Il nuovo millennio è ampiamente maggiorenne, letteratura e cinema raccontano le sfumature del corpo e dell’animo umano offrendo modelli più realistici ma continuiamo a subire insulti sessisti online e violenze verbali e fisiche offline come se fossimo incastrate in una bolla temporale che assomiglia al medioevo.

Servirebbe una bella lezione di educazione sessuale. Non è una battuta. Se i dati ci dicono che la violenza di genere e l’hate speech sul web sono un’emergenza significa che abbiamo (anche) un problema con il sesso, inteso come consapevolezza e accettazione del nostro corpo, delle nostre emozioni e rispetto per quelle degli altri.

Ottimismo sul futuro

LaPresse CARLO COZZOLI

Non credo nei miracoli e capisco che per qualcuno sia troppo tardi (boomer bianco cisgender eterosessuale che hai appena postato un meme di due modelle famose e Sampei con scritto «chi prenderà più pesci?» sì, sto parlando con te. Donne che insultate altre donne perché decidono di mostrare il proprio corpo e di non adeguarsi al modello che ci vorrebbe tutte madri e mogli devote, parlo anche con voi) ma resto ottimista sul futuro, che se pure gli Eternals di Chloé Zhao sono riusciti a diventare inclusivi, inserendo nel gruppo di creature immortali e superdotate un personaggio gay con marito e figlio, quel libro potentissimo che è Febbre di Jonathan Bazzi è entrato nella cinquina dello Strega e Sex Education è diventata una serie cult, forse c’è speranza per il futuro.

Ora, non pretendo che arrivi Jean Milburn con la sua chioma bionda a insegnarci che ogni vulva è bella e unica (ma poi perché no? Pretendiamolo) ma in una società dove la cultura patriarcale, quella dello stupro, la violenza di genere, l’omotransfobia e la totale mancanza di rispetto per il concetto di consenso sono purtroppo all’ordine del giorno, iniziare a pensare che l’educazione sessuale possa essere importante a scuola quanto – se non più – di quella civica o religiosa (abbiamo ancora l’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche, giusto per dire quanto siamo anacronistici) potrebbe essere un passo avanti epocale.

Da ragazzina costringevo mio padre a comprarmi un giornaletto pieno di poster, test e pagine dove si parlottava di sesso. Lui si vergognava da morire, lo infilava dentro il quotidiano sperando che nessuno lo vedesse e io a casa lo leggevo come se in quelle pagine ci fossero le risposte a ogni domanda sulla vita. Quello, insieme alle chiacchiere con le amiche, è stato il fulcro della mia educazione sessuale.

Oggi sarebbe stato diverso, avrei avuto da leggere la raccolta A.M.A.R.E. di Canicola che contiene, tra le altre, la storia breve Un passo indietro di Martina Sarritzu (premiata al Lucca Comics, giusto per capire dove tira il vento) dove la protagonista adolescente si chiude in camera con l’amica del cuore per “allenarsi” a fare sesso (quante volte lo abbiamo fatto?) oppure la trilogia di Fumettibrutti, che riesce a raccontare emozioni che appartengono a tutte noi (le farfalle nel water sono le nostre, come la sensazione che i commenti e fischi per strada siano la somma del proprio valore) o film come Lady Bird di Greta Gerwig, con la protagonista che rinfaccia all’ex fidanzato di averla fatta stare sopra per la sua prima volta, infrangendo così l’idealità di quel momento (avremmo voluto avere quel coraggio anche noi).

Con un po’ di buona letteratura e cinema avrei evitato alcune delle situazioni assurde, fisiche ed emotive, che ho vissuto o almeno mi sarei sentita meno inadeguata e sola. Invece no, avevo quel giornaletto che mi spiegava le dieci mosse per piacere a un ragazzo e l’amica che disquisiva sull’utilità di lavarsi la vagina con la coca cola, dopo un rapporto sessuale, per evitare una gravidanza indesiderata. Le famiglie, in generale, riducevano il tema a un mero “non restare incinta” e “non prendere l’hiv” e tutto il resto rimaneva un terreno da esplorare, goffamente, senza nessun faro a illuminare la strada.

Scoprire noi stesse

L’educazione sessuale, e sentimentale, perché le due cose vanno a braccetto, è un passaggio decisivo nella costruzione della persona che siamo, se non altro perché per anni ci dedichiamo tutte le nostre energie migliori, e la scoperta di noi stesse (anche) attraverso la relazione con altre persone – fisica, emozionale, amicale, conflittuale, sentimentale, fallimentare o felice che sia – diventa il nostro romanzo di formazione personale. Quindi, giusto per non girarci intorno, perché non si insegna a scuola?

Qualche tempo fa ho letto Bastava chiedere di Emma e, al di là di tutte le cose in cui mi sono ritrovata in quanto donna, madre e lavoratrice, mi ha colpita il capitolo che parla della clitoride e di come lei, l’autrice, avesse scoperto tardi a cosa servisse. Neppure io ho un chiaro ricordo di qualcuno che me ne abbia spiegato la funzione e fa sorridere pensare che nei libri di scienza o anatomia, a scuola, non venga raccontata per quello che di fatto è: un organo con la sola funzione del piacere.

Vorrei dare la colpa agli anni Novanta, quando spesso le informazioni erano incentrate su una narrazione maschile ma purtroppo non è solo una questione temporale. A scuola nessuno spiegava la funzione della clitoride, e anche oggi è così, e chi c’era accidentalmente capitata non sapeva bene come raccontare quello che aveva fatto quella specie di magia.

Così navigavamo a vista senza la minima consapevolezza che il mare che stavamo attraversando era assolutamente disinteressato al nostro corpo (se non per giudicarlo) e al nostro piacere, tanto che in parte lo eravamo anche noi. Il maschio era centrale e il suo piacere sessuale il vero grande obiettivo.

A confermare questa sensazione, che al tempo giudicavo sgradevole ma non ancora profondamente sbagliata, come invece faccio oggi, era la letteratura alla quale avevo accesso: il famoso giornaletto e una collezione di fumetti porno soft che una compagna di classe sottraeva al fratello maggiore e che noi ci passavamo con la precisione di una biblioteca.

Ribaltare il punto di vista

LaPresse CARLO COZZOLI

Oggi il punto di vista è stato ribaltato grazie ad autrici come Giulia Cellino (Ritardo), Eliana Albertini e Cristina Portolano ma al tempo sembrava un miraggio poter leggere fumetti dove la donna, seppure protagonista, non fosse a disposizione dei desideri dell’uomo, fisici o emotivi che fossero.

Mentre ancora cercavamo di capire come funzionavano corpo e sesso, per molte di noi era arrivato il tempo delle mestruazioni, altra cosa per la quale sembrava dovessimo in un qualche modo vergognarci e così finivamo, in classe, per infilare assorbenti nei jeans con la rapidità di un ninja mentre chiedevamo di andare in bagno, per poi venire smascherate da macchie rosse sulle natiche che coprivamo malamente con felpe e golfini.

Il tempo delle foto sui social con donne che mostrano acne, assorbenti con le ali, peli, smagliature, seno, prendendosi il diritto di narrare la femminilità senza idealizzarla e facendo, così, un’azione politica, era lontanissimo ma sarebbe arrivato.

Negli anni Novanta avevo a disposizione i giornaletti dell’edicola, i libri della biblioteca, la collezione completa di Video Girl di mio zio e qualche fumetto di Milo Manara e Andrea Pazienza che trovavo in casa e leggevo di nascosto.

C’era Kate Moss che spopolava e il modello di magrezza assoluta ci faceva sentire inadeguate, come se non bastasse la sensazione che il proprio corpo si trasformasse ignorando qualsiasi regola di proporzione.

La vita sociale si divideva tra team Brenda e team Kelly, chi amava Dylan e chi Brendon in Beverly Hills 90210: solo cisgender eterosessuali bianchi e dal corpo conforme (a cosa non si sa ma conforme).

Ci sembrava pazzesca Britney Spears che cantava Baby one more time e mai ci saremmo immaginate che poco più di vent’anni dopo avremmo fatto il tifo perché lei, ai nostri occhi simbolo di libertà assoluta, fosse liberata della conservatorship del padre e riprendesse il controllo sulla sua vita, corpo compreso.

Non più sole

Oggi, fortunatamente, il vento è cambiato nella letteratura e nel cinema – come spesso accade, l’arte anticipa i tempi della politica e dell’accettazione sociale – i modelli si sono moltiplicati tenendo presente le sfumature del genere umano ed è più facile sentirsi rappresentate.

La serie High Fidelity tratta dal libro di Nick Hornby e interpretata da Zoe Kravitz è un chiaro esempio di come il racconto della società contemporanea passi dall’inclusività e da una narrazione femminile libera e coraggiosa.

Qualche anno fa era uscita She’s gotta have it di Spike Lee, ispirata al suo film Lola darling, e io ero già lì a chiedermi perché alla me ragazzina era toccato Dawson’s Creek.

Imparare ad accettare il proprio corpo – o non accettarlo e quindi provare a percorrere strade che portino a sentirsi davvero sé stesse – è un lavoro lungo una vita ma non deve per forza essere fatto in solitudine. Per questo è importante portare questi temi nel luogo che accomuna il percorso di formazione di tutte e tutti noi: la scuola.

Lì, tra quelle mura che abbiamo amato e odiato in egual misura, trascorrendoci in media tra i tredici e i sedici anni, nel confronto tra pari e con l’aiuto di adulti competenti (anche Otis alla fine capisce che serve una guida) si potrebbero condividere informazioni corrette e complete, sentirsi (anche) libere di allontanarsi dal proprio background familiare e avere gli strumenti per fare di sé stesse e del proprio corpo quello che si vuole, come è giusto che sia, con la consapevolezza e il rispetto che meritano. Che meritiamo. Anche (e soprattutto) da noi stesse.

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