Un quarto dei referendum al mondo si tengono in Svizzera, la patria della democrazia diretta. Guida a un modello di partecipazione che, pur presentando qualche criticità, resta invidiabile. Questo brano è tratto dall’ultimo volume di The Passenger, “Svizzera”, in uscita oggi per Iperborea. Traduzione di Laura Bortot.

Il 7 giugno 1970 ogni svizzero si trovò nelle condizioni di poter scegliere se per così dire dalla mattina alla sera oltre 300mila lavoratori stranieri (perlopiù italiani) dovessero abbandonare il paese. La richiesta venne tuttavia respinta con un 54 per cento di voti contrari. In altre occasioni i cittadini hanno avuto la possibilità di decidere se una regione potesse abbandonare il grande e fiero Canton Berna per dar vita al nuovo Canton Giura (1978), se la Svizzera dovesse abolire il proprio esercito (1989), se per gli animali che non avessero subìto la decornazione si potessero ottenere sostegni finanziari specifici (2018) e così via. In un certo senso tutto può essere oggetto di votazione.

Alcuni temi sottoposti a votazione popolare possono sorprendere – ma ancora più sorprendenti sono certi esiti. Forse a meravigliare maggiormente è il fatto che le sei settimane di ferie retribuite siano state respinte dal 66,5 per cento dei votanti, o che un considerevole 35,6 per cento degli aventi diritto nel 1989 avesse votato per l’abolizione dell’esercito, che dopotutto rappresenta un pilastro dell’identità nazionale. L’evidenza che a sostenere maggiormente l’abolizione fossero i cittadini di sesso maschile in età da chiamata al servizio di leva fu tutt’altro che sorprendente.

Delle minoranze sconfitte, era consuetudine tener conto, nel momento di tradurre in legge la decisione della maggioranza. Tuttavia si è consolidata la tendenza a non considerarle più. Così nel 2014, dopo la votazione sull’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, nel campo della destra nazionale non ci si è fatto scrupolo alcuno a elevare a universale volontà del popolo una risicata vittoria (50,3 per cento). Lo stesso si potrebbe dire anche per il divieto del burqa, approvato nel 2021 con il 51,2 per cento.

Come altri paesi la Svizzera si compone di tre livelli istituzionali (comune, cantone, Confederazione), tuttavia, diversamente da altri paesi, qui nel contesto di ciascuno di questi livelli non si svolgono solo elezioni politiche, bensì anche referendum su materie specifiche. A latere delle votazioni, tenute almeno quattro volte all’anno, spesso in concomitanza vengono presentate proposte da ogni singolo livello. Il che può essere impegnativo, eppure in questo modo si consegna al paese una prammatica culturale.

Partecipare è anche una questione di esercizio, è o più precisamente era, un rituale patriottico vissuto come un dovere morale, ma che oggi viene affrontato in termini più pragmatici: i «nuovi» e le «nuove» votanti si lasciano guidare più che altro dal coinvolgimento diretto e dalla valutazione sull’incertezza del risultato e se valga quindi la pena recarsi alle urne o no.

I pregi

A livello comunale, è più facile che gli interessi degli elettori coincidano con quelli delle persone colpite dalle misure oggetto delle consultazione, a livello nazionale il quadro è più sfumato. I temi delle votazioni, come pure le conseguenze degli esiti, possono essere intesi come uno specchio o ancora meglio un prisma della società. Questo costituisce senza dubbio un pregio dei plebisciti: la possibilità di vedere chiaramente i problemi della popolazione. Esistono altri pregi?

Quello più significativo consiste nel cosiddetto effetto integrativo, cioè nel rafforzarsi della convinzione che le proprie opinioni possano dare un contributo al paese. Un comprensibile paradosso è rappresentato dal fatto che in Svizzera i diritti di partecipazione politica sono sì molto estesi, ma anche poco esercitati. L’affluenza media al voto si attesta più o meno al quaranta per cento.

La democrazia diretta viene altresì riconosciuta come un’istituzione a tutela della pace interna, per esempio osservando che in Svizzera non accade che il congresso venga preso d’assalto come negli Stati Uniti, bensì si raccolgono firme per poi procedere a stabilire l’agenda politica. Un discorso che vale anche per i referendum che non si sono tenuti per mancanza di firme, come è accaduto per esempio con il tentativo intrapreso nel 1995-’96 di reintrodurre nell’esercito i piccioni viaggiatori, o con la proposta del 2020 di abolire l’ora legale.

Il principio della sovranità del popolo è stato notoriamente limitato per lungo tempo dall’esclusione della componente femminile, e lo è ancora dall’esclusione della popolazione stabilmente residente in Svizzera ma priva di cittadinanza.

Per la maggior parte degli svizzeri solo la democrazia diretta è quella vera, che assume inoltre una funzione distintiva nel confronto con gli altri stati. Per molti è un elemento determinante dell’identità – e un argomento a sfavore di un’eventuale adesione all’Unione europea. Gli altri paesi nutrono interesse per la forma di democrazia adottata sul suolo svizzero e a tratti si interrogano sulla sua possibile introduzione entro i propri confini. In Germania il dibattito trovò terreno fertile per esempio nel 2009, quando in Svizzera venne accolta l’iniziativa anti minareti. Nello specifico quel caso venne però percepito anche come ammonitore. La democrazia diretta crea trend proprio perché nei risultati delle votazioni si delinea un palese, visibile rilievo.

Le origini

La sua versione attuale è intesa come prosecuzione di istituzioni più antiche, e il suo apprezzamento ha radici che affondano in tempi arcaici. La forma originaria risale alla democrazia assembleare della cosiddetta Landsgemeinde, celebrata tutt’oggi in due cantoni (Glarona e Appenzello Interno) come attrazione folcloristica. Questa forma originaria sopravvive ancora nelle comunità di alpeggio e nelle corporazioni, all’interno delle quali si prendono decisioni per alzata di mano. Per quanto tale forma possa essere giudicata positiva perché corrispondente a un concetto ideale di democrazia, è necessario richiamare l’attenzione sul fatto che il diritto di partecipare non spettava a tutti, anzi, per lungo tempo una parte crescente della popolazione era esclusa senza riserve. Alla vigilia della Rivoluzione elvetica, tra fine Settecento e inizio Ottocento, corrispondeva al 98 per cento. L’idea diffusa della Svizzera come la «più antica democrazia del mondo» deve essere ampiamente ridimensionata.

A questo punto è il caso di segnalare che la democrazia diretta comprende due strumenti di esercizio dei diritti politici: il referendum popolare, e l’iniziativa popolare (all’estero spesso ugualmente definita referendum). Il referendum popolare prevede a sua volta due tipologie: il referendum popolare obbligatorio, necessario per i decreti federali che portano a modifiche della costituzione, come pure per determinati trattati internazionali, e il referendum popolare facoltativo a cui si fa ricorso ogni volta che si richiede entro cento giorni e con 50mila firme una votazione popolare in merito a una legge promulgata dal parlamento. La possibilità di revocare decisioni del parlamento per mezzo di votazioni popolari relativizza l’organo legislativo e di conseguenza anche le elezioni con le quali si determina la composizione del parlamento stesso.

Le due tipologie di referendum presentano differenti indici di successo: il 75 per cento circa dei referendum obbligatori viene accolto. Il sette per cento delle leggi promulgate dal parlamento viene sottoposto a referendum facoltativo: circa la metà raggiunge l’obiettivo, nel senso che porta alla revoca del progetto di legge.

Il voto su un’iniziativa popolare si tiene ogni qualvolta vengano raccolte 100mila firme a favore nell’arco di un anno. Le iniziative popolari si considerano poi accolte nel momento in cui si ottiene una doppia maggioranza, a livello nazionale e a quello cantonale. Quest’ultimo conteggio favorisce gli elettori dei cantoni piccoli, di regola più conservatori, poiché tale risultato pesa tanto quanto quello dei cantoni grandi, più inclini a istanze modernizzatrici. Delle 311 votazioni popolari con doppia maggioranza (per referendum obbligatori e iniziative popolari) sono fallite finora solo due iniziative, che avevano ottenuto la cosiddetta maggioranza di popolo, cioè la maggioranza dei votanti, ma al contrario non la maggioranza dei cantoni. Poiché è importante ottenere anche una maggioranza dei cantoni, la propaganda elettorale si concentra sempre più sui «cantoni in bilico» (swing states).

Destra e sinistra

Non è assurdo né vietato chiedersi a quale orientamento politico serva lo strumento dell’iniziativa popolare. Non a caso la prima iniziativa in assoluto, datata 1893, che portò al divieto della macellazione senza precedente stordimento, riguardava una richiesta avanzata da schieramenti della destra nazionalista animati da risentimenti antisemiti. Negli ultimi due decenni, sono entrate nella costituzione alcune disposizioni tendenzialmente xenofobe. Le iniziative degli schieramenti di sinistra invece solitamente sono destinate a perdere (per esempio l’iniziativa per i salari equi del 2013, quella per un reddito di base incondizionato del 2016 o quella per più abitazioni a prezzi accessibili del 2020).

Da tempo si discute e ci si chiede in quale misura i mezzi finanziari messi a disposizione per le campagne elettorali delle votazioni popolari ne influenzino il risultato. Il Consiglio d’Europa ha ripetutamente redarguito la Svizzera su questo punto.

Su un punto la Svizzera non differisce da molti altri paesi: a cadenza regolare vengono effettuati censimenti sui temi più disparati. La verifica della volontà popolare attraverso gli strumenti della democrazia diretta tuttavia si distingue dai sondaggi di opinione anche per il dettaglio non irrilevante che a precederla c’è una campagna elettorale durante la quale si misurano i vantaggi e gli svantaggi e ci si costruisce un’opinione. Per la cultura politica della società questa fase non è meno importante e si si creano le condizioni, almeno in teoria, per un apprendimento collettivo e l’occasione per acquisire maggiore dimestichezza con problematiche che facilmente rischiano di travolgere il profano, per esempio quando le proposte avanzate riguardano l’ingegneria genetica, l’energia nucleare o la tassazione delle holding.

Ogni volta che ciclicamente aumenta il numero delle iniziative, alcuni cittadini si sentono travolti e invocano disposizioni in grado di rendere più complesso l’iter per promuovere un’iniziativa. La soluzione più ovvia sarebbe incrementare il numero di firme richieste, ma verrebbe percepito come una limitazione del diritto di partecipazione e non avrebbe alcuna chance di essere approvato con una votazione popolare. La storia della partecipazione democratica a partire dal 1848 ha sempre portato a un potenziamento e mai a un ridimensionamento della democrazia diretta.


Il nuovo volume di The Passenger, la rivista-libro di Iperborea, dal titolo “Svizzera” è in uscita oggi per Iperborea

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