Il mondo sta vivendo due grandi emergenze: la pandemia e il deterioramento dell’ambiente, che generano entrambe i massimi allarmi. Ma vi è una terza emergenza, che riguarda le condizioni in cui versa la democrazia liberale.

Si guardi allo stato della politica e alla qualità dei regimi in atto nei maggiori paesi: in Cina vige una dittatura, in Russia, Turchia, Iran, Brasile il potere è nelle mani di governi autoritari. E non si dica di Corea del Nord, di Bielorussia, dell’Isis, ecc. Nell’Unione europea i movimenti populistici e sovranisti innalzano la bandiera della “democrazia non liberale”.

Negli Stati Uniti il presidente Trump ha complottato per capovolgere i risultati elettorali che lo davano sconfitto arrivando a scatenare contro il Congresso la plebaglia e ora lavora attivamente per impadronirsi nuovamente del comando. Il mondo corre dunque un grave pericolo anche sul versante della democrazia.

Quali rimedi

I rimedi per affrontare l’emergenza pandemica e quella ambientale li offrono la scienza e la tecnologia e la disciplina responsabile delle collettività. E scienza e tecnologia mostrano di essere in grado di raggiungere, con la mobilitazione delle risorse che hanno a disposizione, risultati straordinari, che suscitano la nostra ammirazione.

Ma quali i rimedi per affrontare i problemi creati dagli assalti condotti in tante parti del globo contro i valori e le regole della democrazia, della libertà, della convivenza civile dalle forze che per modellare il mondo a loro piacimento non esitano a soffocare il dissenso, a ricorrere ai metodi della repressione fino al terrorismo e alla strage e in campo ideologico all’integralismo, alla manipolazione della storia per imporre la visione che esse ne hanno e imprimere a essa un corso a senso unico?

Per contrastare queste correnti ideologiche e questi movimenti politici e sociali, occorre fare leva sull’arma delicata, difficile ma necessaria dell’educazione delle menti e dei comportamenti. Educazione degli adulti, ma anzitutto dei giovani sui banchi di scuola.

Ho dedicato il mio volumetto, dal titolo In difesa della storia. Contro manipolatori e iconoclasti (Donzelli), agli insegnanti italiani. È un leitmotiv corrente che alla scuola spetti il primo posto nelle preoccupazioni di coloro cui spetta di governare, e che tra i suoi primi compiti vi sia quello di formare cittadini in grado di comprendere i meccanismi che regolano e muovono la società e di compiere scelte consapevoli.

È infatti accaduto ripetutamente nel corso dei tempi che il difetto di educazione civile e politica abbia costituito una delle cause più potenti dei disastri che hanno colpito l’umanità. Ebbene oggi ne abbiamo inconfutabili riprove. Quando il cittadino comune non possiede le risorse intellettuali e morali per capire le circostanze nel mondo in cui vive, si fa strada alle crisi della società e alle “notti” dell’umana convivenza. Si pensi solo alle tragedie del Novecento. 

Difendere la storia

Il titolo del saggio costituisce un invito anzitutto alla scuola a non compiere l’errore di ridurre la storia a materia secondaria e a difendere la storia, intesa nel duplice significato di studio e di “rispetto” per gli eventi che hanno costituito la trama del passato.

Orbene, mentre si può agevolmente capire che sia un bene studiare la storia, può comprensibilmente riuscire difficile pensare che si debba “difendere” un passato che, oltre a racchiudere in sé pagine luminose, ne contiene tante quanto mai oscure.

Cosa vuol dire propriamente “difendere la storia”? Significa respingere l’idea che per migliorare il presente dell’umanità occorra manipolare il passato o addirittura porlo su un tavolo operatorio e asportarne chirurgicamente i capitoli non graditi, per consegnarli all’oblio oppure condannarli alla gogna.

Di fronte a un tale atteggiamento occorre rivendicare la conservazione e la tutela della storia degli eventi nella sua integrità, affinché di tutti gli eventi sia dato di comprendere – è questo il compito proprio degli storici – i perché siano accaduti, in quali circostanze, con quali modalità e con quali conseguenze.

Compito degli storici è anzitutto di non sentenziare: questo aspetto mi piace, quest’altro invece no, erigendosi a maestri di buona vita in base ai propri valori; ma di aiutare, appunto, a porsi con intelligenza critica di fronte tanto agli aspetti “belli” quanto ai “brutti”. Solo così gli studiosi possono dare il loro contributo all’educazione dei cittadini e gli insegnanti dotare le menti degli allievi degli strumenti in grado di orientarli consapevolmente nelle scelte che dovranno compiere di fronte ai dilemmi della vita.

Nel volumetto ho trattato di una quantità di argomenti: della natura degli uomini e delle loro diversità e delle qualità che hanno loro consentito di rendersi signori del mondo, oscillando tra creatività e distruttività; dei momenti di progresso civile e sociale e di quelli di regressione paurosa; delle spinte all’eguaglianza e di quelle alla diseguaglianza; dell’irrompere delle grandi utopie, troppo spesso rovesciatesi in disastrosi fallimenti; della marcia difficile e soggetta a tante fragilità della democrazia e della libertà, oscurata dalle tirannidi e dalle sopraffazioni dei più forti nei confronti dei più deboli; della hybris, generatrice di sconfitte e infine delle sofferenze dei potenti che hanno creduto di rendersi padroni della storia.

Come poi trascurare l’autentico dramma creato dall’assalto contro la natura, che oggi fa temere della nostra sopravvivenza?

Contro la storia

Tra i primi nemici dello studio critico e, per quanto possibile, oggettivo della storia vi sono le forze che non esitano a manipolarla per plasmare secondo i propri interessi e fini la coscienza e gli orientamenti delle persone.

Nei paesi e nelle società dove il potere è oppressivo e intollerante della libertà di pensiero esso tende a ridurre la storia a instrumentum regni attraverso due vie: l’una è l’imposizione, mediante un’opera di deformazione, selezione e ricomposizione unilaterali, di visioni delle vicende del passato funzionali alla glorificazione di sé stesso; l’altra è la cancellazione degli aspetti del passato sgraditi, la distruzione di documenti, testimonianze, monumenti. In tal modo il potere strumentalizza la storia allo scopo di legittimarsi.

Gli esempi possibili sono innumerevoli. Tra le forze che si armano contro la storia ci sono poi gli iconoclasti. Le loro furie si sono scatenate nel corso delle età antiche, moderna e contemporanea e tornano oggi a vigoreggiare.

Vengono alla ribalta movimenti dell’opinione pubblica che – posseduti dalla convinzione di poter e dover erigersi a “giudici” intransigenti dei processi storici e di avere nelle proprie mani le chiavi per giudicare ciò che del passato e del presente debba essere considerato bene o male, conservato o cancellato – in nome di un supposto “progresso intellettuale e morale”, abbattono monumenti, mettono alla gogna le figure di grandi personalità del passato su cui grava la loro condanna, esaltano quelle a loro gradite, censurano le biblioteche, si scagliano contro i diversamente pensanti.

Tirando le somme, perché abbiamo bisogno di studiare la storia? Perché occorre che la scuola la consideri una materia non già marginale ma di importanza centrale?

La risposta è che la storia è la grande tavola delle esperienze umane, attraverso la quale i Socrate, i Platone, gli Aristotele, i Tucidide, i Machiavelli, i Locke, i Voltaire, i Rousseau ecc. continuano a parlarci come contemporanei in quanto fondatori di una grammatica concettuale che è ancora quella con cui noi ci confrontiamo; nel cui grembo sono depositate tutte le vicende che hanno formato le società in cui viviamo e che, se non facciamo i necessari sforzi per comprenderle, ci lasciano muti e ciechi di fronte ai problemi e ai dilemmi che dobbiamo affrontare. Non è davvero desiderabile muoversi nel mondo come orfani.


Massimo L. Salvadori è autore del libro In difesa della storia. Contro manipolatori e iconoclasti, edito da Saggine Donzelli editore

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