L’apertura all’inatteso, al ritrovamento inaspettato. È questo il principio alla base della filologia, ovvero la consapevolezza che tutto quello che sappiamo di un testo può improvvisamente essere messo in discussione dal ritrovamento fortuito di un altro testimone. Lo insegna Contini. Pochi romanzi ne offrono una dimostrazione tanto limpida quanto Suite française. Conservato per sessant’anni in una valigia e pubblicato nel 2004 nella trascrizione che ne aveva fatto la figlia Denise Epstein, Suite française ha riportato sotto i riflettori Irène Némirovsky, scrittrice ebrea nata a Kiev nel 1903 e morta ad Auschwitz nel 1942.

Arrivata in Francia dopo essere scappata dalla Rivoluzione russa, negli anni Trenta Némirovsky diventa una scrittrice famosa, per poi essere completamente dimenticata dopo la deportazione. Diciotto anni dopo la sua riscoperta, oggi viene pubblicata una seconda versione dell’ultima opera postuma, a cui la scrittrice lavorò intensamente nelle settimane che precedettero l’arresto, avvenuto il 13 luglio 1942.

La «lava incandescente»

Nel maggio del 1940, Irène Némirovsky lascia Parigi e si trasferisce in un villaggio della Francia centrale, Issy-l’Évêque. A ottobre inizia a pensare a un romanzo su quella che definisce la «lava incandescente», sulla storia che si sta svolgendo sotto i suoi occhi. «La douleur de l’histoire toute fraîche», diceva Camus. Sul modello della Recherche, l’opera sarebbe dovuta essere composta da cinque parti: Tempête en juin, Dolce, Captivité, Batailles, La Paix. Némirovsky scrive le prime due, trasmesse da un manoscritto: Tempête en juin, sull’esodo da Parigi nel giugno del ’40, e Dolce, sull’occupazione di un villaggio della Francia centrale. Mentre prosegue nella redazione, comincia a correggere quanto già scritto. La revisione è serrata, intensa, e porta a nuova stesura della prima parte del romanzo, Tempête en juin, trasmesso da un dattiloscritto realizzato dal marito della scrittrice, Michel Epstein.

Nel 2004, al momento di trascrivere il romanzo, Denise Epstein ha dovuto scegliere tra la versione del manoscritto e quella del dattiloscritto. Due circostanze l’hanno spinta a propendere per quella del manoscritto. Innanzitutto, questa riportava le prime due parti del romanzo, quindi si presentava più ricca, più completa. In secondo luogo, Denise temeva che il padre al momento di battere a macchina il testo fosse intervenuto sui contenuti: per la figlia della scrittrice esisteva dunque una versione “di mamma”, quella del manoscritto, e una “di papà”, quella del dattiloscritto, così come racconta in Sopravvivere e vivere (Adelphi, 2010). L’analisi delle ultime carte di Némirovsky, tuttavia, ha permesso di dissipare questi dubbi: il ritrovamento di alcuni fogli manoscritti che portano traccia di una versione intermedia tra le due ha dimostrato come i cambiamenti riportati nella seconda versione siano certamente attribuibili a Irène Némirovsky.

Nel panorama dei grandi

La nuova edizione Adelphi non toglie valore alla pubblicazione di Suite française del 2004 (2005 in Italia). Al contrario, essa è il segno dell’inserimento di Némirovsky nel panorama dei più grandi scrittori. Il diritto alla circolazione di due versioni di una stessa opera, infatti, è un privilegio concesso solo ai più grandi capolavori. Si pensi alla Gerusalemme liberata e alla Gerusalemme conquistata di Tasso, a Fermo e Lucia e ai Promessi sposi di Manzoni, a Jean Santeuil e alla Ricerca del tempo perduto di Proust. Questa edizione, inoltre, si iscrive in un più generale interesse per la filologia che ha portato alla recente riscoperta di inediti di Beauvoir, Céline, etc.

Cosa cambia, dunque, tra la prima e l’ultima versione? La struttura dell’opera resta invariata: da un capitolo all’altro il narratore segue alternativamente le vicende dei personaggi o dei gruppi di personaggi che scappano da Parigi, stratagemma che permette di passare in rassegna un ampio campionario della società francese: una famiglia altoborghese, uno scrittore assetato di successo, un ricco collezionista di porcellane, una coppia di impiegati.

Nella seconda versione alcuni di questi personaggi sono protagonisti di un destino completamente diverso. È il caso, per esempio, di padre Philippe Péricand, che nella prima versione del romanzo muore lapidato crudelmente da un gruppo di orfani di cui si occupa durante l’esodo. Come tutti i protagonisti del romanzo, anche padre Péricand è ispirato a un personaggio reale, ma tra tutti, Philippe è quello che resta più fedele al suo modello, padre Roger Bréchard, che era stato il padrino della scrittrice quando nel febbraio del 1939 aveva ricevuto il battesimo.

A lungo, dopo l’inizio del conflitto, Irène Némirovsky non riceve notizie del suo padrino, fino a quando, il 22 ottobre 1940, i genitori di Bréchard non le inviano una cartolina aggiornandola sulla sorte del figlio in guerra. La scrittrice la riceve qualche mese più tardi. Il 10 febbraio risponde ai Bréchard dicendo che Roger «è un Santo e un Padre per tutti noi». Più avanti, il 22 luglio 1941, Irène Némirovsky riceve altre informazioni su padre Bréchard. Ed è allora, con ogni probabilità, che decide di rimettere mano ai capitoli dedicati al suo padrino, il quale viene risparmiato dal destino crudele e infamante che gli era riservato nella prima versione.

Così, molto più chiaramente di quanto non fosse nell’edizione del 2004, i capitoli dedicati a Philippe diventano un omaggio al suo padrino, padre Bréchard, con il quale il personaggio condivide l’eccezionale levatura morale, il rigore, la generosità, l’amore per il prossimo e anche il destino. Visibilmente, questi nuovi capitoli conferiscono al romanzo una tensione spirituale del tutto assente nella prima stesura e portano le tracce della conversione vissuta da Némirovsky negli ultimi anni di vita.

A questo aspetto se ne aggiunge uno più strettamente letterario. Accrescere la levatura morale di Philippe permette, per contrasto, di far emergere più intensamente la bassezza degli altri personaggi: il suo amore per Dio fa risaltare meglio la tartuferia e la falsa devozione della madre, Charlotte Péricand, il suo coraggio serve a mettere meglio in luce la pusillanimità e la vigliaccheria del padre, inoltre, con la sua generosità disinteressata, Philippe si oppone al nonno, calcolatore e opportunista. Infine, la sua abnegazione contrasta con l’irriducibile individualismo che attanaglia tutta una società nel momento della disfatta. Una società raffigurata in uno dei momenti più bui della sua storia, una società alla deriva da cui la scrittrice si sente ogni giorno più estranea.

Il romanzo è seguito dagli Appunti per Dolce e Captivité, in cui la scrittrice ipotizza come modificare la seconda parte del romanzo, Dolce, e ci lascia scorgere cosa ne sarebbe stato della terza parte che non ebbe nemmeno il tempo di abbozzare. La traduzione è a quattro mani: il testo di Laura Frausin Guarino pubblicato nel 2005 da Adelphi è stato infatti integrato per le parti inedite e adattato, per il resto, alla nuova versione del romanzo.

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