L’aneurisma cerebrale che ha colpito il pioniere e simbolo dell’hip hop americano Dr. Dre ha svelato una verità scomoda: anche i rapper invecchiano. Chiunque si sia avvicinato a questo mondo anche solo per caso guardando un video su YouTube o, qualche anno fa, su Mtv avrà in mente i video in cui giravano con le loro auto sfarzose, circondati da donne ed esageratemente adornati da gioielli.

Pensare che queste persone possano trovarsi su un letto di ospedale, non perché colpiti da un proiettile di una gang avversaria, ma da malattie proprie dei comuni mortali, non può certo lasciare indifferenti. 

Gli inizi nel ghetto

Dr. Dre, al secolo Andre Romelle Young, è il rappresentante della generazione che ha portato i gangsta dalle strade squallide dei sobborghi americani alla gloria internazionale. Senza filtri se non la propria voce sulla base, Dre e i suoi compagni Eazy-E, Ice Cube si erano riuniti a fine anni Ottanta nel collettivo degli N.W.A. per raccontare la realtà difficile della West Coast americana e in particolare di Compton, la città californiana dove il gruppo era nato.

Il loro singolo, Fuck tha Police, (che tradurremo con “si fotta la polizia”) descrive le violenze razziste commesse dalla polizia e la sua distribuzione fu vietata dall’Fbi. Una situazione che ancora oggi non sembra essere cambiata troppo viste le proteste del Black lives matter. Il successo degli N.W.A. è stato breve, ma intenso, come testimoniato dal film a loro dedicato Straight Outta Compton (che prende il nome dal loro primo album), e si è concluso bruscamente nel 1991 dopo che Dr Dre e Ice Cube hanno abbandonato il gruppo accusando Eazy di avere rubato parte degli incassi.

Quando si moriva da gangsta

Gli anni Novanta sono stati l’epoca d’oro del gangsta rap, in cui ogni adolescente, benestante o meno, di provincia o di una grande città, si sentiva un duro mentre camminava per le strade con le cuffiette. Ma se chi ascoltava quelle canzoni poteva solo immaginare i proiettili e le faide tra bande, chi quelle storie le cantava le viveva davvero. 

A testimoniare tristemente che «era tutto vero», ci sono le morti delle due leggende dell’hip hop Notorious B.I.G. e 2Pac uccisi in due sparatorie rispettivamente nel 1997 e nel 1996. A

uccidere i rapper non erano solo i proiettili delle bande rivali, ma anche la malattia che ha segnato quegli anni: l’Aids. Nel giro di pochi mesi, il virus aveva portato via proprio quell’Eazy-E tanto amato e odiato dai suoi ex compagni del N.W.A. La malattia del rapper aveva abbattuto ogni faida passata e sia Dre sia Ice Cube si erano riappacificati con lui in ospedale a pochi giorni dalla morte, avvenuta nel 1995. Poteva essere la fine del gangsta rap. Ma il mondo andò avanti.

Tra produzioni e talent show

Rimasti orfani di alcuni leggendari compagni di avventura, i superstiti del gangsta rap si sono reinventati, abbandonando man mano temi di lotta e ribellione, e scoprendosi chi produttore e chi star di talent show e spettacoli del jet set. D’altronde, il rap degli anni Duemila e degli anni Dieci è stato sempre più individualistico e spesso racchiuso in storie personali problematiche come quella di Eminem, il ragazzo bianco prodigio del rap e scoperto non a caso da Dre, diventato nel frattempo uno dei produttori più stimati del panorama.

Ed ecco che pian piano i ragazzi dei bassifondi hanno dovuto far pace con una maturità e un decadimento fisico che mal si conciliavano con la loro immagine da duri e le loro rime piene di insulti con il caratteristico intercalare del “motherfucker”. C’è stato chi come Dre si è chiuso in studio scoprendo talenti come Eminem e 50 Cent, chi come Ice Cube ha alternato la sua attività da cantante con quella di attore e chi come Snoop Dogg ha invece scelto la via del talent show apparendo come giudice in Go-Big Show che punta a premiare talenti “impressionanti” come costruttori di monster truck o addomesticatori di alligatori.

Al richiamo dei talent non hanno resistito neanche i rapper italiani come J-Ax. Dopo aver cantato nel 2006 «se fallisco faccio il muratore mica il Music Farm», l’ex membro degli Articolo 31 ha partecipato al talent All Together Now. Ma è forse la figura di Snoop Dogg quella che meglio racconta la “pensione dei rapper”: chi oggi va sul suo profilo Twitter non troverà una parola sulla sua musica nella descrizione del profilo, ma solo le pubblicità della sua linea di abbigliamento. La strana fine dei motherfucker di Compton. Dalle sparatorie del ghetto alle vetrine online.

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