C’era già stato il film: Chiara Ferragni-Unposted, un agiografico documentario presentato nel 2019 al Festival del cinema di Venezia, nel frastuono indignato di chi si vedeva invadere dai barbari anche una delle ultime roccaforti dell’umanesimo.

Due anni (e una figlia) dopo, arriva anche la docuserie, The Ferragnez, annunciata per dicembre su Amazon Prime Video. Indigna meno, perché in fondo Prime Video un po’ barbara lo è già: se esiste un esercito barbaro, Jeff Bezos è di certo tra i suoi generali.

Ma pone qualche domanda in più, la prima delle quali è certamente questa: cos’altro c’è da esporre su una delle famiglie più sovraesposte del pianeta? Cosa ancora c’è da sapere, sui Ferragnez, che non sappiamo già?

Per capirlo, bisogna innanzitutto guardare il promo. C’è il Duomo di Milano, in una notte silenziosa dove rintocca solo il suono dei passi di Chiara e Fedez nel buio. Ma l’oscurità è solo momentanea: i due attaccano una presa di corrente, e subito una terrazza s’illumina di viola, e i Ferragnez appaiono in abito da sera in tutta la loro statuaria, tamarra bellezza senza ombre e senza sfumature.

La Madonnina, dal suo vicino podio dorato, osserva impotente, e sembra urlare al cielo il suo sgomento. Da un lato, quindi, la vergine implorante in un cromo dorato che pertiene ormai solo agli arredamenti delle case dei nonni.

Dall’altro, l’arroganza fluo della nuova potenza digitale. Sembra un semplice promo di diciotto secondi, ma è una parabola. Parla di un passaggio di consegne. Il messaggio è chiaro: ci sono due nuove dèi in città.

Mai smettere

Non si smette mai di parlare dei Ferragnez. È un argomento ricorsivo, torna ciclicamente nei trend topic, nelle polemiche, nelle conversazioni, come l’onda di una risacca. Che li si ami o li si odi, nessuno può ignorarne la presenza: sono stelle fisse del nostro paesaggio mentale.

I Ferragnez hanno finito col diventare paradigmi di una modernità che ha anche il loro volto. Loro sono il presente: e il presente può piacere o meno, ma non si può ignorarlo. Soprattutto, non ce n’è mai troppo. Il tempo genera altro tempo, se non produce contenuti non per questo smette di scorrere, e i Ferragnez questo vogliono essere: la nostra misura del tempo che scorre.

Non il nostro intrattenimento, ma il nostro orologio. I contenuti non servono, perché troppi contenuti compongono un racconto, e il racconto velocizza il tempo. Loro non vogliono velocizzare il tempo, e neanche rallentarlo. Vogliono impersonarlo. Abitarlo esoticamente. Come divinità che scorrazzino sulla terra fingendosi mortali.

Li riassumeva bene Helena Janeczek in un tweet dopo le polemiche sul concertone del 1° Maggio: «Hanno trent’anni, Fedez e Chiara Ferragni, un’età in cui molti coetanei non hanno un lavoro che permetta di vivere per conto proprio. Figurarsi essere diventati ricchi e influenti. Lui è cresciuto nella ridente Buccinasco, lei è di famiglia più borghese. Però entrambi si sono fatti strada da soli».

“Essersi fatti da soli”: è lo stesso merito che veniva unanimemente riconosciuto anche a Silvio Berlusconi. E con Berlusconi i Ferragnez condividono più di un punto: come lui, abitano con agio quella zona, accessibile a pochissimi, a cavallo tra l’immenso successo e l’odio collettivo.

Un privilegio e una maledizione che accomuna quei pochi individui capaci di diventare l’unità di misura del desiderio altrui: loro sono ciò che si pensa o ciò a cui vuole contrapporsi qualsiasi idea di successo mediatico.

Un modello perpetuo, che sfida chiunque all’imitazione o alla polemica. Con Berlusconi condividono anche la deliberata, sistematica ostentazione di sé. Cos’è questa docuserie, se non la versione 2.0. della biografia fotografica del Cavaliere che nel 2001 fu spedita per posta nelle case di tutti gli italiani? Il volume s’intitolava Una storia italiana, lo stampava Mondadori, e raccontava «i piccoli segreti di Silvio»; «Lo stile di vita: come si veste e cosa ama il leader di Forza Italia»; «Gli amici di sempre: quelli che lo hanno accompagnati negli anni», «la lunga lotta per la libertà», fino al memorabile capitolo «Costruire un impero».

Arrivare a tutti

L’obiettivo di quella campagna era, appunto, arrivare a tutti. Che è poi esattamente lo stesso obiettivo dei Ferragnez e delle multinazionali con cui collaborano, da Instagram ad Amazon: un capitalismo dalle pretese non più nazionali ma universalistiche, un capitalismo della comunicazione che vent’anni dopo non ha neanche più bisogno della politica.

I sottotitoli del libro berlusconiano potrebbero essere gli stessi della docuserie: «Una storia italiana». Ma anche, a maggior ragione, «Costruire un impero». Giacché di questo si tratta: non di affabulazione, ma di dominio. Berlusconi dominava i media del suo tempo, i Ferragnez dominano quelli del nostro. Con che cosa lo dominano? Con la propria persona. Qual è il messaggio? Sé stessi.

L’annuncio della docuserie, infatti, non è una gran notizia. La notizia, casomai, è che la produca Amazon. Quella programmata per dicembre non è una produzione seriale, ma una partnership aziendale: dopo il gemellaggio col trust Zuckerberg, arriva quello con Bezos.

È la notizia di un salto di specie, uno scarto evolutivo. Se le due maggiori aziende di comunicazione mondiale siglano un patto con i Ferragnez non è perché della loro vita privata, come del maiale, non si debba buttar via niente, ma perché sono i migliori testimonial possibili per le loro politiche.

I Ferragnez rendono teatrale e divertente quello che Facebook e Amazon fanno più o meno occultamente ai propri clienti: far entrare la multinazionale dentro casa, farle attingere a piene mani nella vita intima, nei gusti, nell’idea di sé, per poi restituirla scintillante, accattivante, mediatica.

Questo fanno Facebook e Amazon: prendere la materia umana e cambiarla di stato. Trasformare il materiale umano in capitale digitale. Una conversione. Quale intermediario migliore, quindi, dei Ferragnez, i Kardashian europei?

Si capisce quindi che non c’è alcuna necessità di offrire “nuovi contenuti”. I Ferragnez non si esprimono: sono espressione. Non sono portatori di un messaggio: sono essi stessi il messaggio.

Religione dell’ego

In una fusione tra religione dell’ego e capitalismo digitale, ai Ferragnez non serve comunicare quasi nulla: basta l’ostensione. Chi li accusa di essere superficiali, non sa niente di teologia. Perché avvenga il miracolo dell’hype, infatti, l’essere divino non deve dimostrare nulla di eccezionale: gli basta vivere.

Lo si è visto nella storia delle apparizioni mariane: la Vergine comunica più o meno sempre le stesse cose, ma nessuno l’ha mai accusata di essere banale; nessun fedele si chiede mai cos’altro ancora c’è da sapere che non sia già risaputo. La divinità non è un risultato da raggiungere, ma un requisito già ottenuto, sia pure temporaneamente. Finché i Ferragnez rimangono uno dei volti del presente, la loro manifestazione è come il divino: inesauribile.

© Riproduzione riservata