Cinque ore e 29 minuti di gioco sublime in finale al Roland-Garros: occorrerebbe liberarsi di ogni sovrastruttura partigiana e ammirarli come fossero ballerini. L’italiano ha un’articolazione dalle braccia lasse, la sua velocità destabilizza l’arco dorsale. Lo spagnolo ha degli smash che potrebbero somigliare a dei grand jeté della danse d’école, unico genere ad avere introdotto il tennis nei suoi repertori con Vaslav Nijinskij – le dieux de la danse del primo ‘900
Menomale che il tennis sarebbe dovuto essere nell’immaginario nazionale uno sport di nicchia, per ricchi in grado di pagare qualche migliaio di euro per una capatina a Wimbledon e neanche nelle prime file nobili. Se così fosse, la sconfitta subita da Jannik Sinner per mano e racchetta del murgiano Carlos Alcaraz, si sarebbe risolta in un’alzata di sopracciglio. E forse in un «oh che peccato!», data la preminente posizione dell’altoatesino, numero uno e italiano nel ranking tennistico internazionale.
Invece l’epica finale, durata cinque ore e 29 minuti, al parigino torneo Roland-Garros, secondo dei grandi Slam, si è risolta in una bagarre calcistica non certo dei flaccidi tempi odierni, bensì di quelli di Maradona.
Chi virtualmente ha osato alzare una mano per dire che forse Carlito ha meritato la vittoria, per aver caparbiamente risalito la china dopo due set perduti, uno vinto e due straordinari tie-break giocati, in specie l’ultimo, con sprezzante furore, si è sentito ricoprire di contumelie di ogni tipo. Tutte però, e qui sta il dolor punctum, estranee all’entusiasmante avventura sportiva.
Sinner, secondo gli accorati fan, avrebbe mancato la vittoria «di qualche millimetro», sarebbe un bravo ragazzo, eticamente corretto in campo e fuori, «un esempio di eleganza, di umiltà, lavoro e rispetto», suggeriscono alieni melensi forse convinti che tutti gli altri tennisti se ne stiano in panciolle, o a raccoglier margherite. In sintesi, alla fine proprio lui, il nostro numero uno, avrebbe meritato di vincere perché da poco rientrato dalla sospensione punitiva, molto più composto e concentrato di un “bullo” o “cafone” – così è stato definito – spesso distratto e quando gioca divertito, desideroso di accalappiarsi il favore del pubblico e «privo di grandezza morale»(sic!) come Carlos Alcaraz.
Dulcis in fundo: il pubblico. Essendo francese e per di più parigino, odierebbe gli italiani; e qui bordate d’insulti. Pazienza, al linguaggio becero siamo ormai abituati.
Chi ama il tennis, infatti, non può che gioire dell’attuale favore suscitato da questo sport anche nel nostro Paese, sino a ieri dotato di ben pochi campioni e oggi con molte frecce anche femminili al proprio arco – prime tra tante l’arcata fluida di Lorenzo Musetti e il guizzo sorridente di Jasmine Paolini. Ben vengano, dunque, anche le polemiche, i battibecchi, le tifoserie; meno, invece, le melensaggini da quattro soldi e soprattutto quell’ideologia patriottica che non consente di guardare “la cosa in sé” con dovuto distacco ma come se ti appartenesse, mentre riguarda chi la fa con impegno e sudore.
L’immedesimazione può essere una gran cosa, acuisce l’empatia, ma lo sport la esclude, in specie quando non si tratta di un gioco di squadra, dove l’occhio fa fatica a individuare quei dettagli che esprimono il tutto –, bensì di una sfida a due, come la scherma o il pugilato. Qui occorrerebbe liberarsi di ogni sovrastruttura partigiana, e osservare i corpi in campo. In questo caso sulla terra rossa.
I gesti di Jannik
Agli Open di Francia, come del resto agli Internazionali di Roma, Sinner battuto da Alcaraz, e pour cause, è apparso con il suo corpo veloce, scattante, capace di prevenire le mosse dell’avversario, ma con quella sua articolazione dalle braccia lasse, che nonostante l’ottima impostazione del servizio e la sua velocità, destabilizza l’arco dorsale. In altri termini i legamenti atti a mantenere la spalla nella posizione corretta sono così elastici da non fornire un supporto adeguato, causando un’extra-rotazione che può potenziare il movimento ma alla lunga – ovvero in una partita della durata di cinque ore – lo scarica e talvolta con dolore.
Inoltre, le sue gambe lunghe e magre sono soggette a crampi: forse gli impediscono salti e gorgheggi en l’air tipici del “divino” Roger Federer cui David Foster Wallace, grande scrittore statunitense scomparso nel 2008, dedicò parte di un saggio Il tennis come esperienza religiosa: necessaria lettura per ogni amante di questo sport.
Con le sue caratteristiche fisiche, Sinner ci insegna, nonostante tutto, che non esiste un corpo/mente per il tennis. Novak Djoković, appena battuto dal nostro numero uno proprio agli Open di Francia, è alto, muscoloso e a 38 anni perfetto. Ai tempi delle sue vittorie, l’oggi più che cinquantenne Andrè Kirk Agassi era piccolo e cicciottello. Il più anziano australiano Rod Laver era uno squartato Pelé dei campi rettangolari, e via accumulando fisici, arti, volti, espressioni, personalità: sobrie e ribelli come quella inconfondibile di John McEnroe, noto per gli scatti d’ira rivolti agli arbitri e al pubblico.
Lui, Sinner è una macchina da gioco, un robot guidato da una mente severa e strategica. Non sorride mai, ma quando gli occhi gli brillano s’illumina il campo. Jannik sa dove piazzare un lungolinea laggiù in fondo nell’angolino imprendibile, inarrivabile, e quando sorprendere con una smorzata a destra mentre il rivale attende la pallina a sinistra.
Il suo più giovane antagonista (Carlos ha 22 anni, Jannik 23) si distrae facilmente e all’inizio sembra confuso: chissà mai non lo faccia per burlarsi dell’avversario. I primi due set perduti al Roland-Garros gli hanno però fatto inserire la quinta marcia, un’accelerazione persistente e alla fine un regale sadismo, causa del pianto di Siglinde, la mamma dal nome wagneriano di Sinner, più volte inquadrata da una telecamera inclemente.
I gesti di Carlos
Quando c’è, quando vuole – e in questi ultimi tornei pretende molto da sé – Carlito è spesso in-giocabile. Ha un corpo compatto; si fa male solo perché forza troppo la muscolatura. In più, come Federer cui va paragonato solo per quest’aspetto, ha un gioco continuamente variato, a sorpresa, mai prevedibile o noioso. In più salta come un grillo e i suoi smash potrebbero somigliare a dei grand jeté della danse d’école, tecnica accademica del balletto, unico genere ad avere introdotto il tennis nei suoi repertori. Bello quel Vaslav Nijinskij – le dieux de la danse del primo ‘900. Nel 1913 entrava con un balzo in un campo notturno munito di racchetta e in perfetta tenuta da tennista dell’epoca: camicia bianca con le maniche arruffate al gomito, cravatta, pantaloni larghi in coscia e stretti sino alla caviglia, cintura chic.
La coreografia Jeux su musica di Debussy accarezzava uno sport che a Parigi si praticava dal ‘700, secolo d’origine del tennis in Francia e dei suoi termini come deuce (quaranta pari) da à deux le jeu, gioco ai due giocatori, visti a iosa al Roland Garros 2025. Poi però la piccola palla gialla rimbalzò e rotolò in Inghilterra con il maggiore Walter Clopton Wingfield: nel 1873 riprese molte delle regole del real tennis, la denominazione inglese della courte paume (palla corta) francese, anche perché il nostro Walter ben poco avrebbe potuto ricavare dal Trattato del giuoco della palla di Antonio Scaino da Salò (Venezia 1555) contenente già la descrizione di palla corta, però munita di un attrezzo per mandare l’oggetto sferico al di sopra di una corda cui fu poi aggiunta una rete.
Insomma, preistoria rispetto al tennis inglese del 1874 chiamato sphairistike, e a Wimbledon, il primo luogo scelto nel 1877 per un evento tennistico. Unico sull’erba, divenuto il più antico dei quattro grandi Slam, il torneo quest’anno si terrà dal 30 giugno al 12 luglio. Proprio qui Jannik e Carlos s’incontreranno di nuovo. A dispetto di clamorose sorprese, comunque comuni nel tennis, saranno ancora loro i finalisti e forse davanti a un’audience televisiva superiore a quella già clamorosa dell’happy/sad end del Roland Garros: 5 milioni di spettatori.
Nel frattempo i due mancati Dioscuri coltiveranno a loro modo – chi continuando a giocare (Jannik all’Atp di Halle), chi riposando (Carlos) – lo scontro omerico tra il talento e la forza bruta, tra la bellezza apollinea di una volée perfetta e gli interessi economici ruotanti intorno a ogni sport. Chi vincerà a Wimbledon? Risposta sospesa con una certezza: i due rivali (molto), amici (ben poco) sono i più forti dai tempi del duetto Rafael Nadal/Roger Federer; saranno per decenni il futuro del tennis.
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