L’ultimo libro di Francesco Piccolo, il saggio Son qui: m’ammazzi (Einaudi) attraversa il catalogo dei personaggi maschili nella letteratura italiana. Prendere consapevolezza dell’essere maschio è lo spazio stretto, complicato e poco agevole dentro al quale ogni uomo può riconoscersi e confrontarsi, sapendo dove dorme e russa l’animale che ci si porta dentro. Un ritratto miserabile e patetico, umano e non ideologico
Dal sesso alle ambizioni, dai desideri più reconditi alle ingenuità più evidenti, Francesco Piccolo da sempre indaga nei suoi libri la forma del maschio. Dai libri a carattere più saggistico come Scrivere è un tic e La bella confusione fino ai romanzi in parte anche fortemente autobiografici come Il desiderio di essere come tutti, L’animale che mi porto dentro e La separazione del maschio.
Il maschio di Piccolo non è mai una forma concettuale, ma vive nelle nostre strade, pranza nei nostri stessi ristoranti, seduce e si fa sedurre ed è ovviamente aggressivo e violento, impulsivo e patetico. Il maschio di Piccolo è anche in parte Piccolo stesso con le sue fatiche e le sue intenzioni, quelle compiute e quelle tradite.
Un percorso a tratti comico e a tratti faticoso e doloroso. Una presa di coscienza di sé e del proprio divenire. Divenire amante e marito, padre e scrittore.
Attacco a un potere
Il maschio della società contemporanea è fortemente messo sotto attacco, ma nulla di più. Lo è perché presiede grandemente i luoghi del potere pubblico, privato, sociale ed economico. E lo è perché la gestione di questo potere ha spesso conseguenze nefaste sulla società, e al tempo stesso è dato senza alcun criterio, senza alcuna motivazione che non sia la legge del più forte e spesso del più maschio. Ovvero di colui che si dimostri capace e pronto a dare vivida dimostrazione di minaccia e gelosia, di furia e violenza. Più o meno apparente che sia.
Gli esempi sono molteplici e riguardano tutti anche chi offre una forma – alle volte anche più subdola – di gentilezza. Dice duramente la figlia Francesca a Luigi Comencini nel film Il tempo che ci vuole: «Che mi hai insegnato a fare le cose che mi hai insegnato, che le bambine sono come i maschi, che possono fare le stesse cose. Non è vero. Mi è bastato uscire di casa per sentirlo il disprezzo, ma tanto c’era già quel disprezzo in casa nostra.
E lo sai da dove è entrato papà? Dalla tua testa. Sì quanto era più facile quando ero una bambina, ma adesso che sono una donna è un bel casino, eh papà? Come fai ora che quell’essere perfetto che era la tua bambina adesso è diventata una donna, uguale a tutte quelle altre donne che tu, come tutti, tutti, sottilmente, tu educatamente, ma visceralmente disprezzi».
I femministaioli
L’illusione di un uomo nuovo come scrive Francesco Piccolo ha rimosso invece che mutato la natura del maschio, ha illuso – anche i più educati e gentili – di potersi sentire esclusi da una categoria che da sempre perpetua violenza in cambio di potere.
Alcuni si sono creduti femministi – o come cantava Giorgio Gaber “femministaioli” – altri si sono sentiti testimoni, si sono tolti dal novero dei maschi negando una natura e spesso rivelandone una ancora più peggiore frutto di una compressione, di una negazione.
Scrive Piccolo: «Del resto, lo ha scritto Carla Lonzi: «Noi neghiamo come un’assurdità il mito dell’uomo nuovo». Ecco. Anche io». E così si apre il saggio Son qui: m’ammazzi (Einaudi) con l’intenzione d’indagare attraverso i personaggi maschili della letteratura italiana una natura e una forma.
Prendere consapevolezza dell’essere maschio è lo spazio stretto, complicato e poco agevole – per vergogna e per dolore – dentro al quale ogni maschio può riconoscersi e ritrovarsi. Non prendere le distanze, ma cogliere la giusta misura, il limite dentro al quale confrontarsi sapendo dove dorme e russa l’animale che ci si porta dentro.
Lucia
Il titolo è preso da I promessi sposi, dall’affermazione disperata di Lucia diretta all’Innominato. Rapita dal Nibbio, preda dell’Innominato non ha più alcuna libertà se non quella di farsi ammazzare. La frase di Lucia scuote l’Innominato spalancando una voragine dentro di lui che assume la forma di dubbi esistenziali decisivi.
Tuttavia tradendo sempre una convinzione dell’essere maschio ben precisa e ordinata, ancora una volta l’Innominato, proprio perché apertosi al dubbio di sé e del proprio ruolo, non fa altro che sentirsi esclusivamente solo come un maschio che non è più sufficientemente maschio.
Francesco Piccolo prende in rassegna tredici tra i capolavori della letteratura italiana dal Decameron di Boccaccio fino a Via Gemito di Domenico Starnone, dai classici fino agli autori contemporanei. Non un atto d’accusa, ma l’analisi di uno sguardo. Una lettura che ripropone come il maschio – dall’autore al personaggio – prenda forma. Un maschio che agisce nel tempo permanendo ostinatamente e mantenendo, pur nella differenza dei costumi, un carattere ben individuabile e preciso.
L’esercizio del maschio
Uno status quo emotivo inscalfibile, fatto di piccolezze e di codardie, ma anche di violenza e manipolazione. Piccolo compie una lettura dei testi portando a galla una verità spesso sottaciuta a proposito dei personaggi maschili, anche quando questi tendono a mostrare coraggio e onestà. Virtù infatti che sottendono a una forma sempre di autocelebrazione. Atteggiamenti che il maschio «si può permettere» in quanto tale, in quanto ad esempio nella posizione di poter decidere della vita come della morte di una donna.
La grande letteratura non giudica così come non si limita a dare forma a personaggi bidimensionali, ma entra però fortemente e inevitabilmente nelle contraddizioni e nei conflitti dell’animo per offrire ai suoi lettori un corpo fatto di pagine che trasudino dolore e gloria, puzza nefanda e felicità irreprimibile. E nel fare questo gli scrittori in causa non possono che offrire il ritratto spesso miserabile e patetico di maschi in perenne ritardo sulla realtà.
O perché incapaci di comprenderla o perché troppo spaventati per affrontarla. La reazione a questo ritardo è quasi sempre violenta e la vittima prescelta è sempre la donna, quella amata, quella tradita e quella che nemmeno poteva immaginarsi di ritrovarsi – come Lucia – tra le mani di un uomo così potente e violento da non avere nome.
L’antidoto e l’avvertimento
Qualunque maschio – pur nella distanza spesso abissale dei gesti – può ritrovarsi in quei movimenti della coscienza che accomunano re Astolfo e Iocondo, il capitano Della Morte e Zeno, Malnate e Antonio Dorigo. Non si tratta tanto di accusarsi o peggio di solidarizzare, ma di riconoscere quell’impulso e quel sentimento a tratti originario e a tratti calcificato da secoli che la letteratura stessa ha teso a sostenere e diffondere.
Tuttavia proprio gli esempi portati da Piccolo – in quanto esponenti della migliore letteratura italiana – offrono un antidoto e un avvertimento. Queste pagine danno infatti la misura precisa dell’essere maschio e dei pericoli in cui può incorrere e far incorrere. La lettura di Piccolo è raffinata e godibile, è un’analisi critica non dettata dalla ricerca di una colpa, ma dalla necessità di scoprire la propria differenza.
Una nuova occasione
Son qui: m’ammazzi è l’ultimo tassello di un’autobiografia pubblica in cui la letteratura non è al servizio di una teoria o di un’ideologia, ma dell’umano nella sua più profonda essenza. La letteratura svela l’imperfezione umana e lo fa anche attraverso il corpo degli autori, come nel caso di un Boccaccio tanto emotivamente coinvolto quanto letterariamente distratto.
Come riporta Piccolo, infatti Boccaccio stiracchia la propria stessa novella, probabilmente volutamente, ma di certo perché distratto da un coinvolgimento sentimentale, perché è proprio nell’immaginazione e nel tentativo di replicare il reale che l’umano si svela.
Una perdita di controllo attraverso cui la natura si rivela, compresa quella del maschio e poco conta che sia un lettore o l’autore. Un saggio prezioso quello di Francesco Piccolo che dice molto del nostro immaginario e di come si è costituito e che offre una nuova occasione ai maschi e anche ai personaggi maschili della letteratura.
Una possibilità di rimessa in gioco in cui provare a identificarsi sì con gli eroi di sempre, ma riconoscendo magari che vivendo le loro avventure qualche errore lo hanno. E così anche noi oggi vivendo le nostre vite.
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