Incontri ravvicinati del terzo grado. È una vicenda di detti e contraddetti quella dell’iter di giustizia sportiva su Juventus-Napoli. Iniziata venerdì 2 ottobre 2020 con la nota emessa dall’Asl Napoli 1 – dipartimento prevenzione, inviata al responsabile sanitario del Napoli in risposta a una richiesta di chiarimento. E conclusa tre mesi dopo, giovedì 7 gennaio 2021, col deposito delle motivazioni della decisione assunta il 22 dicembre 2020 dal collegio di garanzia del Coni. Quella che ha malamente bocciato i due gradi della giustizia calcistica annullando la vittoria 3-0 a tavolino della Juventus e la penalizzazione di un punto al Napoli. In mezzo a tutto ciò una scia di parole, interpretazioni contrastanti e accuse che lasciano un segno sulla macchina della giustizia sportiva. Non per nulla il presidente della Figc, Gabriele Gravina, in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi al Corriere dello Sport, ha preso a sdottorare su questioni di legittimità e questioni di merito, affermando che in quanto organo equiparabile alla Cassazione il collegio di garanzia Coni non dovrebbe diventare «un terzo grado di giudizio» e prefigurando ricorsi al Tar.

Dica 55

Quello che rimane è un’eredità pesante da gestire. Conseguenza del primo, vero stress test per i protocolli anti Covid elaborati con fatica allo scopo di consentire al mondo del calcio di non fermarsi. E rimane anche il lascito di un gioco pirotecnico di parole fissate sulla carta delle decisioni ufficiali. Parole che a un’analisi sgombra dai tic del giuridichese suscitano perplessità. Si inizia da quanto scritto il 14 ottobre 2020 dal giudice sportivo della Lega di Serie A, Gerardo Mastrandrea, nel comunicato ufficiale numero 65. È il documento in cui vengono sanciti il 3-0 a tavolino per la Juventus e il punto di penalizzazione per il Napoli.

Due misure prese sulla base dell’interpretazione dell’articolo 55 delle Norme organizzative interne della Federcalcio (Noif), quello che disciplina la «mancata partecipazione alla gara per causa di forza maggiore». Si trattava di stabilire se effettivamente la mancata presenza del Napoli sul prato dell’Allianz Stadium alle 20.45 di domenica 4 ottobre 2020 fosse giustificata da cause di forza maggiore.

E per spiegare come debba essere stabilito il sussistere della causa di forza maggiore il giudice sportivo Mastrandrea sottolinea due aspetti: che in nessun modo il giudizio valuta la legittimità di atti e provvedimenti emessi dalle autorità sanitarie statali e territoriali; e che l’eventuale presenza di cause di forza maggiore vada riscontrata «alla stregua delle considerazioni fattuali, prima che in punto di diritto».

Da queste premesse Mastrandrea giunge a un giudizio che fa discutere. Lo fa rispondendo a una semplice domanda: il soggetto impossibilitato ha davvero fatto tutto ciò che potesse per aggirare le condizioni ostative? Secondo il giudice sportivo quando è arrivata la nota Asl del 4 ottobre il Napoli si era già messo nelle condizioni di non potere raggiungere Torino. E va punito per questo. Infatti la nota della Asl, si legge, è arrivata «quando però, ai fini della valutazione della forza maggiore la “prestazione” sportiva da parte della Soc. Napoli (che fin dalla sera precedente aveva provveduto a disdire il viaggio aereo programmato con apposito charter) era nel frattempo oggettivamente divenuta di suo impossibile, anche sotto il profilo logistico-organizzativo, avendovi da tempo la società rinunciato ed essendo ormai giunti in prossimità dell’orario di gara». Dunque, indipendentemente da ciò che sostenga l’autorità sanitaria, vengono puniti l’atteggiamento e l’intenzione del Napoli anziché il fatto in sé. Soltanto qualche secolo di cultura giuridica bruciato in poche righe.

Dolo di preordinazione

Se possibile, il giudizio emesso in secondo grado dalla corte sportiva d’Appello nazionale è ancora più pesante. La decisione, depositata il 10 novembre 2020 dalla prima sezione presieduta da Piero Sandulli, chiama addirittura in ballo il dolo di preordinazione. Alla richiesta di parere avanzata dal Napoli all’Asl Napoli 1 «non può che attribuirsi altro significato che quello della volontà della società ricorrente di preordinarsi una giustificazione per non disputare una gara che la società ricorrente aveva già deciso di non giocare».

Il concetto è ribadito e rafforzato poco dopo, quando viene fatto riferimento alle successive consultazioni fra il Napoli e le autorità sanitarie locali: «Ciò che emerge è, invece, la preordinata volontà della società ricorrente di non disputare la gara (volontà, desumibile da diversi indizi, quali la reiterazione delle richieste di chiarimenti in ordine alle conseguenze derivanti dall’isolamento fiduciario del gruppo squadra, la cancellazione, fin dalla serata del giorno antecedente quello dell’incontro, che, peraltro, era in programma per la sera, del volo charter ma, soprattutto, l’annullamento della prenotazione dei tamponi che avrebbero dovuto effettuarsi, secondo le previsioni del protocollo, nella giornata di svolgimento della gara); comportamenti, questi ultimi, che, contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente, non sono, affatto, irrilevanti, essendosi, poi, concretizzata (ma solo nell’imminenza della disputa della gara), la causa di forza maggiore ovvero il factum principis, rappresentato dal divieto di recarsi a Torino, opposto alla società ricorrente dalla competente Autorità sanitaria di Napoli, solo nell’imminenza della disputa della gara (nota del 4 ottobre 2020, ore 14.13 della Asl Napoli 2 nord)».

Dunque, ancora una volta, viene punita l’intenzione. Ma viene fatta oggetto di sanzione anche la sequenza di consultazioni con le autorità sanitarie locali, lette come se fossero stratagemmi per prendere tempo e approssimarsi a una tempistica da causa di forza maggiore sopraggiunta. Sulla scorta di questa lettura dei fatti la corte sportiva d’Appello nazionale ha confermato le decisioni assunte dal giudice sportivo.

Cambio netto

Rispetto al giudizio dei due gradi di giustizia calcistica interviene la decisione del Collegio di garanzia Coni, presieduto dall’ex ministro Franco Frattini. Che dopo aver speso metà del documento sulla ricostruzione del caso e del modo in cui «la giustizia endofederale» ha motivato le decisioni (drastiche valutazioni comprese), esprime un giudizio che è una frustata: «Le motivazioni appena indicate non possono essere condivise». Perché, prosegue, «la valutazione dei giudici endofederali non tiene conto, in generale, del sistema disegnato dal legislatore emergenziale e, in particolare, del criterio di gerarchia delle fonti». Il riferimento è alla circolare del ministero della Salute numero 21.463 del 18 giugno 2020, che prevede il coinvolgimento delle autorità sanitarie territoriali e la facoltà assegnata ai dipartimenti della prevenzione di provvedere all’isolamento e alla quarantena di un gruppo squadra.

«La condotta attesa dalla Ssc Napoli – prosegue la Corte – è divenuta impossibile per effetto dei richiamati provvedimenti, che escludono, peraltro, considerato il pieno rispetto della normativa vigente, una responsabilità di quest’ultima società. Responsabilità che, di certo, non può essere individuata, come invece concludono le decisioni endofederali, nella richiesta di chiarimenti circa la condotta da tenere». Con l’affondo finale che fa a pezzi la corte sportiva d’Appello e la sua tesi in materia di dolo di preordinazione: «Ne discende, ancora, non solo l’assenza di mala fede da parte della SSC Napoli, che ha agito in piena coerenza con quanto previsto dalla normativa vigente, ma anche la infondatezza della tesi, sostenuta dalla CSA, del c.d. dolo da preordinazione».

Il colpo per la giustizia sportiva Figc è durissimo. E adesso occorre capire se questa non si trasformerà nella prima tappa di un conflitto fra due giustizie del medesimo ordinamento. La farsa conclusiva.

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