Il 10 maggio è iniziata la Biennale di Architettura di Venezia. Mentre l’orda di turisti affolla i vaporetti e le strade della Serenissima, un angolo di pace si scorge ai Giardini della Marinaressa. Qui è esposta ReCall & Response, il padiglione supportato dal Cameroon American Council (CAC) e dall’European Cultural Centre (ECC) che dagli USA pone al centro le radici africane e la resistenza. L’obiettivo: sanare le fratture culturali secolari attraverso il suono e l’architettura.

«Ci siamo basati su concetti di design e colore africani e della diaspora africana, senza seguire i metodi e i modelli occidentali. Ci siamo concentrati soprattutto sull’Africa occidentale, ma in generale sulle influenze africane e sullo spirito della diaspora africana. Nel mio caso, quella afroamericana», racconta a Domani Coleman A. Jordan, professore di architettura alla Morgan State University e Visiting professor ad Harvard.

Gli incastri in legno

Il punto di arrivo della ricerca è stato «il tamburo». Ispirati dal dundun, noto come “tamburo parlante”, e dal djembe, tamburo a calice dell’Africa occidentale, il passo successivo è stato costruire una struttura facilmente montabile e smontabile dotata di “wood joinery”, gli incastri in legno. La scelta del materiale non è casuale. Il padiglione è stato, infatti, curato in linea con il tema della Biennale 2025, cioè “Riparare, Rigenerare e Riutilizzare”. Sul punto, il professor Jordan spiega: «Il ciclo di vita di un progetto riguarda le comunità, i materiali e il processo di edificazione in sé, che comporta poi la circolazione del design». E aggiunge: «il nostro è un tentativo di “riparazione” tra l’Africa e le diaspore africane».

Per Jordan, ideatore e curatore del padiglione, la sostenibilità non può essere, inoltre, scissa dal lavoro di gruppo. Infatti, a questo sforzo collettivo hanno partecipato studenti ed ex studenti non solo della Morgan State University, ma anche delle università Tuskegee e Clemson. C’è stato anche il contributo del Pan African Heritage Museum, sito in Ghana, e di Talking Hands: un progetto italiano fondato a Treviso da Fabrizio Urettini che coinvolge persone con background migratorio nella realizzazione di manufatti tessili. I loro tessuti morbidi richiamano nei colori e nei motivi le produzioni tipiche dell’Africa occidentale. Nel caso dell’opera architettonica in esame, i tessuti provengono dal Ghana e s’intrecciano in cima alla struttura cilindrica per ripararla dalle intemperie.

Il padiglione, parte della mostra Time, Space, Existence, risalta all’occhio dei visitatori che attraversano la distesa verde che dà sulla Riva dei Sette Martini. Pasha Vredenbregt, 27 anni, architetto del paesaggio dei Paesi Bassi, vi incappa per caso. Colpito dal grande tamburo, afferma: «Mi piacciono molto i materiali usati, il legno e l’intreccio. È una bella combinazione, si distingue dal resto. Anche per i colori: sono stati proprio quelli ad attirarmi. E l’interazione ti fa domandare a cosa serva».

La musica afroamericana

Di per sé, i Giardini della Marinaressa sono un luogo di incontro, di condivisione, di scambio dove «tutte le opere esposte in tale contesto dialogano con questa idea», illustra Lucia Pedrana, responsabile delle Relazioni universitarie presso la sede italiana dell’European Cultural Centre.

Ma ReCall & Response si fa ambasciatrice dell’interazione in un senso più ampio. Il titolo si rifà, infatti, alla dinamica del “botta e risposta” che affonda le radici nell’antica musica africana saheliana e subsahariana. Tale pratica ha influenzato la musica afroamericana e generi come il blues, il gospel, il soul. Ora, vuole imporsi anche nell’architettura, almeno secondo la visione del professor Jordan: «Per me, tutto questo è uno sforzo nel design che mira a far avanzare e riparare l’umanità intera».

Un’interazione che stimola tutti i sensi e che porta con sé valori quali la resistenza culturale, la riparazione, il dialogo tanto tra Africa e diaspore africane, quanto a livello globale. E ancora, il tema del ritorno: volgendo lo sguardo verso la sommità della struttura, si nota il simbolo adinkra “Sankofa”, che «rappresenta un ritorno ciclico, verso ciò che si è vissuto, per poter andare avanti», interpreta Jordan. Un simbolo assurto a emblema della diaspora africana e degli afroamericani.

La presenza della Morgan State University a Venezia segna un precedente storico: è la prima HBCU (“Università e college storicamente neri”) che partecipa a una rassegna culturale internazionale. Un passo fondamentale per restituire visibilità ai sottorappresentati nei mondi dell’arte e dell’architettura.

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