Gli spettacoli teatrali e i concerti possono reggere in streaming? In un ampio studio realizzato dalla fondazione Cotec e sostenuto da Intesa Sanpaolo nell'ambito della sua attività di ricerca, sono emersi due punti fondamentali: il Covid-19 ha reso il pubblico più sedentario, e nuove possibilità di intrattenimento sono state sperimentate andando a raggiungere una platea molto più numerosa.

Il lockdown del 2020 ha costretto le persone a casa. Questa condizione ha causato una serie di cambiamenti improvvisi nel consumo mediatico e culturale.

Da una parte il “binge watching”, la visione consecutiva di più episodi di una serie, è diventato consuetudine, dall’altra spontaneamente e del tutto gratis, cantanti, musicisti e artisti hanno offerto spettacoli ai loro follower tramite Instagram e Facebook, e tutto questo ha avuto un impatto.

Le abitudini di rivolgersi a uno schermo non sono state perse dopo la fine della prima quarantena, ma anzi sono andate crescendo.

Il pubblico

I dati rispecchiano questa situazione. Il traffico dati medio giornaliero (download+upload) è passato dai 78,6 petabyte di gennaio 2020, l’ultimo mese prima del timore del contagio, ai 135,8 petabyte a marzo 2021. Una quantità persino maggiore di marzo 2020, il primo mese di lockdown.

Tra il 2020 e il 2021, secondo quanto registrato da WeAreSocial (Digital 2020 e Digital 2021) il numero di persone attive su internet in Italia è cresciuto da 49,48 milioni di utenti a 50,54 (+2,2 per cento). Sono aumentati del 5,7 per cento gli utenti attivi sulle piattaforme di social network.
Lo smartphone si avvicina rapidamente a superare i personal computer come mezzo digitale più utilizzato per la fruizione dei contenuti.

Nel 2021 il 47 per cento del traffico online proviene da mobile devices, superando ampiamente il valore di 29,2 per cento registrato nel 2020.

I computer fissi e portatili scendono dal 58 per cento del 2020 al 50,6 per cento del 2021

I modelli di business

Il tipo di fruizione non va confuso, e i dati non possono creare abbagli sugli utenti finali che il mondo dello spettacolo dal vivo può raggiungere, ma gettare una luce sì.

I principali attori dello streaming cinematografico e televisivo, si legge, competono ormai da anni per accaparrarsi l’attenzione e il tempo del pubblico offrendo vari modelli di business fondamentalmente con pubblicità o senza, riservato agli abbonati, e combinazioni delle diverse modalità.

 Anche se Netflix, Amazon Prime Video, Disney plus, o anche Rai Play, sulla carta hanno più o meno utenti, è difficile incontrare qualcuno che non abbia visto nemmeno una delle serie prodotte nell’ultimo anno.

Il problema però non è da quanto tempo sono su piazza, film e serie sono naturalmente avvantaggiati.

La distribuzione digitale della cultura, racconta lo studio, è un processo per forza di cose molto più lento.

Chi pensa a un concerto o a uno spettacolo teatrale, nella maggior parte dei casi è abituato a considerarlo prioritariamente come un’esperienza dal vivo, legata a un luogo fisico come teatro o un museo e a un determinato momento.

Lo spettacolo dal vivo

Un'immagine dalla lavorazione di Paolo Sorrentino

Non significa che non ci siano delle chance, e non solo perché alcuni progetti continuano a comparire sulle piattaforme già lanciate tramite le serie e i prodotti televisivi.

Infatti dalla stand up comedy di Michela GiraudEdoardo Ferrario su Netflix, ai Sei pezzi facili sotto la direzione artistica di Paolo Sorrentino su Raiplay, per restare nel mondo del teatro, ci sono molte prove che la domanda così come l’offerta potenzialmente c’è, e non solo per eventi straordinari come accaduto durante il lockdown (vedi il concerto dei Gorillaz nel 2020 che ha ricevuto recensioni entusiastiche).

Lo spettacolo dal vivo è il settore della cultura che più di tutti ha sofferto della pandemia, e i produttori di arti dello spettacolo dal vivo sono entrati «in punta di piedi» nel mondo diffusione digitale dei propri contenuti.

Per il documento «le grosse potenzialità delle nuove forme di distribuzione non possono più essere ignorate».

Gli esempi

La cantautrice Carmen Consoli (LaPresse)

Alcuni esempi internazionali tra l’altro risalgono a prima del 2020. A  dicembre 2018 la Filarmonica di Berlino istituiva la sua Digital Concert Hall, in partnership con Deutsche Bank, una sede virtuale che offriva in streaming sia singoli eventi a pagamento sia contenuti su abbonamento, dal vivo o on demand.

Nel giugno 2009, in Gran Bretagna, il Royal National Theatre ha lanciato il National Theatre Live26, per trasmettere spettacoli teatrali dal vivo.

La Detroit Symphony Orchestra è stata la prima orchestra negli Stati Uniti ad offrire webcast in live streaming gratuiti nel 2011, e offre inoltre concerti on demand attraverso il proprio sito web.

In Italia la pandemia e la necessità di diffondere a un pubblico più ampio possibile l’arte e la cultura italiana in stand by, hanno portato alla nascita di alcune piattaforme.

Nello specifico il primo riferimento è a It’s Art, «la Netflix della cultura», il sito di streaming messo in campo dall’ex ministro della Cultura Dario Franceschini nel 2021, di proprietà di Cassa depositi e prestiti e Chili.

I bilanci ci raccontano che non è andata bene nonostante il catalogo abbia spettacoli con attori noti come Alessandro Preziosi e Toni Servillo o concerti esclusivi. Si va dalla Rappresentante di Lista, gruppo che ha concorso a Sanremo lo scorso febbraio, a Carmen Consoli, tra le più note cantautrici ricordata anche in epigrafe nell’ultimo romanzo di Pif. Eppure, come hanno titolato tanti, “It’s flop".

I social

A questo punto bisogna chiedersi quanto questo mondo sia familiare con un altro: quello dei social, il cui uso si accompagna a quello degli smartphone. Lo studio Cotec analizza le implicazioni per il settore museale, ma se parliamo di esperienza prioritariamente vissuta dal vivo, è presumibile che ci sia poca differenza con un concerto o uno spettacolo teatrale.

Essere presenti sui social network «permette a una istituzione di incuriosire e attrarre visitatori e fa sì che l’esperienza museale non si esaurisca con la visita al museo, ma divenga un legame duraturo nel tempo».

Tuttavia «molte istituzioni si limitano ad aprire un profilo social – operazione all’apparenza piuttosto semplice – senza avere un’adeguata strategia di comunicazione o, in alcuni casi, senza avere neppure un sito web».

Il profilo Instagram di It’s Art conta solo 17mila follower, e pur offrendo spettacoli dal vivo presenta post soprattutto statici.

Netflix, citando l’esempio di prima, oltre a pubblicare piccole parti dello spettacolo di Giraud, collabora con l’artista per la sponsorizzazione di altre serie tv, come Bridgerton.

La formula proposta dallo studio è ottimistica: «Lo streaming e il digitale, che sono legati all’idea dell’accesso, abbattono le barriere dello spazio e del tempo», ma non è detto che a molti interessi. 

Per i musei secondo un rapporto un rapporto di ICOM – International Council of Museums citato nel report, solo il 34 per cento degli italiani già prima della pandemia frequentava i luoghi di cultura, e il 65,5 per cento degli intervistati ritiene che la visita digitale di un museo non supplisca la visita di persona.

Tuttavia il 44 per cento pensa di continuare a utilizzare le risorse digitali e social anche in tempi “normali”.

Quanti spettatori in più può raggiungere lo streaming degli spettacoli musicali o teatrali?

L’unica risposta è che le risorse digitali «così come avviene da anni in altri settori, permettono di allargare la platea di potenziali utenti e rendono disponibili i vari servizi offerti anche al di fuori dei confini nazionali», e non sfruttare al meglio questa strada sarebbe un peccato.

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