Gli propone di nobilitare il suo nome, Shake-spear, per farlo somigliare a uno pseudonimo. E torniamo così al nostro personaggio misterioso: John Florio, grande umanista che si definiva «Italus ore, Anglus pectore», «italiano di lingua, inglese di cuore». E che partecipava molto risoluto, come il suo pseudonimo, alla vita e alle polemiche letterarie del tempo. [Missing Caption][Missing Credit] Giovanni John Florio Nato a Londra nel 1552, figlio di un frate francescano toscano di ascendenti ebrei, Michel Agnolo Florio. Il padre divenne un celebre predicatore, poi perseguitato e incarcerato perché diventato protestante. Evaso, si rifugiò nella liberale Inghilterra riformata, dove ebbe rapporti con la Corte. John Florio col padre fuggì in seguito da Londra intorno al 1554, dopo che Maria la sanguinaria ripristinò con ferocia il cattolicesimo in Inghilterra. Verso i venti anni John ritorna, nella sua terra natale, carico di esperienze e cultura. Dotatissimo, si impadronisce presto della lingua, ne diventa un appassionato promotore, un grande lessicografo. È riconosciuto come il più importante umanista della Golden Age e, insieme al padre, il più importante ambasciatore del Rinascimento italiano in Inghilterra. Ha contribuito allo sviluppo della lingua inglese con circa 1.200 parole, Shakespeare con circa 2.000, ma credo che occorrerebbe farne la somma e attribuirla tutte a Florio. Affermava che oltre le scogliere di Dover nessuno capiva l’inglese, e si è posto il compito di arricchirlo e renderlo la lingua dell’impero che stava nascendo. Ma a farlo doveva essere un purosangue. Lui doveva rimanere in ombra. E inizia ad essere presente nel mondo del teatro, dove folle sempre più numerose assistevano agli spettacoli e i nobili condividono le emozioni col popolo. Pubblica, negli anni, vari libri di dialoghi italiano-inglese, First Fruites e Second Fruites, e le due versioni del dizionario A World of Words. È celebre, tra le altre, la sua traduzione floreale dei Saggi di Montaigne. Insegna italiano e francese alla aristocrazia e alla Corte. Diviene il segretario particolare e amico della regina Anna. Frequenta i più importanti mecenati, poeti e intellettuali. Ma crescono invidiosi e nemici intorno a lui. C’è molto razzismo, soprattutto per gli italiani che sono considerati papisti. I letterati gelosi dicono: «Poeta italianato, diavolo incarnato». Lui si lamenta: «Mi tengono un coltello intorno alla gola, e sono pronti a tagliarla». Questo diventa per lui una spada di Damocle che non lo abbandona per tutta la vita. Non ha vinto Murakami. Quello a Krasznahorkai è anche un premio anti Orbán? Shakescene Un altro dibattito decisivo nell’attribuzione delle opere teatrali, è la polemica che gli scrittori Nash e Greene conducono per anni contro un certo Shakescene. I due scrittori, spalleggiati da altri, sono invidiosi del suo successo e scrivono: «C’è un corvo parvenu che si fa bello con le nostre piume e che, con il suo cuore di tigre nascosto nella pelle di un attore... ed essendo un assoluto Iohannes factotum, crede d’essere l’unico Shakescene del paese». Questa frase è molto dibattuta tra i difensori di Shakespeare, Stratfordiani e i sostenitori di Florio. Gli Stratfordiani affermano che ci si rivolge solo a Shakespeare. Ma i personaggi attaccati sono due: «il corvo dal cuore di tigre» e l’attore, due personaggi. Di cui uno, possiamo arguire, è «Iohannes factotum». Giovanni Florio? Potrebbe essere sempre lui lo «Shakescene» di Londra? Sembra proprio di sì, anche se esiste l’ipotesi che sia rivolto a Shakespeare, come subordinato di Florio. Se poi cerchiamo il «cuore di tigre», troviamo una «donna dal cuore di tigre» nell’Enrico VI. E l’allusione è quindi rivolta al presunto autore del dramma. Ma si ritorna a Florio: c’è ancora prima una «donna dal cuore di tigre» nel suo libro First Fruites. È la guerra globale dei best seller: Follett vs Brown Se vi ho convinti che sia Florio l’autore nascosto dietro il nome di Shakespeare, rimane la domanda: perché non ha firmato le opere? Si possono azzardare alcune ipotesi. La prima: perché uno spettacolo firmato con un nome italiano avrebbe visto, col razzismo dell’epoca, il teatro vuoto, se non dato alle fiamme. Inoltre c’è la discrezione necessaria a un uomo che frequentava la corte. E, non ultime, le minacce dei concorrenti. Ci sono poi le tante opere italiane, in cui tutti i dettagli provengono dalla biografia di Florio padre e, per finire 5.000 hapax, impronte digitali di Florio, trovate dall’intelligenza artificiale, nelle opere di Shakespeare.