Cultura

Si fa presto a dire castità. L’ipocrisia nasce nei seminari

Gli aspiranti prelati cercano una forma di protezione assoluta e per questo sono disposti a rinunciare alla libertà. Sesso e amore sono visti come mostri pericolosi, da tenere a bada a tutti i costi. Anche decidendo di mentire

  • Tolti pochi opportunisti piuttosto scafati, i ragazzi che entrano in seminario, un tempo soprattutto al “minore”, alle scuole medie, oggi soprattutto al “maggiore”, terminate le scuole superiori o più tardi, sono in molti casi giovani fragili, insicuri, timorosi di non farcela a stare a galla in un mondo competitivo come il nostro.
  • Il seminario attrae questi ragazzi perché è un luogo protetto, nel quale loro non devono preoccuparsi di nulla. L’istituzione fornisce tutto quello di cui hanno bisogno e organizza la loro esistenza in ogni dettaglio.
  • In definitiva, i seminaristi dall’istituzione ricevono una protezione integrale, ma in cambio devono donare la rinuncia altrettanto integrale alla loro libertà, alla soggettività, alla creatività.

Sembra difficile poter pensare alla vita affettiva e sentimentale del clero cattolico senza che affiorino immagini estreme: il santo e il pervertito. Da un lato, la figura asessuata del martire radicalmente dedito alla causa, a soccorrere gli ultimi o a edificare spiritualmente le masse. Uno così, dice la vulgata popolare, «non avrebbe nemmeno il tempo per avere una storia o pensare al sesso, sa stare ai patti e mantiene le promesse, compresa quella del celibato, sino al completo sacrificio

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