«È la mancanza di fede che rende le persone paurose di accettare una sfida. E io ho sempre avuto fede: infatti, credo in me. La spiritualità è riconoscere la luce divina che è dentro di noi. Essa non è di nessuna religione in particolare ma appartiene a tutti».

Parole di Muhammad Ali, non solo un campione (the Greatest, il più grande) ma anche leader carismatico, attivista per i diritti civili e sempre schierato in opposizione alla guerra del Vietnam. Così straordinari i suoi colpi sul ring, tanto forte il suo impatto fuori. Certo, un pugile che sapeva usare la parola spiritualità affascinava tremendamente nella sintesi di aspetti all’apparenza distantissimi.

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Avvicinare i termini sport e spiritualità fa un po’ effetto ossimoro nel sentire comune. Due mondi percepiti distinti e contrapposti: lo sport come fisicità, competizione e l’apoteosi del risultato tangibile; la spiritualità come viaggio interiore verso la trascendenza, orientato a valori immateriali e profondi. Ma ora, reduci da un lutto nazionale mai così lungo, lo sport parte integrante della vita sociale e culturale del Paese avrà colto l’occasione per rallentare e interrogarsi sui suoi valori più profondi?

Oltre il minuto di silenzio sui campi di gara, le manifestazioni annullate o meno, c’è di più. C’è lo sport (tanto l’agonismo di alto livello quanto lo stile di vita attivo) che sa diventare un esercizio che oltrepassa il piano fisico per riempire di senso l’esistenza: nel sacrificio, nella disciplina, nella resilienza e nella connessione con gli altri, si apre a una dimensione che parla alla mente e al nostro spazio interiore. E c’è la spiritualità da intendersi come un’esperienza umana che riguarda la ricerca di significato, la connessione con qualcosa di più grande di sé stessi, il rapporto profondo tra l'individuo, l’universo e tutte le forme di vita che lo abitano: uno straordinario ponte che collega umano e non umano, visibile e invisibile, pesante e sottile.

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Superare i propri limiti, sublimare la fatica e il sudore, vivere l’unione con gli altri e con il mondo, la ricerca della felicità: temi comuni nella pratica sportiva che sanno toccare corde fondamentali e universali. Nelson Mandela, comprese pienamente il potere dello sport e lo definì «uno strumento in grado di cambiare il mondo». La sua visione trascendeva la mera attività fisica per riconoscere nello sport un terreno fertile di riconciliazione e trasformazione, capace di abbattere le barriere culturali e sociali: un veicolo per l’espressione di principi essenziali e per ricercare il significato del vivere.

È in questo equilibrio tra fisico e spirituale, tra il concreto e il simbolico, che lo sport si trasforma da semplice movimento corporeo in uno slancio capace di intercettare le sensibilità più intime dell’animo umano. E risuona con la spiritualità riconosciuta come la luce che abbiamo dentro, la scintilla che ci connette con ciò che è più grande di noi sia esso la comunità, la natura o un ideale.

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I Giochi antichi per gli dèi

Sport e spiritualità, così intrecciati, rappresentano un dialogo che ha attraversato la storia e le culture. In ogni epoca, in ogni contesto, lo sport ha saputo farsi portavoce di valori che hanno nobilitato il terreno di gioco.

Gli antichi Giochi olimpici dedicati agli dèi per cui la prestazione atletica non era solo dimostrazione di abilità fisica ma anche celebrazione di sacrificio e devozione. Il tutto declinato nella liturgia dell’olimpismo con la sua ritualità sacra che è sopravvissuta fino ai giorni nostri e ancora suggestiona l’umanità intera.

La spiritualità nello sport si nutre di gesti simbolici che trovano eco nella ricerca interiore. La fatica di un atleta, il suo impegno, il silenzio, il raccoglimento prima di una gara, evocano un dialogo con il sé profondo capace di generare emozioni e riflessioni che sanno di valori universali di ambizione al miglioramento, di fratellanza, pace, unità, condivisione.

Non solo per chi corre all’inseguimento di una medaglia ma anche per chi osserva, partecipa indirettamente e si ispira, per chi fa una corsa solitaria al tramonto, una partita tra amici o una semplice camminata nella natura: lo sport offre un'opportunità di vivere la connessione tra corpo e spirito, un esercizio di presenza che, nella sensazione di essere pienamente vivi, radicati e consapevoli, costruisce la felicità.

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La migliore versione di noi

La felicità non è una cosa che capita, è il frutto di un’arte che coincide con la capacità di realizzare la pienezza della propria esistenza, come una competenza, in un certo senso. Niente di effimero dunque e tantomeno di esclusivamente emozionale. Curare la pratica sportiva ci aiuta: il desiderio di lavorare per essere la migliore versione di noi stessi ci rivela, attraverso la fisicità, il bagaglio interiore con cui viaggiamo, accende il dialogo con la voce interiore: scopriamo ciò di cui siamo veramente capaci mentre ci dobbiamo rassegnare all’idea che ci sarà sempre qualcosa che non sapremo fare o qualcuno più bravo; capiamo se abbiamo gli strumenti per gestire ciò che la realtà ci restituisce e la capacità di trasformare la fatica in bellezza, la difficoltà in stimolo.

È questo, paradossalmente, il grande passaggio attraverso cui la pratica sportiva ci avvia alla competenza della felicità: superare i nostri limiti o fare pace con essi. L’obiettivo è il desiderio che ci mette in moto ma è il percorso che dà senso alla quotidianità e la libera dall’alienazione e dall’ansia. È lì che la spiritualità prende forma nell'armonia tra movimento e quiete interiore, tra sfida esterna e dialogo interno. È lì, nel cammino fatto di sudore e conquista che corpo e mente lavorano insieme per generare una comprensione più profonda del perché facciamo ciò che facciamo, di cosa e come riempiamo il nostro tempo per noi e per gli altri.

Lo sport invita a riconoscere una verità semplice e potente: non esiste crescita senza incontro con l'incertezza, non esiste pienezza senza accettazione. La bellezza del percorso, infatti, non risiede nella perfezione, ma nella capacità di trasformare ogni passo, ogni caduta, ogni successo. in tasselli che costruiscono una felicità autentica. Una felicità che si estende al mondo che contribuiamo a costruire, in una fusione tra personale e collettivo, tra corporeità e spiritualità, tra noi e gli altri.

La consapevolezza

Lo sport ci sfida, ci accompagna e, se lo permettiamo, ci trasforma: ci segna una via per la consapevolezza, per scoprire o riscoprire il significato delle nostre scelte e coltivare la felicità. In ogni esperienza sportiva, che sia una finale olimpica o una partita in un parco, c'è l'essenza di ciò che ci rende umani: il desiderio di migliorare, di connetterci, di vivere con pienezza.

Sport, spiritualità e felicità non sono concetti disgiunti, prospettive separate ma parti di un unico viaggio, sempre aperto a chiunque desideri intraprenderlo, a qualsiasi età. Forse il futuro che desideriamo per noi e per l’umanità intera, si realizza principalmente per piccoli passi, per traguardi personali facili o complessi, umili o ambiziosi come quelli che si compiono nello sport e che ci insegnano a trovare senso nella fatica, significato nella sfida, appagamento nella connessione. E a essere felici. 

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