Ha deciso di raccontarlo su Vogue, non propriamente una rivista specializzata, e rifiuta di chiamarlo ritiro: ormai manco il tu es sacerdos in aeternum vale più, i papi possono annunciare le dimissioni ma lei no, non smette di giocare. Si sta solo «evolvendo lontano dal tennis».

Lei è Serena Williams, 41 anni a settembre, la più forte tennista di tutti i tempi e, a modo suo, ha dovuto ammettere che può bastare così: «Odio, odio essere a questo punto, non vorrei che fosse finita ma allo stesso momento mi sento pronta per quello che arriverà».

Carriera da dominatrice

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Gli Us Open 2022 saranno l’ultimo torneo della carriera, sullo stesso cemento che l’ha vista fare scempio della concorrenza nel 1999, quando diede al mondo un saggio del tennis del nuovo millennio: servizi scagliati alla velocità del Tour maschile, scambi da fondocampo a ritmo insostenibile per il gioco del tempo.

Così aveva voluto il padre, Richard, un signore che ha tirato su la famiglia nel posto più improbabile per giocare a tennis, un ghetto nella contea di Los Angeles così violento che una rap band ci ha costruito intorno un album tra più celebri nel genere, Straight Outta Compton, dritti fuori da Compton, e tanto pericoloso che Serena ci ha perso una sorella in una sparatoria.

Fuori dal ghetto a colpi di bastone a una pallina da tennis: quella era la strada tracciata dal capofamiglia per guadagnare un fracco di soldi e prendersi le rivincite di una minoranza oppressa, usando come ariete lo sport dei ricchi.

E se la sorella Venus si è accontentata di essere una grande campionessa, Serena ha desiderato fortemente sbranare il tennis e renderlo una sua pertinenza. 23 titoli Slam, 73 tornei nel complesso, 319 settimane da numero uno al mondo, cinque edizioni del Master, tutto il vincibile in doppio con la sorella Venus, compresi tre ori olimpici, più uno in singolare.

Ha iniziato a vincere contro avversarie che potevano essere sue madri, ora smette affrontando atlete che neppure erano nate quando lei prendeva a schiaffoni Hingis, Sharapova e socie.

Il record di Court 

Bobby Riggs watches Australia's Margaret Court, 25 years his junior makes a successful, leaping effort to return on of his taps in their $10,000 winner-take-a-match on May 14, 1973 at Ramona, Calif. Mrs. Court, rated the world's best woman player, appeared off her game as Piggs controlled the play and won 6-2, 6-1. (AP Photo

Se esiste ancora un conto aperto tra la più grande e lo sport che ha predato, più che dominato, è una pelosa questione aritmetica: agli atti compare un record, stabilito dalla matrona australiana Margaret Court, che si aggiudicò 24 titoli Slam. Uno più di lei.

E c’è qualche disgraziato cui viene data tribuna che, incapace di offrire un contesto a una cifra, sostiene che la più forte sarebbe quell’altra. Una campionessa, chi lo nega, che però fece razzia di vittorie negli anni Sessanta, con una concorrenza ridicola rispetto a quella moderna.

Ma, in qualche modo, l’ansia di vergare una croce su quel primato ha segnato le ultime stagioni di Serena, particolarmente le finali Slam del possibile aggancio, perse tutte e quattro con una strana sensazione di ansia da prestazione impossibile. Per non parlare degli Us Open 2015 quando, sulla strada di un Grand Slam strameritato, la nostra Roberta Vinci le fece venire un’emicrania a forza di tocchetti e di volée, costringendola alla più dolorosa delle débacle.

Il lungo addio

A dirla tutta, però, miss Williams ha smesso di essere una giocatrice professionista da un pezzo. L’altro giorno, all’Open del Canada, è tornata a vincere una partita ufficiale dopo 430 giorni dall’ultimo successo ma nella sostanza, dagli stravolgimenti del calendario 2020 causa Covid in poi, ha giocato poco e raccolto altrettanto. Nulla in confronto a una carriera da tritatutto.

Al di là della questione contabile che pare aver allungato il brodo del suo congedo, Serena ha tenuto a spiegare che intende allargare la famiglia, attualmente ferma al marito e alla figlia cinquenne Olympia. Di cui ha raccolto il desiderio di diventare sorella maggiore: «Non ho mai voluto dover scegliere tra il tennis e la famiglia. Non penso sia giusto. Se fossi un uomo […] sarei là fuori, giocando e vincendo mentre la mia donna sarebbe alle prese con il lavoro fisico necessario per allargare la famiglia. Non fraintendetemi: adoro essere una donna, e ho amato ogni secondo della mia gravidanza. Sono stata una di quelle donne che hanno lavorato fino al giorno in cui sono dovuta andare in ospedale. […] Ma presto compirò 41 anni e qualcosa è da cambiare».

La mesta verità è che, a dispetto della classe e della volontà incrollabile, il superfisico di Serena Williams non regge più. È una regola aurea cui non si può sottrarre nessuno: neanche quell’altro fenomeno del 1981, quel Roger per il quale non si può pronunciare la denegata parola “fine” ma che, anche senza gravidanze all’orizzonte, sta per scegliere quale nome e sfondo assegnare al suo addio.

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